Attualità Elezioni in Repubblica Ceca
"Perché anche i nostri figli vogliono vivere qui". Cartellone elettorale del partito Ano di Andrej Babiš.

Un’altra sfida per la democrazia in Europa centrale

Il popolare miliardario e appariscente candidato populista Andrej Babiš è in testa nei sondaggi per le elezioni di venerdì e sabato in Repubblica Ceca. Le altre forze politiche sono così deboli che il suo principale sfidante è un partito nazionalista di estrema destra. Il paese si sta allineando allo scenario ungherese?

Pubblicato il 19 Ottobre 2017 alle 10:09
"Perché anche i nostri figli vogliono vivere qui". Cartellone elettorale del partito Ano di Andrej Babiš.

Sabato 21 ottobre, la Repubblica Ceca potrebbe seguire il cammino già intrapreso dalla Polonia con Jarosław Kaczyński e dall’Ungheria con Viktor Orbán, passando da una vera e propria democrazia di tipo occidentale a un regime autoritario di stampo orientale. Per quanto un sistema del genere ammetta l’esistenza di elezioni e tolleri una sorta di opposizione, tuttavia i media hanno un limitato spazio di manovra, il sistema giudiziario è discriminatorio e le autorità giudiziarie e di polizia sono subordinate a un gruppo ristretto di persone, la competizione tra i partiti non è equa e l’accesso all’informazione contraria al governo è limitato. A differenza della Russia e di altre dittature di tipo post-sovietico, i progetti di Orbán e Kaczyński non hanno ancora raggiunto pienamente i propri obiettivi e si trovano ancora dentro l’Unione europea. Tuttavia, la loro traiettoria è chiara.

La Repubblica Ceca, già famosa per i metodi di appropriazione indebita di beni dello Stato con la fraudolenta privatizzazione col sistema dei “voucher” agli inizi degli anni Novanta, si sta ora preparando a partecipare, in un modo ugualmente originale, al deterioramento delle democrazie dell’Europa Centrale. Il suo contributo è rappresentato dalla candidatura di Andrej Babiš, multimiliardario che con un patrimonio netto di 88 miliardi di corone [3,37 miliardi di euro] è il secondo ceco più ricco (il che è in realtà una contraddizione, dato che Babiš ha origini slovacche perché è nato a Bratislava).

Anche il suo movimento, Ano, non è stato fondato come un partito politico tradizionale, ma come un’azienda guidata da un’unica persona. Ad esempio, Babiš non nasconde di pagare personalmente alcuni leader del suo movimento e che non esista alternativa alla sua leadership.

L’intenzione di Babiš è governare il paese “come un’azienda”. Nonostante il programma elettorale di Ano somigli in tutto e per tutto al programma di un partito politico standard, al contempo il multimiliardario ha pubblicato un libro di cui sono state vendute centinaia di migliaia di copie: “O čem sním, když náhodou spím” (Cosa sogno quando ho tempo per dormire). Il libro dunque sembra possedere molta più importanza del programma del movimento, preparato da semplici “impiegati”.

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"Un cocktail molto pericoloso"

Nel libro, Babiš descrive i suoi progetti per la trasformazione di ogni aspetto della vita dei cechi (ma anche dell’Ue). Tuttavia, secondo i politologi, l’elemento più importante è costituito dal fatto che Babiš pianifica di indebolire il sistema democratico del paese. “Alcuni progetti potrebbero condurre allo smantellamento della democrazia rappresentativa in Repubblica Ceca” dice il politologo Tomáš Lebeda del Dipartimento di Studi politici ed europei dell’Università Palacký a Olomouc. Il politologo cita, ad esempio, la proposta di Babiš di sciogliere il Senato, introdurre un sistema di maggioranza a turno unico ed eliminare le autorità regionali e municipali. “Questo è un cocktail molto pericoloso. Se la maggior parte di queste proposte venisse approvata simultaneamente, la democrazia rappresentativa in questo paese ne rimarrebbe seriamente danneggiata”, aggiunge Lebeda.

In ogni caso, questa è solo una parte del problema. Bisogna anche considerare il legame tra le attività imprenditoriali di Babiš e il suo programma di governo. Il gruppo Agrofert dà lavoro a decine di migliaia di cittadini cechi (e a migliaia di tedeschi, polacchi e slovacchi) e in pratica controlla gran parte dell’agricoltura, dell’industria alimentare, di quella chimica e perfino alcuni mezzi d’informazione della Repubblica Ceca.

Anche adesso, in attesa delle elezioni, mentre Ano è il secondo partito di governo e lo stesso Andrej Babiš è stato vice primo ministro per tre anni, fino a quando è stato rimosso dall’incarico per uno scandalo finanziario nato in primavera e legato alla sua azienda agricola Čapí Hnízdo, la concentrazione del potere politico, economico e mediatico nelle mani di un’unica persona non è mai stata così forte in Europa centrale. La situazione non è cambiata molto neppure quando Babiš è stato costretto a trasferire i suoi beni in un fondo fiduciario nella primavera di quest’anno. In realtà, ne mantiene ancora il controllo.

Grazie al suo dominio sui mezzi d’informazione (Babiš possiede MF DNES, il più grande quotidiano autorevole, la stazione radio Impuls, che conta il più grande numero di ascoltatori in tutto il paese, e iDNES, il secondo maggior portale di notizie), alla debolezza del resto della politica democratica ceca, eredità della generazione forte del 1989, e al supporto del presidente filorusso Miloš Zeman, Babiš è il più favorito per le elezioni di venerdì e sabato. Nemmeno il fatto che la polizia l’abbia incolpato di avere ottenuto illecitamente 50 milioni di corone, ovvero due milioni di euro, dai fondi dell’Unione europea ha scalfito il suo consenso. Se fosse riconosciuto colpevole, Babiš potrebbe essere condannato a vari anni di carcere. In ogni caso, il presidente della repubblica Zeman ha già annunciato che lo nominerà primo ministro anche se dovesse trovarsi in arresto.

In cambio, Babiš ha accontentato il presidente dichiarando che bisogna prendere in considerazione la possibilità di revocare le sanzioni contro la Russia, introdotte in risposta all’occupazione russa dell’Ucraina.

Un’altra importante questione che sta aiutando Babiš è l’attuale panico anti-immigrati. Babiš, un “leader forte” che si oppone all’ “Occidente multiculturale” e all’Islam stesso, sta populisticamente cavalcando anche quest’onda.

Tolti gli slogan del tipo “SÌ – staremmo meglio fuori” o il motto già citato “gestire lo stato come un’azienda”, il programma di Babiš è molto confuso. Tuttavia, una cosa è certa. Il suo governo non sarebbe pro-europeo e l’introduzione dell’euro verrebbe “congelata”. Ciononostante, gli esperti sostengono che questi siano tra i problemi meno gravi. Il vero pericolo risiede nel fatto che, se Ano riesce a formare una maggioranza di governo composta da un unico partito, l’attuale conformazione democratica della Repubblica Ceca sarebbe minacciata e il paese potrebbe allontanarsi dalla cultura e dai sistemi politici occidentali, che Babiš ha intenzione di smantellare. “C’è un dinosauro che sta schiudendo l’uovo. Potrebbe distruggere qualsiasi elemento di democrazia”, mette in guardia il politologo Bohumil Doležal.

Babiš e l’estrema destra ceca

Il vecchio detto ceco “Non va mai così tanto male da non poter andar peggio” si applica perfettamente alle elezioni in arrivo. Strana Přímé Demokracie (Libertà e Democrazia Diretta) sta lottando per il secondo o terzo posto nelle urne e potenzialmente potrebbe superare il dieci per cento dei voti. Il partito, guidato da Tomio Okamura, per metà giapponese, è apertamente xenofobo e ha molte caratteristiche che lo rendono un partito fascista dotato di un leader forte. I suoi manifesti elettorali promettono la messa al bando dell’Islam e l’uscita dall’Ue. La somiglianza con la situazione ungherese, dove il neo-fascista Jobbik rappresenta la maggiore opposizione a Orbán, è abbastanza evidente. Tuttavia, un altro fenomeno antidemocratico presente sulla scena politica ceca è costituito dai comunisti, immuni a qualsiasi tipo di riforma negli ultimi 25 anni. Le previsioni pre-elettorali lo danno sopra al dieci per cento. Oltre ad altre proposte, chiedono l’uscita del paese dalla Nato.

Ci sono quattro litigiosi partiti “democratici” a contrastare queste forze: i social-democratici, attualmente al governo, i cristiano-democratici, TOP 09 e l’euroscettico Partito Democratico Civico. Sebbene questi partiti comprendano in buona misura la minaccia rappresentata da Babiš, non sono stati in grado di far blocco contro di lui. Sembra che anche se l’elettorato gliene desse l’opportunità, non sarebbero comunque capaci di formare un governo “anti-bolscevico”. Coltivano la falsa impressione che se Babiš si dovesse rivelare un grosso problema, potranno unirsi per resistergli la prossima volta.

Tuttavia, le prossime elezioni potrebbero svolgersi secondo regole diverse (come succede in Ungheria, Polonia o nella Russia di Putin) e il vincitore potrebbe essere deciso in anticipo. È dunque probabile che un esperimento con la democrazia sia in corso anche in Repubblica Ceca. Gli sforzi per convincere gli elettori a non dare a Andrej Babiš la possibilità di diventare capo del governo sembrano fare buchi nell’acqua, anche se la speranza non muore fino al momento delle elezioni. Probabilmente le ultime libere per molto tempo.

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