Idee La Francia e l’Ue

Emmanuel Macron riuscirà a far ripartire l’Europa?

Se vuole riformare l’Unione, il presidente francese dovrà convincere Berlino a invertire la rotta sull’austerità permanente e a mettere fine alle politiche deflazionistiche sul lavoro. Difficile, ma non impossibile, secondo il direttore di Alternatives économiques.

Pubblicato il 31 Maggio 2017 alle 06:46

Emmanuel Macron riuscirà a riformare l’Unione europea e la zona euro? La questione europea è stata centrale durante la campagna presidenziale. La prospettiva di una “Frexit”, paventata da Marine Le Pen, le è costata cara al secondo turno, dato che, nonostante le recenti difficoltà, la stragrande maggioranza dei francesi rimane affezionata alla costruzione europea e all’euro. Ma lo statu quo non è più tollerabile. E il successo di Emmanuel Macron dipenderà in maniera decisiva dalla sua capacità di far cambiare le politiche economiche e sociali adottate in Europa. Infatti, con un notevole deficit verso l’estero, la ripresa dell’economia francese e l’abbassamento della disoccupazione non possono risultare soltanto dal rilancio della domanda interna: è soprattutto la domanda da parte della zona euro che può fare da traino in Francia.
Dunque, Emmanuel Macron avrà successo là dove François Hollande ha fallito — senza per altro tentare seriamente con altre strategie? Per far ciò, dovrebbe riuscire a invertire la tendenza alla permanente austerità di bilancio e soprattutto porre fine alle politiche deflazionistiche per il mercato del lavoro, che impediscono all’economia della zona euro di ripartire, nonostante la politica monetaria molto espansiva della banca centrale. Missione impossibile? Se Emmanuel Macron decidesse di impegnarsi in questo senso — il che non è sicuro per il momento — il successo sarebbe meno improbabile di quanto pensano oggi molti francesi.
Anzitutto, questo dipende senza dubbio dall’atteggiamento della Germania e di quello del suo governo, ma anche della sua opinione pubblica. Ragion per cui il primo viaggio di Emmanuel Macron dopo il suo insediamento è stato a Berlino. La clamorosa sconfitta di Marine Le Pen al secondo turno è stata una bella sorpresa per i tedeschi, che temevano, se non la vittoria della candidata frontista, quanto meno un risultato testa a testa.
Quest’ampia vittoria rassicura sia i francesi sia il resto del mondo: la Francia non rischia ancora di abbandonare completamente la sua storia dai tempi dell’Illuminismo. Tuttavia, il risultato tende a indebolire un po’ la posizione di Emmanuel Macron nell’immediato: dopo un’elezione con un risultato 55 per cento a 45 per cento, la paura del Front National avrebbe forse spinto il governo tedesco a accettare più facilmente dei cambiamenti sostanziali in ambito europeo. Ma un’elezione finita 66 per cento contro 34 per cento probabilmente, agli occhi dei vicini tedeschi, riduce l’urgenza di una simile riforma.
Lo testimonia il fuoco di sbarramento preventivo fatto dalla stampa tedesca contro le eventuali rivendicazioni future di Emmanuel Macron. Ad esempio, il grande settimanale Der Spiegel il 12 maggio scorso titolava in prima pagina “Caro Macron”, giocando sulla parola “caro”, e come sottotitolo: “Emmanuel Macron salva l’Europa...e la Germania deve pagare”. Quanto alla cancelliera, ha immediatamente fatto sapere che lei non può fare nulla per ridurre il surplus commerciale tedesco, a suo parere dovuto a elementi che non dipendono dalle azioni del governo: l’eccellenza delle aziende tedesche unita alla politica monetaria troppo lassista della Banca centrale europea.
Nonostante queste reazioni, le possibilità di successo di una riforma dell’Europa sono maggiori di quel che i francesi pensano di solito. A condizione che Emmanuel Macron si mobiliti a sufficienza in questo senso. In virtù del suo peso demografico, economico e della sua posizione geografica al centro dell’Europa allargata, la Germania ha senza dubbio un ruolo dominante all’interno dell’Unione. Ma il rapporto di forza in suo favore non è così squilibrato come si pensa solitamente, soprattutto in Francia, e in ogni caso oggi è molto meno squilibrato di quanto potesse esserlo nel 2010.
Anzitutto, perché i principali problemi che l’Europa si è trovata a dover affrontare negli ultimi anni sono di natura geopolitica. Lo testimoniano la situazione in Ucraina, la minaccia islamista in Maghreb e nel Sahel o ancora le conseguenze del caos tra Siria e Iraq. E in questo ambito, la Germania rimane indietro rispetto alla Francia, che mantiene ancora un po’ di importanza a livello internazionale.

Conseguenze della Brexit

Inoltre, la Brexit ha indebolito molto la posizione dei conservatori tedeschi, che negli ultimi anni si erano abituati a fare affidamento sui colleghi britannici per fermare i progressi in materia di armonizzazione sociale o fiscale all’interno dell’Unione. Adesso, la loro unica opzione tra i grandi paesi dell’Unione è accordarsi coi dirigenti francesi, tanto più che l’ondata euroscettica che ha investito la maggior parte dei paesi dell’Europa centrale e orientale priva la Germania del suo ruolo di centro di gravità d’Europa e la obbliga a rivolgersi di più a ovest se vuole evitare che l’Unione si sfasci.
Insomma, Emmanuel Macron dispone a priori di un rapporto di forza non trascurabile nei confronti dei colleghi tedeschi se decide di far avanzare un piano di riforme della zona euro dedicato al sostegno all’attività e a una maggiore solidarietà. Tenuto conto della sensibilità della loro opinione pubblica su questi temi, i tedeschi dunque potranno fare progressi in questo ambito solo dopo le loro elezioni legislative del 21 settembre. È dunque in autunno che si aprirà davvero questo spiraglio di opportunità.
Paradossalmente, ciò che rischia di indebolire maggiormente Emmanuel Macron in questo scontro indispensabile per salvare l’Europa e l’euro è la politica interna. Il nuovo presidente francese ritiene infatti che per convincere i tedeschi a cambiare l’Europa, la Francia debba assolutamente cominciare a fare ciò che i tedeschi le chiedono, ossia una serie di “riforme” come quelle all’epoca approvate da Gerhard Schröder, per liberalizzare il mercato del lavoro, ridurre la protezione sociale e abbassare il costo del lavoro. Eppure è ciò che François Hollande ha già fatto per cinque anni, con addirittura quattro importanti riforme del mercato del lavoro e la creazione del patto di responsabilità. Ed è per questo che ha fallito sia sul piano economico sia sul piano sociale e politico.
Proseguendo o addirittura accelerando in questa direzione, Emmanuel Macron rischia soprattutto di frenare di nuovo la debole crescita economica intrapresa e di aizzare gli uni contro gli altri i due terzi di francesi che l’hanno eletto il sette maggio, riaccendendo le tensioni sociali e politiche. Ciò non farebbe altro che indebolire il suo ruolo di negoziatore non solo con il governo ma anche con l’opinione pubblica tedesca.

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