Idee Riforme conservatrici in Polonia

Contro l’ordine europeo

Una settimana dopo la visita a Varsavia del presidente Usa Donald Trump, il PiS, il partito conservatore al governo, ha votato una legge che stravolge la Corte Suprema in modo da allargare ancor di più il suo controllo sul processo legislativo.

Pubblicato il 21 Luglio 2017 alle 21:02

La nozione di un treno espresso Budapest-Varsavia era usata per spiegare i meccanismi di transizione democratica, in cui le tendenze positive in ambito socio-politico ed economico erano copiate da un paese all’altro.

Un nuovo disegno di legge sulla Corte Suprema, adottato in questi giorni dal parlamento polacco, ha intrapreso lo stesso percorso ma nella direzione negativa. La legge eliminerà l’attuale mandato del gruppo di giudici, inclusa la presidente della Corte, che si è mostrata molto attiva nelle critiche che rivolge alle recenti riforme del sistema giudiziario in Polonia. Ciò, a sua volta, incoraggerà il governo a introdurre cambiamenti più strutturali senza la legittimazione democratica (ovvero in mancanza di una maggioranza costituzionale in parlamento) e basati solamente sul volere politico e l’ambizione autocratica di Jarosław Kaczyński.

Sembra uno schema proveniente dall’Ungheria. Per rimuovere il presidente della Corte Suprema ungherese Andras Baka, critico nei confronti delle epurazioni del governo nel settore giudiziario, il partito di governo Fidesz ha estinto il suo mandato oltre a promulgare molti altri cambiamenti inclusi nella nuova Legge Fondamentale del 2011. Il caso Baka contro Ungheria è stato portato di fronte alla Corte europea dei diritti umani (Cedu) a Strasburgo, che tre anni dopo ha stabilito che i cambiamenti erano illegittimi e che violavano i diritti del richiedente di accedere alla Corte.

Inoltre, la Corte ha ribadito che Baka in quanto presidente aveva il dovere di esprimere la sua opinione sulle riforme legislative che interessano il potere giudiziario. L’Ungheria ha richiesto che il caso venisse ulteriormente analizzato dalla Grande Camera della Cedu, ma nel giugno 2016 le corti hanno confermato la sentenza.

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Dunque sono stati necessari cinque anni per ottenere una decisione legalmente vincolante contro l’azione illegittima dell’Ungheria. In questo lasso di tempo, nuovo personale è stato assunto ed è risultato impossibile imporre la sostituzione senza danneggiare l’ordine giudiziario del paese.

Sembra che Kaczyński segua scrupolosamente le orme di Viktor Orbán nell’assicurarsi di rimuovere una potente e stimata fonte di critiche prima che possa fare progressi. Questo può includere: confermare le epurazioni nella pubblica amministrazione, nel corpo diplomatico e nel settore giudiziario (quest’ultimo nel caso dell’Ungheria), cambiare la legge elettorale limitando il ruolo dell’opposizione e assicurandosi che le elezioni siano confermate dal neodesignato presidente della Corte Costituzionale e da ultimo ridurre le possibilità di appello per i partiti che perdono i ricorsi nei tribunali di istanza inferiore del sistema giudiziario polacco.

L’unica differenza è che Kaczyński non possiede una maggioranza costituzionale e cerca di imporre un disegno di legge che rappresenta un’evidente violazione della Legge Fondamentale (l’articolo 183.3 stabilisce un mandato della durata di 6 anni per il presidente della Corte Suprema, senza eccezioni).
Ma in realtà, se la volontà politica avrà la meglio sulla Costituzione, potrebbe raddoppiare il trucco di Orbán, introducendo molte altre misure che diventeranno irreversibili se non verranno bloccate rapidamente.

L'unico ostacolo formale che rimane a questo punto è la firma del presidente della repubblica, che, secondo la Costituzione, ha tre possibilità: firmare la legge entro 21 giorni; chiedere un parere alla Corte costituzionale o opporre il suo veto alla legge. Il veto può essere superato solo dai voto contrario dei due terzi dei deputati, una maggioranza di cui il PiS non dispone. Al momento, solo il veto può salvare la Polonia da uno scenario disastroso che potrebbe sfociare in una paralisi istituzionale e anche sospendere la partecipazione piena e intera della Polonia all'Ue.

Il presidente Duda, che finora si è distinto per aver firmato tutto le leggi che il PiS ha proposto, ha chiesto in modo molto fermo che la legge venisse modificata. Ha chiesto dei cambiamenti che garantiscano la sua posizione politica nella Costituzione, minacciando di non firmare più alcuna legge. Inoltre, è stato molto critico nei confronti di alcuni errori formali nella formulazione e nella procedura di adozione della legge in parlamento. Il 24 luglio, Dudaha annunciato che opporrà il suo veto.

Nel frattempo, le manifestazioni di piazza cominciate una settimana fa sono cresciute attraverso il paese, malgrado la maggior parte della gente sia in ferie. Ogni notte i dimostranti si riuniscono di fronte al palazzo presidenziale, a Varsavia, o ai tribunali in altre città, chiedendo che il presidente metta il suo veto e per esprimere il loro sostegno allo stato di diritto. È da notare che i dimostranti sono per la maggior parte giovani, spesso delle famiglie tra i 20 e i 30 anni, mentre chi è sceso in piazza negli anni precedenti erano essenzialmente dei veterani del movimento Solidarność degli anni Ottanta. Fra i giovani, l'82 per cento si dichiara all'opposizione — un numero nettamente superiore al 53 per cento della popolazione — rivela un sondaggio Ibris pubblicato il 19 luglio.

Come abbiamo già evidenziato in un articolo per Foreign Policy, il supporto univoco per il Presidente Usa dopo la sua visita in Polonia non ha fatto altro che incoraggiare questo governo a agire contro la cultura politica europea e le basi fondanti della democrazia parlamentare. Oggi, la Polonia è pronta a seguire le orme dell’Ungheria e spingersi ancora oltre nel rifiutare in toto l’ordine europeo. Simili sviluppi, già precedentemente sperimentati in altre zone dell’Ue, sono potenzialmente contagiosi come ogni momento rivoluzionario conosciuto nella storia. Se non vengono arrestati, possono diventare un modello per molti altri paesi del continente e mettere a rischio l’Unione europea.

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