Idee Che cosa ci attende nel 2019

Un anno decisivo per l’Europa

Se il 2018 è stato un anno fitto di difficoltà per la politica, il 2019 potrebbe essere un anno altrettanto frenetico. Mentre nei primi mesi dell’anno continueranno a dominare le incertezze per la Brexit, grande attenzione sarà rivolta al risultato delle elezioni europee: si prevede che i partiti populisti guadagneranno terreno, influendo sulla capacità dell’Europa di mettersi al seguito della tradizionale “locomotiva franco-tedesca”. Questo è il parere del politologo olandese Cas Mudde.

Pubblicato il 26 Dicembre 2018 alle 18:56

Chi sperava in una pausa della politica convulsa degli anni scorsi non se l’aspetti nel 2019. L’anno prossimo sarà il momento di elezioni su vasta scala in Europa: le parlamentari in 7 stati membri dell’Ue (e in Svizzera), le presidenziali in 6 (oltre a Macedonia e Ucraina) e, naturalmente, la madre di tutte le elezioni: le europee a maggio. E queste sono soltanto le consultazioni elettorali già programmate. Di conseguenza, pronosticare come sarà il 2019 è quasi impossibile, tanto meno in un breve articolo come questo. In ogni caso, lasciate che ci provi.

Prima di tutto, che lo si voglia o meno – e la maggior parte di noi non lo vuole da tempo – la Brexit dominerà i primi mesi del 2019. Verranno indette elezioni per un nuovo parlamento? Ci sarà un nuovo “people’s vote” (ossia un secondo referendum)? L’uscita del Regno Unito avverrà con una deal Brexit o una no-deal Brexit? E infine, accadrà davvero? Le vostre risposte a questi interrogativi sono valide quanto le mie, ma una cosa è certa: continueremo a preoccuparci come minimo per alcuni mesi ancora. E così pure avverrà per le ricadute politiche di una (non)decisione, in particolare all’interno del Regno Unito stesso, ma anche nell’Ue e nei suoi stati membri, e soprattutto nella Repubblica d’Irlanda.

In secondo luogo, nel 2019 la cosiddetta “ascesa del populismo” continuerà dominare l’attualità della maggior parte dei mezzi d’informazione che seguiranno le varie tornate elettorali. Se i partiti populisti riscuoteranno qualche modesta vittoria, si tratterà di risultati molto disomogenei e, perlopiù, della destra radicale.

Si può prevedere che i partiti oggi al governo perderanno consensi: per esempio il partito dei Veri finlandesi  in Finlandia, e Syriza in Grecia (come pure i Greci Indipendenti). Perfino il Partito popolare danese, che appoggia il governo liberale di minoranza, è previsto in (modesto) calo. Nel frattempo, possiamo immaginare che molti altri partiti radicali populisti di destra, ora all’opposizione, otterranno risultati eccellenti; nello specifico il Vlaams Belang in Belgio e in particolare il partito di destra al momento meno conosciuto in Europa, il Partito popolare dei conservatori in Estonia, che al momento è dato al 15 per cento.

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L’eccezione più significativa rispetto a questa tendenza generale è quella del partito polacco Diritto e Giustizia (PiS), il terzo evento principale della politica nel 2019. Malgrado le opposizioni interne e le critiche internazionali, inclusa un’opposizione abbastanza energica da parte dell’Ue – soprattutto se paragonata al misurato approccio adottato dall’Unione nei confronti di Viktor Orbán in Ungheria – il governo del PiS, una destra radicale populista, ha guadagnato sempre più popolarità. A differenza di quanto accade in Ungheria, tuttavia, il PiS deve far fronte a un’opposizione liberaldemocratica sufficientemente ben organizzata (Piattaforma Civica, Po) e non può trarre beneficio da un sistema elettorale tanto asimmetrico. Le elezioni del 2019 determineranno se il PIS potrà raggiungere una maggioranza costituzionale – con il (tacito) sostegno di Kukiz’15 – così da poter adottare sul serio l’illiberale “modello Budapest” o se dovrà continuare a esercitare pressioni per fare accogliere la sua agenda illiberale senza un mandato democratico. Allo stesso modo, questo costringerà l’Ue a mettere le carte in tavola: sarà disposta, e capace, di imporre sanzioni alla Polonia? O, al contrario tratterà con i guanti tutti i  democratici illiberali al suo interno?

Il quarto evento  del 2019, e ovviamente il più importante, sono le elezioni europee previste a  maggio. In questo caso quello che più conta non sono tanto i risultati elettorali dei vari gruppi politici e dei singoli partiti, quanto la loro composizione. Con l’uscita dei britannici dall’Ue, presumibilmente molti gruppi politici dovranno affrontare sfide complesse. I Conservatori e riformisti europei “euroscettici morbidi” (Ecr) sono dominati dai Tory, mentre gli “euroscettici duri” del Gruppo Europa della Libertà e della Democrazia diretta y (Eldd) sono controllati dallo Ukip, il Partito indipendentista del Regno Unito. Se da un lato si prevede un crollo dell’Eldd, dall’altro l’Ecr potrebbe accogliere molti di quegli ex affiliati e orientarsi ancor più verso l’estrema destra, e ciò a sua volta potrebbe portare – possibilità da mettere in conto – a una forma di collaborazione o addirittura a una fusione vera e propria con il partito di Marine Le Pen, Europa delle Nazioni e della Libertà (Enl).

Al tempo stesso, il Partito popolare europeo (Ppe) è dato in lieve flessione, presumibilmente aumenterà il suo ascendente (relativo)  su l'Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici (S&D). Ancora più importante è il fatto che, scegliendo come Spitzenkandidat il conservatore bavarese Manfred Weber e non l’ex premier finlandese Alexander Stubb, il Ppe si è formalmente impegnato a intraprendere un cammino politico più a destra, cosa che  indebolirà ancor più l’alleanza “centrista” Ppe-S&D-Alde che finora ha dominato il Parlamento europeo. Forse, se rimarranno almeno due gruppi euroscettici duri di destra, uno dei quali potrà restare fuori dal “regno della rispettabilità” per le politiche ufficiali di coalizione (per esempio l’Enl), le forze euroscettiche interne al Ppe potrebbero usarli per acquisire potere di veto, rendendo di fatto significativamente più problematica e meno probabile una maggiore integrazione europea.  

In definitiva, comunque, buona parte di tutto ciò dipende da un unico uomo – e questo è il quinto e ultima evento di grande importanza del nuovo anno – il presidente francese Emmanuel Macron. Il suo movimento En Marche, sfidato in piazza dai cosiddetti “gilet gialli” (“gilets Jaunes”) proprio mentre è alle prese con un tragico calo di popolarità, sembra aver perduto slancio sia in Francia sia in Europa. Macron, però, in passato ci ha già stupito e di questi tempi la politica francese è estremamente variabile.

Di conseguenza, anche se al momento potrebbe sembrare secondario, un buon risultato di Macron alle elezioni europee potrebbe ripristinarne l’autorità a Parigi e metterlo nella condizione di controllare le nomine di maggior peso a Bruxelles. Per di più, con la recente elezione in Germania di una francofila a capo dell’Unione cristiano-democratica (Cdu) – verosimilmente proiettata a diventare la prossima cancelliera tedesca – potremmo assistere perfino al ritorno della locomotiva franco-tedesca.

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