Idee Elezioni politiche in Svezia

Il giorno del giudizio è rinviato

Contrariamente a quanto previsto da molti mezzi d'informazione alla vigilia delle politiche del 9 settembre,in cui l'estrema destra sembrava in procinto di diventare l'ago della bilancia della politica svedese, il potere di formare un governo è ora nelle mani dei centristi, spiega Carl Henrik Fredriksson.

Pubblicato il 13 Settembre 2018 alle 15:02

Domenica scorsa Stoccolma era sotto assedio. I mezzi d’informazione di tutto il mondo avevano preparato telecamere, microfoni e computer portatili, pronti a raccontare la caduta di uno degli ultimi bastioni della democrazia social-liberale in Europa, forse il più illustre di tutti. Nessuno voleva perdersi lo spettacolo di un modello Svedese che finalmente stava per crollare sotto il peso dell’immigrazione e del fallimento dell’integrazione.

Secondo le previsioni, i Socialdemocratici, forza politica dominante in Svezia per oltre un secolo, sarebbero sprofondati come già accaduto ai loro omologhi in molti altri paesi europei. Inoltre i populisti di destra, quei Democratici di Svezia che affondano le radici nella scena neonazista degli anni ottanta, sarebbero diventati la principale forza politica svedese. O almeno questo era quello che si aspettava la folla di reporter e opinionisti.

Ma non è accaduto niente di tutto ciò. Il giorno del giudizio è stato rinviato. Alcuni giornalisti internazionali, parlando dei risultati elettorali), si sono attenuti alla sceneggiatura che avevano preparato, ma la verità è che il devastante terremoto annunciato, semplicemente non c’è stato.

Anche se hanno registrato il peggior risultato elettorale della loro storia, i socialdemocratici hanno comunque conservato il 28,4 per cento dei voti in un paese dove in parlamento sono rappresentati otto partiti. I socialdemocratici restano il primo partito svedese, con quasi 9 punti di vantaggio sul rivale più vicino, il Partito moderato (conservatore). Paragonato al tracollo del Partito socialista francese dell’anno scorso o alla recente disfatta dei socialdemocratici tedeschi, il risultato dei socialdemocratici svedesi non può certo essere definito un crollo totale.

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I Democratici di Svezia, dal canto loro, si sono fermati ben prima del 20 per cento, lontani dagli obiettivi della vigilia. Incoraggiati da alcuni sondaggisti, che evidentemente avevano modificato i loro algoritmi per evitare di sottovalutare come in passato il voto populista, i Democratici di Svezia avevano sperato di diventare il primo partito del paese, e l’obiettivo minimo era quello di raddoppiare i voti rispetto alle ultime elezioni, come avevano fatto a ogni appuntamento elettorale di quando Jimmie Åkesson è diventato il leader del partito, nel 2005.

E invece si sono fermati al 17,6 per cento dei voti, guadagnando appena il 4,7 rispetto al 2014. I Democratici di Svezia sono il terzo partito del paese e chiaramente i grandi vincitori delle elezioni, ma siamo molto lontani dalla rivoluzione attesa da molti, per non parlare dei commentatori che avevano ventilato la possibilità che i populisti potessero “impossessarsi del potere”.

Queste elezioni, comunque, sono state storiche in più di un senso. Innanzitutto hanno confermato che oggi la Svezia è un paese come tutti gli altri in Europa e che la leadership politica deve trovare alla svelta una risposta alla domanda che da tempo tormenta molti governi europei: come comportarsi con i populisti euroscettici di destra? A partire da domenica scorsa, questa non è più una domanda teorica o tattica, ma riguarda la realpolitik e il governo di questo paese.

Al momento non è chiaro se la Svezia sceglierà la soluzione austriaca (con l’inclusione dei populisti nel governo o quantomeno nel gruppo parlamentare che sostiene il governo, come hanno fatto i cancellieri Wolfgang Schüssel e Sebastian Kurz) o quella tedesca (in cui i partiti vicini al centro hanno superato la divisione politica tra destra e sinistra governando insieme). Comunque vada, la strada intrapresa sarà determinante per la politica interna e per il ruolo della Svezia nell’Unione europea.

In sostanza quasi un terzo dei componenti del nuovo parlamento vorrebbe che la Svezia uscisse dall’Unione europea. Oltre al successo dei Democratici di Svezia, che si descrivono come nazionalisti e social-conservatori, dalla parte opposta dello spettro politico, il Partito della sinistra ha sfiorato l’8 per cento, conquistando 7 seggi in più rispetto alla passata legislatura. I radicali euroscettici, insomma, sono i grandi vincitori di queste elezioni.

Dopo il voto di domenica, il problema più impellente è quello di uscire dallo stallo provocato dal sostanziale pareggio tra i due blocchi tradizionali. Da una parte abbiamo il Partito della sinistra, i Verdi e i Socialdemocratici, dall’altra l’Alleanza di centrodestra che comprende il Liberali, il Partito di Centro, i Democratici cristiani e il Partito moderato, e nessuno dei due schieramenti può formare un governo senza un appoggio esterno. Tutti gli occhi, anche in questo caso, sono puntati sui Democratici di Svezia, che potrebbero risultare decisivi.

È una prospettiva comprensibile, anche perché la “politica dei blocchi” ha avuto un ruolo di primo piano in Svezia almeno dal 1945. Eppure, osservando più attentamente cosa è accaduto alla vigilia e immediatamente dopo il voto, si può giungere a una conclusione diversa. Forse non siamo davanti alla “sepoltura della politica dei blocchi” annunciata dal primo ministro socialdemocratico Stefan Löfvén. Al contrario, potremmo assistere alla formazione di un nuovo blocco a destra composto dai Democratici cristiani, dal Partito moderato e dai Democratici di Svezia. In ogni caso sembra che a decidere davvero il futuro della politica svedese non saranno i partiti ai margini, ma i due partiti che stanno al centro dello spettro, ovvero i Liberali e il Partito di centro.

Cambiando prospettiva, risulta evidente che il rafforzamento del centro politico potrebbe essere la vera rivoluzione politica autunnale della Svezia, e magari segnare l’avvento di un nuovo modello svedese. In tutta Europa ci sono molti politici che farebbero bene a riflettere su una massima di Theodor W. Adorno: “Il compito quasi impossibile è non lasciarsi accecare dal potere degli altri né dalla propria impotenza”. Per quanto possa sembrare difficile, molto dipende da questo – anche se ogni giornata elettorale non è il giorno del giudizio.

Cet article est publié en partenariat avec Internazionale

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