Attualità EuropaNow!

Manifesto per un patriottismo europeo

Mentre gli europei cedono sempre più alla tentazione del nazionalismo e della chiusura e il disegno europeo appare fragile quanto mai, l'associazione EuropaNow! si propone di difendere i valori fondamentali del nostro continente, incarnati negli Stati Uniti d'Europa che punta a fondare.

Pubblicato il 3 Ottobre 2018 alle 21:58

È arrivato il momento di agire.

Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Europa si è affermata come la più straordinaria invenzione politica della storia moderna.

Il progetto europeo ha messo fine a conflitti sanguinari e fratricidi, garantito la prosperità generale dei suoi cittadini, sviluppato un modello sociale senza pari al mondo (le spese sociali all’interno dell’Unione rappresentano il 50 percento del totale su scala mondiale), attenuato le disuguaglianze rispetto al resto del mondo, protetto le minoranze e promosso la cultura e il patrimonio artistico, e oggi l’Europa manifesta l’ambizione di trovare una risposta ai cambiamenti climatici. Eppure…

Eppure l’avventura collettiva europea ha progressivamente lasciato spazio al risentimento, alla regressione, alle divisioni e ai dubbi, fino a scoprire il fianco, un po’ ovunque, all’avanzata dell’estrema destra, delle forze anti-sistema e dei gruppi etno-nazionalisti.

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In poche parole, l’Europa ha perso la sua forza propulsiva.

Possiamo dare la colpa a fattori esterni imprevedibili? Senza dubbio. La crisi finanziaria arrivata dagli Stati Uniti, la sfida dei flussi migratori, l’angoscia per i bruschi cambiamenti prodotti nelle nostre società dalla globalizzazione e dalle nuove tecnologie hanno intaccato la fiducia che i cittadini europei avevano nella costruzione di un’Unione sempre più compatta e fraterna.

“L’idea europea è incontestabile, ma purtroppo l’Europa è diventata amministrazione, e la gente confonde l’idea con l’amministrazione”, ha riassunto efficacemente il regista Wim Wenders.

Ma al contempo dobbiamo riconoscere le responsabilità dell’egoismo dei governi nazionali, incapaci di immaginare soluzioni efficaci e di dotarsi degli strumenti adatti per rispondere ai cambiamenti storici, socio-economici, ambientali e culturali, in altre parole di civiltà.

In un pianeta in cui oggi vive un miliardo di esseri umani in più rispetto a dodici anni fa (il doppio della popolazione dell’Ue) e considerando la crescita di nuovi protagonisti intraprendenti a cominciare dalla Cina, l’impotenza dei vecchi stati europei si è trasformata in un’ostilità diffusa verso le classi dirigenti, i corpi intermedi e oggi anche verso l’Europa, diventata per l’opinione pubblica sinonimo – non senza giustificazioni – di burocrazia, istituzioni velleitarie e pletoriche, oltre che fin troppo facile un capro espiatorio.

Ma da dove viene questa immobilità su cui marciano gli estremisti? La risposta è semplice: l’Europa è in mezzo al guado, non abbastanza unita e integrata per rispondere alle crisi, agli scossoni e alle trasformazioni del mondo.

Oggi la situazione è paradossale: dal 1957 la costruzione dell’Unione ha fatto abbastanza passi avanti perché i cittadini la percepiscano come una realtà e pretendano risultati, ma al contempo non dispone di poteri sufficienti (che restano sostanzialmente in mano ai governi nazionali) per mantenere le sue promesse, e tra l’altro non gode della legittimità democratica necessaria per agire. Questa posizione ambigua rischia di rivelarsi fatale.

Davvero qualcuno crede che un singolo stato dell’Unione sia in grado di regolamentare la finanza internazionale? Davvero qualcuno immagina che i giganti di internet accetterebbero di sottomettersi alle leggi nazionali quando il loro giro d’affari supera il Pil del Belgio, dell’Austria o della Danimarca? Come possiamo difendere i diritti sociali e l’eccezione culturale o affrontare le sfide climatiche e migratorie trincerandoci dietro frontiere nazionali obsolete?

Incapaci di raccogliere queste sfide, i governi nazionali hanno perso il sostegno della popolazione, che manifesta tutta la sua sfiducia nei confronti dei rappresentanti politici, delle istituzioni e in generale della democrazia. L’Europa è una vittima collaterale di questo processo, il parafulmine di tutte le recriminazioni e le speranze disattese. Nei confronti dell’Europa, questa sfiducia generalizzata si è moltiplicata perché in fondo non è che la somma delle incapacità dei diversi governi nazionali.

Per molto tempo abbiamo creduto che dopo le tragedie belliche e totalitarie del XX secolo, il cammino verso un’unità sempre più stretta fosse ormai avviato. Purtroppo i contraccolpi della storia ci ricordano che l’Europa è una costruzione umana, per sua natura fragile. “La federazione europea non è qualcosa che avverrà per incanto perché c’è una certa logica”, avvertiva Altiero Spinelli. “La federazione è una costruzione che gli uomini debbono fare ed è una cosa della nostra epoca”.

È per questo che è arrivato il momento di agire, di andare oltre le parole e di costruire le fondamenta degli Stati Uniti d’Europa.

È il momento di agire per ottenere una maggiore integrazione dello spazio europeo senza cui non saremo in grado di competere nel futuro prossimo in un mondo diviso in macro-regioni.

Oggi l’Europa è la condizione della politica.

Senza unione non avremo alcuna possibilità di regolare la globalizzazione e la finanza mondiale, di assicurarci i mezzi necessari per difendere il nostro modello sociale e culturale, di lottare efficacemente contro le disuguaglianze, di ridurre la povertà, di affrontare serenamente la sfida migratoria, di cercare una soluzione ai conflitti e di avere un peso nelle decisioni da prendere per contrastare il cambiamento climatico.

Ma una maggiore integrazione non avrebbe alcun valore se fosse soltanto il prodotto della necessità, del calcolo economico e dell’utilità, perché l’edificio resterebbe fragile e rischierebbe di crollare ai primi venti contrari. L’Europa deve affermarsi prima di tutto, fondamentalmente e visceralmente, come espressione di una volontà collettiva, di un sentimento di appartenenza comune, di un’identità e di un’immaginario condivisi. È il momento che il popolo europeo prenda in mano il suo destino.

Narrazione europea

È il momento di rivendicare un patriottismo che non sia basato soltanto sui concetti falsi, malsani e mortali dell’etnia e del sangue, ma sui valori condivisi di democrazia, solidarietà e modello economico, sociale e ambientale che abbiamo ereditato dal nostro passato comune. Grazie alla sua natura, alla sua varietà, alla sua diversità di lingue, origini, culture, opinioni religiose e laiche, il patriottismo europeo sarà inevitabilmente una forma nuova di internazionalismo.

L’Europa merita una sua propria narrazione, una sua epica.

Il popolo europeo esiste ed è costituito prima di tutto dai milioni di studenti Erasmus che da trent’anni vivono l’Europa, ne riconoscono le ferite storiche e vi ripongono le loro speranze per un domani prospero e di fratellanza.

Loro sono un’avanguardia, i primi nella storia a essere nati “europei”. Tocca a loro, testimoni privilegiati, incarnare l’ideale europeo, mobilitarsi, organizzarsi e inventare la democrazia dell’avvenire.

Tocca alla generazione Erasmus ritrovare l’audacia, il coraggio e l’ambizione dei padri fondatori del progetto europeo, creare nuove forme d’azione e impegno democratico per riempire il solco che separa i rappresentanti politici e i cittadini. Tocca a loro, in definitiva, restituire un’anima all’Europa.

Di sicuro bisogna rafforzare le reti studentesche già esistenti, che ricordano i legami tra le università del Medioevo. Ma bisognerà anche crearne altre, sempre più efficaci, strutturate, capaci di mobilitare le persone.

Queste sono le motivazioni dietro “EuropaNow!”, un’associazione nata per reagire alla sensazione di impotenza e di incompiuto. Oggi abbiamo l’urgenza di reagire, andando oltre gli appelli, oltre le azioni di semplice testimonianza, oltre la rassegnazione, per fare confluire le tante iniziative sparpagliate.

Gli europei, a cominciare dalla generazione Erasmus, devono agire insieme, discutere insieme, strutturare i loro sforzi insieme. Il loro compito è quello di immaginare e costruire il futuro.

Per questo motivo “EuropaNow!” lavorerà in tre direzioni:

  1. Individuare un metodo per incarnare l’Europae rendere sempre più concreta, visibile e quotidiana questa convinzione intima di appartenere a una comunità dal destino comune.In occasione del sessantesimo anniversario del Trattato di Roma, con il sito d’informazione Voxeurop, abbiamo realizzato un cortometraggio che vuole essere un album di ricordi e mostrare gli slanci, le ferite, l’immaginario cinematografico collettivo e le battaglie di ieri e di oggi. Bisogna proseguire in questa direzione, intervenire nello spazio pubblico, appropriarsi dei simboli europei, ribadire che appartengono ai cittadini prima ancora che alle istituzioni di Bruxelles, dimostrare che il patriottismo europeo è già una realtà.

  2. Cambiare l’Europa hic et nunc. Individuare le priorità e le urgenze (economiche, sociali, ambientali, culturali ecc.) dell’Europa di oggi, per elaborare e presentare proposte concrete che possano, allo stato attuale delle istituzioni e attraverso gli strumenti d’intervento presso il Parlamento di Strasburgo, la Commissione europea e gli stati nazionali, trasformarsi in riforme radicali, progetti di legge e iniziative popolari concrete. “L’Europa non ha alcuna possibilità di farcela? Allora diamole corpo e cogliamo questa possibilità” cosi ci sprona l’ex eurodeputato Daniel Cohn-Bendit.

  3. Immaginare la struttura politica e istituzionale dei futuri Stati Uniti d’Europa, porre le basi per crearli al più presto attraverso l’organizzazione di assemblee costituenti, democratiche e partecipative.

Non dobbiamo mai dimenticare l’invito sotto forma di messa in guardia, rivolto dall’ex dissidente e presidente cecoslovacco Vaclav Havel al consiglio d’Europa, nel 1990: “Se non saremo capaci di sognare una migliore Europa, non costruiremo mai un’Europa migliore”.

Allora sogniamola, costruiamola, EuropaNow! – L'Europa è adesso!

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