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Il calcio sopravviverà al coronavirus?

La sospensione dei diversi campionati – locali, nazionali ed europei – a causa dell’epidemia del coronavirus sta mettendo in grandi difficoltà il calcio professionale. Per questo settore, che rappresenta miliardi di euro all’anno, il “mondo di domani” potrebbe essere molto diverso da quello di ieri.

Pubblicato il 27 Aprile 2020 alle 07:58

"Se non giochiamo a porte chiuse il prima possibile, è inutile chiedersi se avremo un campionato con 18 o 20 squadre, perché non avremo più nemmeno 20 club professionisti". Christian Seifert non è un editorialista che usa frasi shock per sedurre i lettori. Ma è un dirigente molto serio della Lega Calcio tedesca. Dall’altra parte della Manica, il tono è altrettanto catastrofico per Greg Clarke, capo della English Football Association, che teme "la chiusura di diverse società calcistiche, e persino di alcune serie a causa del tracrollo finanziario". È bastato un virus per scuotere un’economia – quella del calcio professionistico – che dopo tanti anni sembrava finalmetne solida.

La crisi del coronavirus ha colpito un modello economico relativamente stabile. Dal punto di vista delle entrate, le squadre professionali europee hanno generato 21,1 miliardi di euro di ricavi, un dato quintuplicato in venti anni. Certo, questo risultato è da attribuire principalmente a una trentina di club ricchi e famosi, ma una crescita così forte e costante è piuttosto rara per un mercato così "antico".

Sul fronte della spesa, le principali società sono state costrettie a ridurre le spese per ricadere nel Fair Play Financial (FPF), un sistema normativo nato dopo la crisi finanziaria del 2008 con l’obiettivo di ripulire la situazione del calcio europeo, all’epoca fortemente indebitato. Di conseguenza, il calcio è diventato complessivamente redditizio (sotto l’impulso delle squadre più importanti), e ha ridotto significativamente i suoi debiti.

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L’ultimo indicatore finanziario interessante è il patrimonio netto delle società calcistiche. Questo è cresciuto in modo significativo negli ultimi dieci anni, consentendo alle squadre di guardare avanti.

Di conseguenza il settore non è stato economicamente sano come negli ultimi dieci anni. Come si spiega allora che si trovi sull’orlo del baratro dopo solo un mese di interruzione delle partite?

La prima risposta è molto semplice: il calcio si è fermato completamente da un giorno all’altro, tagliando improvvisamente la maggior parte delle sue fonti di reddito. Nessun settore è mai uscito indenne da una situazione del genere, le località sciistiche o i musicisti possono testimoniarlo.

Seconda spiegazione: il calcio è un settore con costi fissi molto elevati. Quando un trasportatore non può far funzionare i suoi camion, ne soffre, ovviamente, ma almeno risparmia carburante, che rappresenta circa il 30 per cento dei suoi costi. Il costo di gran lunga maggiore per le società calcistiche è rappresentato dagli stipendi dei giocatori (e in misura minore da quelli del personale non sportivo). In Europa, il 64 per cento delle entrate viene speso per questo… un tasso che non è cambiato in dieci anni, mentre le entrate complessive sono esplose.

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Le società calcistiche non sono state quindi in grado di fare un salto di redditività tenendo sotto controllo il costo del lavoro, e il miglioramento della loro redditività è venuto da altri fattori (un minore onere del debito ad esempio). Questo fenomeno è più o meno amplificato a seconda del paese e delle categorie. "In Inghilterra, per esempio, alcune squadre di serie B faranno di tutto per passare alla serie A e accedere ai colossali diritti televisivi che distribuisce. Reclutano giocatori molto costosi nella speranza di fare il salto, tanto che la loro spesa per i salari a volte supera il loro reddito operativo", spiega l’economista dello sport Pierre Rondeau.

"Il parametro dello stipendio è ciò che fa la differenza tra le società di calcio professionistiche e quelle di altri sport come la pallavolo, la pallamano o la pallacanestro", aggiunge Christophe Lepetit, responsabile degli studi economici presso il Centro di Diritto ed Economia dello Sport di Limoges. "Il calcio beneficia molto meno dei programmi di cassa integazione istituiti dai governi, perché gli indennizzi sono limitati – per esempio a 5.400 euro al mese in Francia", continua. Questo probabilmente spiega perché il calcio ha fretta di chiudere la stagione mentre le competizioni di pallavolo e basket femminile professionistico francese hanno annunciato nei giorni scorsi che saranno chiuse definitivamente quest’anno.

Il gioco è quindi bloccato in una morsa: i suoi costi fissi sono in buona parte determinati dai salari e tutte le sue fonti di reddito sono state ridotte a causa del virus. La più importante fra queste ultime sono i diritti televisivi, soprattutto quelli derivanti dai campionati nazionali.

Con la sospensione delle partite molti canali televisivi hanno annunciato che non pagheranno i diritti delle gare annullate. In Francia, ad esempio, Canal + e BeinSport lo hanno annunciato nei giorni scorsi. Perdita per le società francesi: 200 milioni di euro. Altri partner che vogliono rinegoziare i contratti in corso sono gli sponsor, con perdite stimate dalla società KPMG in 140 milioni di euro per il calcio francese. Un altro scenario possibile è la ripresa del calcio, ma senza tifosi, con le partite a porte chiuse. In questo caso, dovremmo (sempre in Francia) rinunciare a 40 milioni di euro di ricavi da biglietteria e una buona parte di quelli da merchandising (vendita di magliette, ecc.).

Infine, il calcio francese dipende molto dal caliomercato. I club francesi sono generalmente in perdita, ma hanno un grande vantaggio: sono tra i migliori formatori del mondo. La maggior parte di loro bilanciano i loro conti vendendo giovani giocatori a club inglesi e spagnoli a un prezzo elevato. Lo scorso anno i club francesi hanno realizzato un utile netto su trasferimenti di quasi 310 milioni di euro. Questo schema è lo stesso per molti club "minori" dei campionati meno ricchi (Portogallo, Belgio, ecc.). Ma i clienti inglesi e spagnoli, impoveriti dal coronavirus, quest’estate faranno scendere i prezzi: il centro di ricerca Cies stima che il valore dei giocatori sia già sceso del 28 per cento a causa del virus.

Molte società calcistiche europee sono quindi a rischio, soprattutto nel breve periodo, perché il pericolo principale riguarda il flusso di cassa: gli stipendi devono essere pagati subito, mentre alcuni introiti non sono necessariamente persi, ma posticipati, come gli incassi dei biglietti o i diritti televisivi (se le partite di fine stagione si giocano finalmente all’inizio dell’estate). Le società sono quindi alla ricerca di compromessi con i giocatori. In Francia è stato raggiunto un accordo con il sindacato dei giocatori per dolazionare nel tempo il pagamento degli stipendi.

Altrove in Europa ogni squadra negozia individualmente con i propri dipendenti. Un’altra strategia è quella di cercare con urgenza denaro fresco. Gérard Lopez, presidente della squadra di Lilla, il Losc, ha quindi iniziato a cercare prestiti da fondi di investimento per tutti i club francesi che ne fanno richiesta. "Stiamo parlando di un tasso d’interesse dell’8 per cento, che è abbastanza alto dato il livello complessivo dei tassi d’interesse al momento", dice Pierre Rondeau. "Questo dovrebbe aumentare l’onere del debito dei club francesi per diversi anni". Come quelli francesi e al di là del flusso di cassa a breve termine diverse società calcistiche europee sono minacciate a medio e lungo termine.

Per Pierre Rondeau si distinguono quattro profili di società. Il primo è quello delle squadre "detenute da un investitore che è venuto per far soldi a breve termine, e che si rende conto di aver fatto una pessima scommessa". Una di queste è il Girondins de Bordeaux, di proprietà del fondo americano King Street, che già prima della crisi pensava di ritirarsi. Secondo profilo: squadre controllate da fondi stranieri che erano arrivati con obiettivi poco chiari, come l’Olympique de Marseille. "L’americano Franc Mc Court avrebbe voluto costruire sul medio-lungo termine, ma l’orizzonte di redditività si è chiaramente allontanato, poiché la crisi lascerà il suo segno sui conti della squadra", continua Pierre Rondeau. Il terzo profilo è quello delle squadre "casinò", il cui modello di business è particolarmente focalizzato sul commercio dei giocatori. As Monaco o Lilla soffriranno così della svalutazione dei loro giocatori. Il quarto profilo riguarda le squadre di proprietà di una persona direttamente colpita dal coronavirus, come Olivier Sadran, proprietario del Toulouse FC, e anche Ad di Newrest, una compagnia di catering nel settore aereo.

Cosa c’è dopo?

Se al momento la priorità sta nella gestione dell’emergenza, la crisi ha già aperto il dibattito sul futuro modello del calcio europeo dopo il coronavirus. Sono possibili tre scenari, a seconda della durata della crisi. Il primo si verificherà se la crisi economica rimane congiunturale, e se il calcio potrà riprendere entro maggio. "Il calcio professionistico sopravviverà a questa crisi perché le società sono state piuttosto serie, soprattutto grazie al fair play finanziario", dice l’economista Bastien Drut, che prevede soprattutto "un po’ di moderazione nel calciomercato e una minore crescita dei ricavi nei prossimi anni".

Se la crisi andrà avanti ancora a lungo sono possibili due scenari: uno molto positivo aprirebbe la strada a una maggiore regolamentazione del calcio. Verrebbero fissati dei massimali ai salari a livello europeo, dei limiti alla quantità di trasferimenti, delle quote di giocatori per squadra che dovranno essere stati formati dalla squadra stessa, la costituzione di riserve per affrontare le crisi, ecc. Queste misure costringerebbero le società a riflettere e lavorare sul lungo periodo, rafforzando così il loro capitale proprio e limitando la spesa per i salari. L’altro scenario è meno roseo. Se molte società falliranno, soprattutto quelle più piccole, le maggiori scuderie di ogni paese potrebbero approfittarne per formare un campionato europeo chiuso. Un vecchio sogno che la crisi potesse accelerare, grazie a una "strategia d’urto".

"In realtà, ci sono le condizioni giuste per entrambi gli scenari", osserva Christophe Lepetit. "Al Cdes, ovviamente, stiamo spingendo per approfittare della situazione per regolamnetare meglio il calcio". "Purtroppo non mi faccio illusioni", dice Loïc Ravenel, ricercatore del Centro Internazionale di Studi Sportivi. "Dovrebbero fallire per davvero parecchie società – e anche alcune delle più famose – perche si possa andare verso una grande riforma egualitaria", osserva. "Non dobbiamo mai sprecare una buona crisi", ha detto un consigliere di Barack Obama nel 2008. L’unica domanda è chi potrà usarla per plasmare il volto del calcio di domani.

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