Intervista Cas Mudde e l’estrema destra

“Stiamo vivendo la quarta ondata dell’estrema destra dal Dopoguerra”

Cas Mudde, analista ed esperto di populismo ed estrema destra parla del suo ultimo libro, Ultradestra. Il politologo olandese residente negli Stati Uniti Spiega come una visione incentrata sull’autoritarismo e il nativismo sia diventata ormai parte del discorso mediatico-politico, con la complicità dei partiti moderati e dei media mainstream.

Pubblicato il 22 Ottobre 2020 alle 17:01

Voxeurop: Come è iniziato il suo interesse per i movimenti radicali e l’estrema destra?

Cas Mudde: Sono cresciuto in Olanda negli anni Settanta e Ottanta, e il fascismo e la Seconda guerra mondiale erano onnipresenti nei nostri programmi scolastici di storia e nel dibattito politico. Ogni cosa si è poi amplificata nel 1982, con la svolta elettorale del mal denominato Centrumpartij (CP, Partito del centro). Sebbene il partito della destra radicale abbia conquistato appena lo 0,67 per cento dei voti, riuscì a ottenere un seggio in parlamento e questo portò a contro manifestazioni  e discussioni infinite su come fermare il “fascismo”. Quella reazione, così sproporzionata, e il timore irrazionale all’epoca per l’estrema destra mi hanno affascinato.

Perché ha sentito l’esigenza di scrivere un libro come Ultradestra? Cosa porta di nuovo sull'argomento? 

Il motivo principale che mi ha spinto a scrivere questo libro  è la frustrazione che mi genera l'uso del termine “populismo” come sinonimo di “estrema destra”. “Populismo” è sì un termine utile, ma indica qualcosa di più ampio di “estrema destra” e l’estrema destra è qualcosa di più ampio di “populismo”. Al cuore dell’estrema destra c’è il nativismo, non il populismo, e le due cose non dovrebbero essere confuse. Il nativismo discrimina sulla base dell’etnia, il populismo sulla base della morale. Il nativismo è ostile alle minoranze etniche, il populismo alle élite.

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Sebbene lo scopo principale del libro sia fornire una panoramica comprensibile dell’estrema destra contemporanea, in esso si trovano alcune idee nuove, in particolare quella per cui oggi stiamo vivendo la quarta ondata del Dopoguerra di una politica dell’estrema destra, che è caratterizzata dalla presenza di questi partiti e movimenti nel discorso mainstream e dalla  banalizzazione dei protagonisti e delle idee di estrema destra.

Esiste una differenza tra estrema destra e destra radicale?

Sì. L’estrema destra comprende sia l’estrema destra sia la destra radicale. Mentre l’estrema destra respinge la democrazia in quanto tale — per esempio la sovranità popolare e la legge della maggioranza —  la destra radicale accetta la democrazia, ma contesta le istituzioni più importanti e i valori della democrazia liberale, quali i diritti delle minoranze, la legalità e la separazione dei poteri.

Uno dei punti che lei considera più importanti è che nella maggior parte dei Paesi occidentali, soprattutto europei, l’opinione, le idee e il dibattito di estrema destra siano diventati mainstream. Come è potuto accadere?

Questo processo si è sviluppato in vari paesi e si è manifestato prima in Francia che, per esempio, in Germania. Gli attentati terroristici dell’11 settembre e il modo col quale quel conflitto è stato presentato dai mezzi d'informazione e della politica mainstream come una minaccia dell’“Islam politico” ai “valori occidentali” ha avuto un ruolo importante nel mettere in collegamento le posizioni di estrema destra, da tempo invalse, con il dibattito tradizionale. In molti Paesi, di fatto, l’estrema destra ha giocato un ruolo minuscolo nel modo di presentare l’11 settembre, ciò non toglie che ha saputo trarne vantaggio. Una volta che poi che questi partiti si sono presentati alle elezioni  i media e i politici mainstream hanno iniziato a definire gli elettori dell’estrema destra “il popolo” e parlare di  “buon senso” per le loro (presunte) preoccupazioni.

I mezzi d'informazione e i social media hanno una responsabilità? Se sì, in che misura? Secondo lei i politici di estrema destra dovrebbero vedersi precluso l’accesso ai media per il bene della libertà di espressione e di un dibattito democratico?

I mezzi d'informazione mainstream hanno una grande responsabilità, da questo punto di vista. Molte cose sono accadute ben prima che i social media avessero il peso che hanno oggi e ancora oggi soltanto una minoranza di persone è attiva su social media come Twitter. Al contrario, i media mainstream di estrema destra come Bild, Le Figaro, The Times hanno reso mainstream l’islamofobia. E i mezzi d'informazione mainstream di sinistra come il Guardian, il New York Times, de Volkskrant hanno dato spazio spropositato nelle loro pagine degli editoriali ai politici di estrema destra o a individui come Steve Bannon.

Libertà di parola non significa avere diritto a un articolo di opinione o a un editoriale sul New York Times. Non significa un’intervista edulcorata sullo Spectator. Significa che lo stato non ha il diritto di limitare la tua libertà di parola. I media dovrebbero raccontare in maniera critica e analizzare gli attori politici di tutte la parti, compresa l’estrema destra, ma dovrebbero essere estremamente critici nei confronti di quegli attori e di quelle idee che sono nemici dei fondamenti stessi della democrazia liberale. Si tratta di una esigenza intrinseca a ogni mezzo di comunicazione libero e indipendente. Non li si dovrebbe ignorare o “combattere”, ma non li si dovrebbe nemmeno trattare da “altri”, per esempio i partiti liberali democratici, o dare loro un’attenzione sproporzionatamente “negativa”, in quanto la prima li rende popolari, la seconda ne aumenta la visibilità.  

“Libertà di parola non significa avere diritto a un articolo di opinione o a un editoriale sul New York Times. Non significa un’intervista edulcorata sullo Spectator. Significa che lo stato non ha il diritto di limitare la tua libertà di parola.”

Quali sono le conseguenze di questa tendenza, a livello politico e per le società europee?

A livello politico si è prodotta una spinta della  politica europea sempre più a “destra”, per esempio verso la politica autoritaria e nativista. Lo si è visto chiaramente durante l’ondata della cosiddetta “crisi dei migranti” del 2015. Tra l’altro, entrambi i termini “migranti” (al posto di richiedenti asilo o rifugiati) e “crisi” (invece di sfida o situazione difficile) sono esempi di formulazioni di estrema destra, anche se gli sviluppi rimontano ad almeno quindici anni prima di quella data. Inoltre, questa tendenza ha reso molti partiti di estrema destra Koalitionsfähig (accettabili per le coalizioni) e questo ha rafforzato ancor più la destra e l’ha spinta sempre più a destra.

Gli effetti sulle società europee non sono così ovvi. Questa tendenza ha contribuito a rendere importanti le tematiche di “estrema destra” come la corruzione, la criminalità, l’immigrazione agli occhi di alcune fasce della popolazione, ma non necessariamente ha reso le società più autoritarie e nativiste, in parte perché lo erano già, in parte perché i più giovani sono meno autoritari e meno nativisti. Ci sono evidenze da cui risulta che le minoranze, in particolare quelle prese di mira dalla (estrema) destra si sentono meno rappresentate e sicure, ma spesso ci mancano dati attendibili su questo aspetto.

L’Unione europea ha avuto un ruolo?

Sì, grande. I leader e i partiti nazionali hanno usato l’Ue per depoliticizzare le questioni politiche controverse e spesso hanno usato l’Ue come un capro espiatorio per le politiche impopolari. Al tempo stesso, l’Ue negli ultimi decenni è diventata un’organizzazione diversa dal punto di vista qualitativo e da quello quantitativo, soprattutto a partire dal Trattato di Maastricht del 1992, che ha fatto nascere l’euroscetticismo diventato sempre più comune e che ha apportato vantaggi all’estrema destra. Infine, l’Ue è un riflesso europeo dei processi nazionali e pertanto a livello dell’Ue assistiamo a tematiche, aspetti e protagonisti di estrema destra diventati convenzionali e normali, soprattutto a causa del Partito popolare europeo (EPP, European People’s Party).

Questi movimenti collaborano al di là delle frontiere? In caso contrario, che cosa rende difficile la loro collaborazione?

L’estrema destra collabora a livello transnazionale, ma non particolarmente bene. Per esempio, i partiti di estrema destra al Parlamento europeo sono divisi più o meno in due gruppi politici di estrema destra, i Conservatori e riformisti europei che sono per l’appunto conservatori (European Conservatives and Reformists, ECR) e la destra radicale Identity & Democracy (I&D). Vi sono però anche membri di estrema destra nell’PPE (pensiamo a Fidesz) e nei non iscritti.

Nel complesso, vi sono evidenti affinità tra alcuni leader di estrema destra come Modi e Trump o Bolsonaro e Trump, anche se si tratta di affinità superficiali, utilizzate perlopiù per alimentare il sostegno nazionale. Non esiste una “Internazionale nazionalista” europea, e tanto meno globale. Questo è dovuto al fatto che in parte l’estrema destra dà priorità alla politica nazionale e in parte non le piace l’attuale “ordine mondiale liberale”, ma non ha una visione globale alternativa né tantomeno ne ha una da condividere.

"Il partito di estrema destra di maggior successo nella storia del Dopoguerra italiano, la Lega non ha un passato fascista e sotto molti aspetti è stato un partito antifascista. Con Matteo Salvini al comando le cose sono cambiate: sebbene il partito non sia ancora neofascista, Salvini flirta apertamente con la storia e i simboli fascisti"

Quali Paesi in Europa non stanno seguendo il trend dell’“estremizzazione di destra” e secondo lei perché?

È un po’ complesso parlarne, perché quando questa intervista verrà letta quello che sto per dire potrebbe essere già superato dagli eventi. Il punto è che nessun Paese può dirsi immune alle politiche di estrema destra. Alla fine del XX secolo pensavamo che fossero immuni i Paesi bassi e poi è arrivato Pim Fortuyn. All’inizio del XXI secolo pensavamo che Germania, Spagna e Svezia fossero immuni, e oggi tutti questi Paesi hanno forti partiti di estrema destra. Anche se Chega detiene un unico seggio al parlamento portoghese, dai recenti sondaggi risulta già vicino a un gradimento popolare a due cifre. Naturalmente, ci sono ancora Paesi refrattari, come Islanda e Irlanda, ma potrebbe trattarsi di un fenomeno solo temporaneo. Certo, hanno un basso livello di immigrazione (non-europea), ma così è anche per l’Europa orientale, che ha alcuni dei partiti di estrema destra più forti.

Quali sono le caratteristiche più importanti dell’estrema destra in Italia? Che cosa la distingue da quella degli altri Paesi europei? Quanto è vicina all’ideologia fascista? C’è nostalgia per quel regime, secondo lei?

L’estrema destra in Italia ha sempre avuto un solido rapporto con il fascismo e il regime fascista. L’Msi, il Movimento sociale italiano, era apertamente il successore del partito di Mussolini, anche se secondo la Costituzione italiana del Dopoguerra era illegale, e anche se i suoi successori – prima Alleanza nazionale, poi Fratelli d’Italia – sono meno apertamente tali e meno fascisti. In ogni caso hanno tutti un evidente legame istituzionale e regolarmente flirtano con i simboli fascisti o si lanciano nel revisionismo storico. C’è sempre stato un grande numero di partiti neofascisti più piccoli, come Forza Nuova o il Fronte Nazionale, così come gruppi sottoculturali come Casa Pound Italia. Tuttavia, il partito di estrema destra di maggior successo nella storia del Dopoguerra italiano, la Lega (ex Lega Nord), non ha un passato fascista e sotto molti aspetti è stato un partito antifascista, tenuto conto che ha rifiutato lo stato italiano. Con Matteo Salvini al comando, però, le cose sono cambiate e sebbene il partito non sia ancora neofascista, Salvini flirta apertamente con la storia e i simboli fascisti (come con il suo discorso dal balcone).

Lei vive negli Stati Uniti. Pensa che nel suo Paese le idee di estrema destra siano in ascesa? E che cosa prova nei confronti di ciò? A livello personale teme un’ascesa del fascismo in Europa? Come possiamo contrastare e rovesciare questa tendenza?

Dubito che le idee di estrema destra siano in ascesa negli Usa. Probabilmente, erano molto più diffuse parecchi decenni fa. Però in Donald Trump, che è apertamente razzista e amplifica e giustifica le idee e i gruppi di estrema destra, è evidente che hanno trovato un loro paladino: Trump incoraggia gli attivisti di estrema destra così come il razzismo quotidiano. Dalla sua elezione a oggi abbiamo assistito a un’esplosione dei casi di razzismo, persino nelle scuole elementari.

Temo l’ascesa dell’estrema destra in Europa, perché ha messo in luce l’opportunismo e la debolezza politica della politica mainstream così come un sostegno solo superficiale per le istituzioni democratiche liberali e i valori di molti europei (non soltanto elettori dei partiti di estrema destra). Il fatto che l’Unione europea –  che è stata fondata per impedire la nascita di un altro stato di estrema destra nel cuore dell’Europa –  abbia permesso a Orbán di trasformare l’Ungheria da una democrazia liberale (per altro, come è risaputo, imperfetta) in un regime autoritario di estrema destra, proprio mentre sovvenzionava ancora generosamente il Paese e di conseguenza Fidesz e  la cerchia degli intimi di Orbán, è uno dei più grandi fallimenti politici del Dopoguerra.

A preoccuparmi ancora di più è la normalizzazione dell’estrema destra. Alcune delle idee di fondo più “importanti” – per esempio che diversità e immigrazione costituiscano una minaccia per l’identità nazionale e la sicurezza – sono difese dai media e dai partiti tradizionali come “buonsenso”. Illustri membri della società civile, dai giornalisti agli accademici, non solo esprimono idee di estrema destra, ma in alcuni casi dirigono addirittura partiti di estrema destra. E ogni volta il “centro” scivola sempre più a destra, perché “se il professore X dice che l’immigrazione mette a rischio la sicurezza nazionale, non può essere razzista”.

Da poco lei si è unito alla folta schiera di chi ospita podcast con la sua trasmissione Radikaal. Di che cosa si tratta e di che quali informazioni tratterà? Che tipo di ospiti intende cercare?

L’estate scorsa ho dato inizio a un nuovo Podcast, RADIKAAL (in olandese significa “radicale”), che si concentrerà sugli aspetti radicali di musica, politica e sport. Si tratta di un luogo dove posso mettere insieme i miei interessi personali e accademici, avrà contenuti al di là dell’usuale lente ristretta della politica, per esempio i partiti e i parlamenti, e tratterà di politica radicale nella musica e nello sport, così come dell’uso che la politica radicale fa di musica e sport. Perlopiù parlerò con professori universitari e giornalisti, ma cercherò anche di intervistare atleti (come Billy Bragg) e politici (come Lisa Nandy). Oltre a parlare con alcune persone molto note, vorrei dare risonanza alle voci meno ascoltate, per esempio quelle dei maschi bianchi di istituti prestigiosi in Gran Bretagna e negli Usa.

Non ha ancora una risposta alla domanda: “Che cosa possiamo fare per sconfiggere l’estrema destra?”

Non è che io non abbia una risposta, ma o non è convincente o non è efficace. Sto dando la medesima risposta da oltre vent’anni anche se, a essere onesti, prima del 2016 erano in pochi a rivolgermi questa domanda. Non dovremmo dare priorità alla lotta all’estrema destra. Quello che dovremmo fare, invece, è rafforzare la democrazia liberale. In sostanza, l’estrema destra è il sintomo, non la causa, del declino della democrazia liberale.

Sia le istituzioni sia i valori della democrazia liberale sono stati messi a repentaglio dalla deideologizzazione e dal neoliberalismo (a esso collegato), da parte di politici sempre più “pragmatici” (e spesso opportunisti) che vanno orgogliosi del fatto di non avere una visione e di considerarsi risolutori pragmatici di problemi (da Tony Blair a Mark Rutte). Tuttavia, il pragmatismo funziona soltanto quando le cose vanno bene. Quando la gente si trova a dover pagare un prezzo, che si tratti di uno economico (redditi o welfare inferiore) o di uno culturale (per esempio disagio, sofferenza, esclusione), vuole capire perché e in che modo ciò possa contribuire a una società migliore. Per questo serve un’ideologia!


Un libro e un  podcast

Nel suo ultimo saggio, Ultradestra, uscito da poco in Italia per la Luiss University Press, il politologo olandese Cas Mudde, esperto di estrema destra, spiega l’ascesa in Europa e negli Usa dell’estrema destra nazionalista e reazionaria, e “fornisce un resoconto comprensibile della storia e dell’ideologia dell’estrema destra così come la conosciamo oggi, ma anche delle sue cause e delle conseguenze della sua mobilitazione”, come dice Katharine Williams in una recensione.

Di recente Cas Mudde ha lanciato anche una suo podcast, “Radikaal” (in inglese) che si occupa “degli aspetti radicali di musica, politica e sport”.

Tutti gli interventi di Cas Mudde su Voxeurop

In collaborazione con la Heinrich Böll Foundation – Paris


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