Pesca nel Golfo di Guinea

L’Ue e l’Italia chiudono gli occhi sulla pesca di frodo in Africa occidentale

Le acque del Golfo di Guinea sono fra le più frequentate dalle grandi flotte di pesca industriale. Le navi italiane e cinesi sono accusate di violare leggi che proteggono i pescatori locali, privandoli della loro risorsa. Il pescato arriva sulle tavole degli europei, senza che questi possano conoscerne l’origine. E le autorità italiane ed europee non indagano come dovrebbero sugli abusi, come rivela l’inchiesta di Stefano Valentino.

Pubblicato il 18 Dicembre 2020 alle 12:47

Parte prima

Il “sistema Italia” (governo, armatori, consumatori) si ritrova invischiato nel saccheggio del pesce che, dall’Africa occidentale, arriva sulle tavole degli italiani. I documenti cui abbiamo avuto accesso e le testimonianze riservate che abbiamo raccolto svelano le falle giuridiche e l’omertà istituzionale nel sistema europeo di contrasto alla pesca illegale nei paesi d’Oltremare.

I fondali del Golfo di Guinea sono colonizzati da pescherecci a strascico di imprese estere: il mare viene depredato, con il risultato di impoverire i pescatori autoctoni, utilizzando pratiche spesso illegali e causando ai Paesi costieri perdite stimate dalla FAO a oltre 2 miliardi di euro l’anno.

A farla da padrona è la flotta cinese, ma sono presenti anche coreani, russi, francesi e spagnoli. Anche la flotta italiana è presente, ma dal 2000 ad oggi si è ridotta a poche unità. 

Sei di esse, registrate a Mazara del Vallo in Sicilia, hanno agito per anni in modo illecito o sospetto lungo le coste africane, soprattutto in Sierra Leone, Paese che ha rilasciato loro licenze di pesca tra il 2016 e il 2020. Si tratta di Twenty, Eighteen, Orione Q e Pegaso Q della società armatrice Asaro e Idra Q e Myra Q della Italfish.

Almeno tra di esse sembrano aver strascicato là dove non dovevano, ossia nella fascia costiera che la Sierra Leone riserva alla piccola pesca artigianale: è quanto emerge dalla mappa Global Fishing Watch che intercetta i segnali trasmessi dalle antenne satellitari AIS, obbligatorie sulle barche di grossa stazza per evitare collisioni. “Analizzando velocità e direzione in base ai dati AIS, identifichiamo i navigli che stanno probabilmente pescando, ma senza averne prova certa”, spiega Maria Valentine dell’ONG Oceana, curatrice del progetto.  

Clicca sui punti rossi per visualizzare i dettagli delle presunte operazioni di strascico dei pescherecci che hanno sconfinato nella fascia costiera riservata alla pesca artigianale (delimitata dalla linee nere) - I punti verdi sono esempi di sconfinamenti senza strascico. (Mappa)

Gli sconfinamenti sono stati confermati alle Ong CFFA, Bloom, Living Seas da pescatori sierraleonesi che hanno segnalato anche incursioni nei luoghi protetti di riproduzione e trasbordi di pescato non autorizzati. Le Ong hanno denunciato alla Commissione europea l’inerzia del governo italiano che, come prescrive la normativa Ue, ha l’obbligo di monitorare, ed eventualmente sanzionare, le imbarcazioni che battono la propria bandiera. La legge italiana prevede fino 2 anni di reclusione o 12mila euro di penale se si pesca in spazi vietati. 

Non è la prima volta che l’Italia viene bacchettata per la sua carente sorveglianza. In un audit del 2019 l’esecutivo di Bruxelles ha reiterato l’inadeguatezza del suo sistema di geolocalizzazione VMS, obbligatorio per gli organi nazionali di controllo e le barche di oltre 15 metri. Mancanze già evidenziate nel 2015 per le sei imbarcazioni mazaresi che all’epoca operavano nelle vicine Guinea Bissau e Gambia. Quest’ultimo paese aveva per di più ammesso le unità nelle proprie acque con concessioni private in violazione dell’accordo di pesca firmato con l’Ue. 

A maggio 2020, Bruxelles ha archiviato tutti i contenziosi accontentandosi di un adeguamento a posteriori, nonostante i navigli inadempienti non siano stati puniti dalle autorità italiane. Roma ha ottenuto ulteriore clemenza sulla tardiva notifica del rinnovo delle licenze sierraleonesi alle solite barche, inviata all’Ue un anno dopo la scadenza del gennaio 2018.

Il Dipartimento Pesca del Ministero delle Politiche agricole respinge le accuse delle Ong sulla Sierra Leone. E ha comunicato alla Commissione, che sulla questione ha aperto l'ennesimo fascicolo, l’assenza di qualsiasi irregolarità. 

A riprova, ci ha fornito confidenzialmente un tabulato VMS che ricostruisce le intrusioni nell’area ristretta allo strascico, attribuendole al normale transito da e verso il porto nonché ad avversità meteorologiche che avrebbero spinto verso terra un paio di unità. 

Peccato che una di queste, Pegaso Q è stata multata sul posto proprio per aver calato le reti nella zona proibita, a sud dell’Isola di Sherbro, tra il 6 e il 7 agosto 2019. Posizione e data coincidono con quelle riportate nei tracciati sia VMS che AIS. 

Tracciati AIS su sulla mappa Global Fishing Watch: il cerchio bianco racchiude i punti dove l’imbarcazione Pegaso Q ha presumibilmente operato nella fascia riservata alla pesca artigianale tra le date 6 e 7 agosto 2019 - Infrazione accertata e sanzionata

Il peschereccio mazarese ha pagato 25 mila euro su un totale di 5 milioni di euro incassati dal governo della Sierra Leone da gennaio 2019 ad agosto 2020 da una dozzina di equipaggi multati (quasi tutti cinesi) che “rappresentano solo una frazione dei contravvenenti che invece sfuggono all’arresto“, precisa Dyhia Belhabib, investigatore capo ad Ecotrust Canada e Fondatrice di SpyGlass, una banca dati sullo sciacallaggio ittico. La ricercatrice considera inoltre “strano che gli europei ricevono ammende più basse rispetto ai cinesi che, per infrazioni simili, sborsano spesso oltre 400 mila euro”.

Belhabib, in contatto con le autorità locali, ci ha riferito che Pegaso Q è stata richiamata in porto per via della sua posizione anomala e che nel giornale dell'osservatore di bordo sono state riscontrate le catture avvenute nella fascia vietata. No comment, invece, da parte di Asaro, proprietario di Pegaso Q e di Eighteen, l’altra unità che ufficialmente avrebbe sconfinato per via dell’infelice meteo, e sulla quale peraltro nel 2017 erano state rinvenute pinne di squalo (pratica bandita dall’Ue per tutelare la specie). 

Tracciati AIS sulla mappa Global Fishing Watch: il cerchio bianco racchiude i punti dove l’imbarcazione Eighteen ha presumibilmente operato nella fascia riservata alla pesca artigianale, nei pressi dell’Isola Sherbro,  tra le date 15 e 23 ottobre 2017 - Infrazione non accertata.

“Chissà quante violazioni sono sfuggite al governo italiano”, insinua Belhabib, “il nostro studio dimostra che una navigazione dinanzi alla costa di oltre tre ore, tempo più che sufficiente per l’approdo, significa che si sta pescando, come ha fatto Idra Q nel 2016”. L'imbarcazione di Italfish, stando ai rilevamenti AIS, avrebbe presumibilmente operato intorno alle inviolabili Isole Banana fino al 2018. “Costeggiavamo l’arcipelago fino alla rada litoranea per il cambio turni e viveri, appoggiandoci alla nostra agenzia locale”, si difende Massimo Sabato, direttore dell'azienda. “Ho sorpreso spesso cinesi e italiani pescare nei paraggi’, protesta l’isolano delle Banana; Samuel Caulker, “tiriamo sù sempre meno pesce, quasi tutto accaparrato dalle grandi barche straniere che, seppur multate, continuano le loro scorribande”. 

Tracciati AIS su Global Fishing Watch: il cerchio bianco racchiude i punti dove l’imbarcazione Idra Q ha presumibilmente operato nella fascia riservata alla pesca artigianale, nei pressi delle Isole Banana, nelle date 22 novembre 2017 e 15 gennaio, 6 febbraio 2018 - Infrazione non accertata.

Sheku Sei, un responsabile del Ministero sierraleonese della pesca, ammette: “Abbiamo potenziato i pattugliamenti, ma molti predoni ci scappano ancora”. A luglio, tre battelli cinesi in stato di sequestro sono spariti da Freetown, capitale portuale del paese. Nel villaggio Yeliboya, nel nord del paese, Saidu Sesay, un marinaio, giura di aver avvistato bandiere straniere a largo anche durante il lockdown anti-Covid della prima settimana di maggio che ha provocato proteste e morti tra i pescatori artigianali, contrari alle chiusure e ai blocchi. “La connivenza dell’amministrazione pubblica è cosa frequente”, afferma Joe Rahal dell’Ong Green Scenery.

“Le barche d’oltre frontiera viaggiano con pacchi di denaro per elargire mazzette“, ci dice, pur restando anonimo, un agente di intermediazione, “ho dovuto corrompere impiegati ministeriali con 400 euro l’uno per registrare le licenze dei miei clienti, cinesi e italiani, nel 2018 e 2019”. 


Parte seconda

Il pesce catturato nel Golfo di Guinea dai pescherecci che battono bandiera tricolore e dai loro concorrenti, con presunti illeciti alle spalle, prende cammini oscuri, fino ad arrivare nel piatto dell'ignaro consumatore. L’Europa è un mercato centrale, vittima di una domanda che non riesce a soddisfare con la produzione interna. 

I prodotti ittici, fonte di profitto per armatori e distributori internazionali, significano sussistenza economica per la popolazione della Sierra Leone che da essi trae il 12% del PIL e l'80% delle proteine animali.

Tuttavia, dagli anni ‘80 al 2010 si sono dimezzati da 618,40 a 315,40 milioni di tonnellate, secondo un rapporto FAO. “Sono numerosi i pescherecci a strascico che catturano pesci di piccola taglia, spesso usandoli come esca per prenderne di più grandi o ributtandoli morti in mare, impedendo loro di crescere, con gravi danni per il settore”, commenta l’ufficiale ministeriale Sheku Sei.

Per garantire l'approvvigionamento domestico, il governo impone agli stranieri di sbarcare almeno il 40% delle loro catture, in più del pagamento di una una tassa sulla quota destinata all’export, un obbligo che Myra Q avrebbe violato nel 2016 con tanto di multa.

Poiché la Sierra Leone non rispetta i requisiti sanitari Ue, il suo pesce non può essere inviato in Europa: per questo viene surgelatori a bordo e trasportato in Senegal che ne diventa l’esportatore ufficiale. 

FAO ed Eurostat non rivelano pubblicamente quanto pesce senegalese distribuito nell’Ue e in Italia è catturato in Sierra Leone. E l’etichettatura comunitaria offre poca trasparenza. Risaliamo comunque la filiera.

Luigi Giannini, Presidente di Federpesca dice: “Le due società italiane Asaro e Italfish cedono prevalentemente il loro pescato ai grossisti”. Quali ? Massimo Sabato, direttore di Italfish, società che da fine 2018 è attiva solo in Guinea Bissau e in Sierra Leone e che catturava principalmente mazzancolle, ci risponde: “Vendevamo, oltre che ai trader in Spagna, ai

 principali grossisti del nostro paese, come Orogel, Arbi, Esca, Pescanova e Marr”. Tutte le aziende citate negano. Mistero.

In Sierra Leone l’insieme della flotta tricolore ha fatto razzia di cefalopodi (polpi, seppie, calamari), richiestissimi in Italia. Solo nel 2017 ne ha stivate quantità superiori a tutto il pesce imbarcato sulle piroghe dei pescatori autoctoni nel 2009: ben 318 tonnellate (il 38% dell’intero bottino delle sei imbarcazioni), di cui 92 di polpo. Valore approssimativo: circa 1,7 milioni di euro, a fronte di poco più di 500 mila euro in licenze annuali (più royalties variabili) complessivamente versate al governo sierraleonese.

Le catture in Sierra Leone e nei paesi limitrofi confluiscono nell’export di cefalopodi dal Senegal: questi prodotti si riversano poi sul mercato italiano (28mila tonnellate, un fatturato di 186 milioni di euro nel periodo compreso tra il 2016 e il 2019) e rappresentano un’importante quota dell’import Ue di polpo, di cui l’Italia è il secondo acquirente dopo la Spagna (rapporto dell'Osservatorio europeo del mercato ittico).

“Data la loro elevata qualità, i prodotti di Asaro e Italfish vengono forniti dai grossisti preferibilmente alla ristorazione che purtroppo non ha l'obbligo di informare la clientela sull'origine degli alimenti”, continua Giannini. “Un ristoratore può spacciare per fresco del polpo congelato, arrivato dall’estero e acquistato a un prezzo più basso rispetto al quello pescato nel Mediterraneo”, puntualizza Tonino Giardini, Responsabile nazionale pesca di Coldiretti, questo penalizza i nostri pescatori locali, svantaggiati dai maggiori oneri di gestione, rispetto alle unità nei paesi extra-Ue con dubbi controlli di eticità”.  

Diversi grossisti della ristorazione da noi contattati, come Baldi e Sicilfood, non hanno saputo confermare la zona di cattura del polpo surgelato, pubblicizzano come senegalese sui loro siti web.

Neanche la distribuzione al dettaglio offre un’informazione completa. Le confezioni di pesce non lavorato devono indicare solo la regione oceanica che, per l’Africa occidentale, è la Zona FAO 34 (Atlantico Centro-orientale). Il polpo con tale codice è presente nella nota catena di supermercati Pam, che rifiuta di dirci l’esatto paese di provenienza.  

A proporlo al pubblico è la stessa società Asaro sul suo negozio online TistaShop che sfoggia il bollino di sostenibilità Friend of the Sea, certificato da Rina nel 2017. Il servizio clientela dell’armatore ci precisa che tutto il polpo in vendita è della sua flotta, ovvero quella in Sierra Leone che comprende il peschereccio multato Pegaso Q, che ha strascicato fino alla scorsa estate, nonché Eighteen e Twenty che per un certo periodo potrebbero aver esercitato senza permesso . 

“Le licenze, scadute il 3 dicembre 2016, non sembrano rinnovate per tutti febbraio 2017”, chiarisce un anonimo funzionario sierraleonse dopo aver verificato i lacunosi elenchi ufficiali del Ministero della pesca.

Tracciati AIS su Global Fishing Watch: apparente attività di pesca di Twenty durante un lasso di tempo incluso nel periodo (04/12/16-03/03/17) in cui non è reperibile alcuna licenza rilasciata dalla Sierra Leone.

I pescherecci tricolore hanno via via abbandonato la Sierra Leone. Orione Q è l’unico a mantenervi una licenza, rinnovata fino a gennaio 2021. La maggioranza delle specie ittiche continuano a essere sfruttate dai pescherecci cinesi che, attraverso triangolazioni commerciali, introducono in Europa prodotti altrimenti proibiti. “Le compagnie cinesi, contrariamente a quelle europee, non sono assoggettate al divieto di pescare polpi di peso inferiore a 450 g. nell’Atlantico centro-orientale”, spiega Valentina Tepedino, direttrice di Eurofishmarket, “quindi capita che esemplari sotto-taglia, inammissibili in Europa se confezionati interi, vadano prima in Cina che poi li riesporta anche in Italia a pezzi o mischiati in preparazioni (esenti dall’indicazione della zona FAO)”.

Le statistiche del Ministero della pesca sierraleonese mostrano che dal 2016 al 2019 la flotta cinese, composta da oltre 70 unità (il 75% di tutte le straniere), si è aggiudicata il record di catture con 167 mila tonnellate di pesce. Le sei barche mazaresi (terze dopo i russi) ne hanno totalizzate poco più di 13 mila. Tale quantità è però sette volte superiore a quanto comunicatoci dal Dipartimento pesca italiano (1.780). La Direttrice del ministero, Kadijatu Jalloh, dichiara dal suo ufficio di Freetown: “Quantifichiamo le catture in base ai giornali di bordo degli osservatori, non dei capitani (che invece rendicontano allo stato di bandiera) ”. 

Il Dipartimento italiano invoca divergenze metodologiche nel conteggio delle catture annuali. “Questa apparente discrepanza mette in discussione la capacità del governo di controllare le attività della propria flotta”, denuncia Dyhia Belhabib di Ecotrust Canada. “La Commissione europea deve far luce sulle scorrettezze da noi denunciate“, chiede Beatrice Gorez dell’Ong CFFA. Di fronte all’inazione di Roma, Bruxelles ha facoltà di indagare in maniera autonoma e aggiungere alla lista nera Ue le imbarcazioni giudicate fuorilegge, annullandone le licenze. 

Ha collaborato dalla Sierra Leone, Alpha Kamara.

Questa inchiesta è stata realizzata col sostegno del programma Money Trail.


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