Dati alla mano Il Coronavirus e la cultura | Prima parte

Una pandemia culturale: come il Covid-19 ha messo il settore in ginocchio

A causa del coronavirus l'industria culturale e creativa europea ha perso un terzo delle sue risorse nel 2020, lasciando migliaia di artisti quasi senza reddito. In molti paesi europei la crisi ha messo in risalto le disuguaglianze strutturali all'interno del settore.

Pubblicato il 21 Aprile 2021 alle 17:00

Il Covid-19 sta cambiando l’industria culturale e creativa europea (Icc) e questi cambiamenti saranno permanenti. Questo, in poche parole, il riassunto di un rapporto di 27 pagine pubblicato da Ernst & Young (EY) nel gennaio 2021 commissionato dall’European Grouping of Societies of Authors and Composers (Gesac). Il rapporto descrive sia i tratti dell’Icc europea sia l’impatto complessivo che il Coronavirus ha avuto su di essa. Quindi, che cos’è l’Icc? European Cultural and Creative Industry, Industria culturale e creativa europea, è un settore e una categoria dell’economia che riunisce le seguenti industrie: arti visive, musica, audiovisivo, arti dello spettacolo, pubblicità, architettura, libri, giornali e riviste, industria dei videogiochi e radio.

Ci sono alcuni fatti fondamentali che potrebbero essere passati inosservati negli ultimi anni: l’Icc rappresenta il 4,4 per cento dell’economia europea se il valore economico aggiunto è misurato come quota del Pil globale. Il grafico 1 mostra i valori assoluti in miliardi di euro per diversi settori dell’economia europea.


È in qualche modo sorprendente notare che l’Icc ha un impatto maggiore sulla nostra economia rispetto ai settori relativi ad agricoltura, silvicoltura e pesca, tessile, cuoio e abbigliamento, telecomunicazioni, aerospaziale, chimica, estrazione di petrolio e gas, prodotti farmaceutici e beni Hi Tech. Secondo EY, nel 2019, le attività principali dei settori culturali e creativi impiegavano 7,6 milioni di persone nell’Ue. Tra il 2013 e il 2019, la forza lavoro nell’Icc è aumentata ad un tasso di crescita dell’1,9 per cento, superiore al tasso medio dell’1,3 per cento dell’economia globale. Come mostra il grafico 2, alla fine del 2019, l’Icc ha impiegato più persone rispetto all’industria automobilistica e all’industria chimica.

All’interno dell’Icc, ben quattro settori impiegano più di un milione di persone: arti visive, musica, audiovisivo e arti dello spettacolo. Questi ultimi rappresentano quasi il 70 per cento del totale (7,6 menzionati in precedenza nel grafico 2). Oltre al valore che l’Icc rappresenta internamente per l’economia europea in termini di valore aggiunto e potenziale occupazionale, va aggiunto il contributo delI’Icc al soft power dell’Europa in tutto il mondo.

Tuttavia, il Covid-19 è stato un vero disastro per l’indusria culturale. Secondo l’analisi di EY, nel 2020 il fatturato totale generato dal settore scenderà da 643 a 444 miliardi di euro, cioè di oltre il 30 per cento. Il grafico 3 mostra, in base alle stime di EY, il calo dell’Iccrispetto ad altri settori dell’economia europea. Con una perdita prevista del 31 per cento rispetto al suo fatturato 2019, il settore dell’Icc è uno dei più colpiti dal Covid-19 in Europa. Solo il settore del trasporto aereo precede l’Icc in questa triste classifica (-31 per cento). Eppure, l’Icc potrebbe soffrire più del turismo (-27 per cento) e dell’industria automobilistica (-25 per cento). È importante sottolineare la relazione tra cultura e turismo: secondo la Commissione europea, il turismo culturale rappresenta il 40 per cento del turismo nell’Ue.

Grazie alle stime di EY, è possibile capire quali settori, all’interno dell’ICC, sono i più colpiti dalle ripercussioni: l’industria musicale e le arti dello spettacolo. Il grafico 4 qui di seguito suddivide il calo stimato dell’Icc nel suo complesso per i diversi settori economici. In mezzo al crollo generalizzato, è interessante vedere come il fatturato dell’industria dei videogiochi sembra continuare a crescere, un fatto che potrebbe essere direttamente collegato alla fruizione casalinga dei beni dell’industria.

“La situazione per i teatri, e per le arti dello spettacolo più in generale, è disastrosa”, sostiene Heidi Wiley, direttrice esecutiva della European Theatre Convention (Etc), una rete di teatri pubblici europei fondata nel 1988 per promuovere il teatro drammatico contemporaneo, sostenere la mobilità degli artisti e sviluppare lo scambio artistico in tutta Europa e non solo. L’Etc è la più grande rete di teatri pubblici in Europa con 44 membri europei di oltre 25 paesi. “Nell’ambito della cultura, le arti dello spettacolo hanno subito il maggior calo di fatturato”, ricorda Wiley, e precisa che “ci sono gravi ripercussioni per chi lavora in teatro. I teatri in molti paesi sono chiusi e il personale in non lavora”. 

Le parole di Wiley trovano eco in tutto il Vecchio continente. Negli ultimi mesi, la stampa europea è stata inondata di articoli scritti da dipendenti del settore. A Cipro Vasos Argyridis, direttore del teatro Pattihio di Limassol, ha pubblicato una lettera aperta che mette a nudo come la cultura e il lavoro artistico siano stati declassati ovunque in Europa a causa del Coronavirus.

Eppure, l’impatto sul settore va oltre alla chiusura delle strutture. Anche nello scenario di una rapida riapertura si prospettano delle sfide. “Con così tanti teatri chiusi, c’è un effetto ingorgo di realizzazioni, in cui gli spettacoli programmati per la primavera 2020 e l’inverno 2020/2021 sono stati posticipati dopo essere stati realizzati. Quando i teatri saranno di nuovo aperti, la capacità di pubblico sarà ridotta e ci sarà meno spazio nei programmi per qualsiasi opera 'nuova' o 'non testata'. Ciò significa che ci saranno meno opportunità per la prossima generazione di artisti che cercano di svilupparsi. Il blocco dell’attività teatrale non si traduce solo in difficoltà finanziarie, ma minaccia anche le fondamenta di una scena teatrale sana, con una nuova generazione fiorente di artisti, e una gamma diversificata di personale, spettacoli e attori”.

Il già citato rapporto EY segnala come i lavori creativi tendano ad essere occupati da persone più giovani e con un’istruzione superiore alla media: “Nel 2019, il 43 per cento dei posti di lavoro nell’Icc erano detenuti da persone di età inferiore ai 39 anni nell’Ue-27, rispetto al 41 per cento dell’economia dell’Ue-27. La forza lavoro creativa è più giovane della forza lavoro complessiva in 21 dei 27 Stati membri”. Anche se l’ingorgo di realizzazioni ha analogie con altre industrie, come quella della moda, Wiley sostiene che l’impatto per i teatri è più profondo. “Gli attori devono rimanere pronti a recitare, con poco preavviso, se i teatri dovessero riaprire. Molti dei nostri teatri hanno quindi continuato a lavorare in sale vuote, semplicemente per mantenere alto il livello della performance”.

Secondo i dati stimati dall’EY, l’industria musicale sembra essere il secondo settore dell’Icc più colpito. Nel marzo 2021, la Federazione internazionale dei musicisti (FIM), un’organizzazione che rappresenta i musicisti professionisti in 65 paesi del mondo e in ogni stato membro dell’Ue, ha pubblicato un rapporto che delinea l’impatto del Coronavirus sul settore e le risposte dei governi in tutto il mondo. Secondo il segretario generale della FIM, Benoît Machuel, la crisi del Covid-19 è stata “la peggiore mai vista” negli ultimi tempi. La sua analisi è ripresa da un articolo del Guardian, secondo il quale l’industria musicale britannica potrebbe ridursi alla metà nel 2020. Allo stesso modo, il media finlandese Yle ha scritto che in quanto all’industria musicale del paese, si prevede un calo del 75 per cento nel 2020.

Tuttavia, secondo alcuni il Covid-19 è arrivato in coda ad una serie di sviluppi critici nel settore. Per quanto riguarda il settore della musica dal vivo, negli ultimi anni, “in molti paesi europei i governi hanno deciso di ridurre il contributo pubblico alla cultura”, afferma Machuel, il che è particolarmente rilevante, dato che, a differenza degli Stati Uniti e del Canada, il settore culturale europeo è sempre stato finanziato principalmente dal settore pubblico. 

“Abbiamo bisogno del sostegno della collettività. Tutti amano la musica. Se si fermasse tutta la musica all’improvviso, la gente impazzirebbe. Si dà per scontata la musica che esce dal telefono: a volte non si rende conto della quantità di lavoro, di talento che ci vuole per crearla.

Benoît Machuel

“In Italia, per esempio, è stato davvero difficile negli ultimi quindici anni, perché il denaro immesso nel sistema è stato gradualmente ridotto”. Invece, “quando si parla di industria discografica, bisogna porsi la domanda: a chi vanno i soldi? Alle compagnie di telecomunicazione, i produttori di dispositivi; e nell’industria fonografica? I produttori di registrazioni, che vendono i diritti ai distributori”. 

Inoltre, la musica è sempre più diffusa online attraverso piattaforme di streaming. Il problema è che “questi sistemi di distribuzione si basano sui diritti esclusivi”, il che significa che gli artisti autorizzano l’uso delle registrazioni. “Nel momento in cui si firma il contratto con un produttore discografico, questi diritti vengono trasferiti al produttore per una somma forfettaria. È generalmente il caso degli artisti non affermati, il cui nome non figura in copertina o dei diritti d’autore nel caso degli artisti affermati”.

Essenzialmente, durante la crisi del Covid-19, dato che gli spettacoli dal vivo sono stati bloccati, tutti i musicisti hanno guadagnato attraverso questi canali. “L’ammontare è quasi nullo. Così ora ci rendiamo davvero conto che il denaro che rimane agli artisti dall’uso delle loro registrazioni online è trascurabile. È una lotta enorme che dobbiamo portare avanti”, aggiunge Machuel. Opinioni simili sono state condivise pubblicamente da Nadine Shah, una cantautrice nominata al Mercury-prize, sul Guardian. La Shah ricorda come #BrokenRecord e #FixStreaming sono diventati hashtag di riferimento nel dibattito su Twitter sull’(in)giustizia dei modelli di business delle piattaforme di streaming ai tempi del Coronavirus.

In effetti, è in qualche modo un paradosso che una crisi come questa, durante la quale la gente si è rilassata a casa ascoltando musica in streaming, le menti creative dietro quei brani siano tra quelle più colpite. 

“È il momento giusto per capire lo squilibrio del sistema”, ricorda Machuel. “Abbiamo bisogno del sostegno della collettività. Tutti amano la musica. Se si fermasse tutta la musica all’improvviso, la gente impazzirebbe. Si dà per scontata la musica che esce dal telefono: a volte non si rende conto della quantità di lavoro, di talento che ci vuole per crearla. E quando si paga per ascoltarla, la gente non capisce che l’artista non riceve i soldi, o molto pochi”.

👉 Vai alla seconda parte dell'inchiesta: Per artisti e creativi la crisi c’era già prima che la Pandemia colpisse la cultura

In collaborazione con European Data Journalism Network

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