Dati alla mano Salute mentale in Europa

In Europa l’assistenza psichiatrica non è sempre un diritto

Nell’Unione europea migliaia di persone affette da gravi malattie mentali vivono isolate e ai margini della società senza ricevere le cure di cui hanno bisogno. Almeno 150 milioni di euro di fondi comunitari destinati ad aiutare queste persone sono stati usati per altri scopi. Un’inchiesta, dati alla mano, di Civio.

Pubblicato il 24 Giugno 2021 alle 14:00

“Non sono un oggetto, sono una persona. Ho bisogno della mia libertà”. Queste le parole di Rusi Stanev al suo avvocato Aneta Genova, poco prima che il suo caso raggiungesse la Corte europea dei Diritti dell’Uomo. Nel 2011, Stanev ha trascorso quasi un decennio come detenuto in un istituto di assistenza sociosanitaria a Pastra, in Bulgaria, dove era stato trasferito contro la sua volontà. L’istituto, a 400 chilometri da casa sua, era sprovvisto di acqua corrente e servizi igienici. Le persone che vivevano lì dovevano fare i loro bisogni in alloggi decrepiti con buchi scavati nel terreno ricoperti di neve e feci. Alcuni letti non avevano né materassi né molle. “Mettono le giacche sulle sbarre di metallo e si sdraiano sopra”, ha ammesso un inserviente dell’istituto a Amnesty International a Pastra.

Nel 1975 a Stanev fu diagnosticata la schizofrenia, un grave disturbo mentale che colpisce un milione e mezzo di persone in Europa. La schizofrenia, oltre a causare deliri e allucinazioni (sentire voci o vedere cose che non ci sono) e problemi di salute come malattie cardiovascolari e metaboliche, riduce di qualche anno l’aspettativa di vita. Stanev è morto nel 2017 all’età di 61 anni: l’aspettativa di vita in Bulgaria è di circa 75 anni. In tutti quegli anni a Pastra, Rusi Stanev è riuscito ad allontanarsi dall’istituto solamente tre volte: l’ultima volta ha cercato di scappare. Non era nemmeno libero di scegliere quali vestiti indossare. Rusi Stanev non ha mai ricevuto l’assistenza sociale e sanitaria di cui aveva bisogno e infatti, nel 2012 la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato la Bulgaria per le condizioni degradanti e i maltrattamenti a lui inflitti.


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Isolati dalla società

La decisione è stata basata anche sull’assistenza per gravi disturbi mentali. Nell’Unione europea, numerose sono le persone che vivono segregate dal resto della società, in condizioni migliori di quelle vissute da Stanev ma pur sempre rinchiuse per anni in ospedali e case di cura senza ricevere l’aiuto di cui hanno bisogno. Nel 2007, il Decloc report ha segnalato che in 25 paesi europei il numero dei cosiddetti pazienti istituzionalizzati ammontava a 1,2 milioni di persone di cui la maggior parte affetta da disturbi mentali o con qualche tipo di disabilità mentale. Inoltre, un'ampia percentuale viveva con almeno altre 30 persone in luoghi segregati e sovraffollati e, ancora oggi, decine di migliaia di persone continuano a essere isolate dalla società.

“Quando si è in un istituto si subiscono numerose violazioni dei diritti umani, si è isolati, non si ha contatto con il mondo esterno e si vive lì per un lungo periodo di tempo”, dice Roberto Mezzina, psichiatra ed ex direttore di un centro di salute mentale di Trieste. L’integrazione per le persone affette da gravi disturbi mentali è possibile: è necessario evitare che vivano il resto della loro vita in strutture sanitarie lontane e di difficile accesso e, allo stesso tempo, è essenziale che ricevano l’aiuto di cui hanno bisogno nel loro ambiente senza vedersi costretti ad allontanarsi dalla loro famiglia e dai loro affetti. I pazienti schizofrenici integrati nelle loro comunità riescono a vivere con maggiore autonomia e i loro sintomi e la loro qualità di vita migliorano.

Peraltro, il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha affermato che “la situazione della salute mentale e la mancanza di servizi rappresentano una crisi dei diritti umani in Europa che è stata trascurata per molto tempo”. Secondo l’Associazione europea di psichiatria (European Psychiatric Association, Epa), in Bulgaria questi servizi sono inesistenti: la maggior parte delle cure psichiatriche è effettuata in istituti psichiatrici che si trovano in luoghi remoti e dove il 30 per cento dei pazienti rimane per più di tre anni, interferendo con le relazioni con le loro famiglie e con la loro integrazione sociale. La portavoce dell’Epa Martina Rojnic ha definito questo tipo di cura un esempio di “cattiva pratica” che contribuisce a una maggiore stigmatizzazione. È stato addirittura denunciato da un recente rapporto che i pazienti degli istituti psichiatrici in Bulgaria continuano a essere “fisicamente maltrattati dal personale... Schiaffi, spintoni, pugni, calci, bastonate”.

Nonostante in altri paesi dell’Ue le condizioni siano migliori, l’assistenza alle persone con gravi disturbi mentali non è ancora adeguata o ottimale. Il problema tocca i paesi dell’Europa centrale e orientale, ma non solo. Nella Repubblica Ceca, 1343 persone affette da schizofrenia sono state ricoverate per più di 4 anni, 260 delle quali per più di due decenni. Anche in Ungheria i tempi di ricovero nei reparti psichiatrici sono lunghi: una persona su cinque è ospedalizzata per un anno o più. L’Unione europea ha tentato di contrastare la situazione con grandi somme di denaro sotto forma di finanziamenti strutturali che gli stati membri non hanno sempre speso correttamente. Secondo un rapporto del parlamento europeo del 2016 Bulgaria, Ungheria, Lettonia, Lituania, Romania e Slovacchia hanno deviato almeno 150 milioni di euro destinati al rinnovo di vecchi istituti di salute mentale e per la costruzione di nuove strutture. In un recente studio sulla salute mentale si è documentato che in Ungheria e Bulgaria permangono problemi, nonostante la situazione sia migliorata grazie a nuovi protocolli in sede europea e alla lenta integrazione delle persone colpite.

Un’Europa a più velocità

Prima che i cosiddetti “manicomi” iniziassero a chiudere, in altri paesi europei c’erano persone che “passavano tutta la loro vita in un ospedale psichiatrico dove le condizioni erano abbastanza critiche”, dice Sara Fernández Guijarro, infermiera e specialista di salute mentale. A partire dagli anni Settanta in Italia, Inghilterra e Spagna i vecchi ospedali psichiatrici iniziano a chiudere. Gli specialisti oggi lo considerano un successo.“L’assistenza per la salute mentale all'interno della comunità è migliore e più conveniente delle cure ospedaliere", dice Rojnoc. Secondo la psicologa Susana Ochoa Güerre, “c’è stato un cambiamento molto importante che ha reso possibile umanizzare le cure”. Uno dei modi per valutare questa evoluzione è l’analisi del numero di letti occupati nei reparti psichiatrici degli ospedali: in teoria, meno ce ne sono, meno sono i ricoveri permanenti. I dati ufficiali dell’Eurostat e dell’OCSE mostrano che in gran parte dell’Europa le cifre sono diminuite nel corso degli anni.


Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, in Europa la diffusione di cure accessibili e centrate sul paziente all’interno della comunità e sostituite agli istituti psichiatrici è stata particolarmente disomogenea, nonostante i suoi vantaggi. Un recente rapporto del Consiglio d’Europa per esempio, ha messo in guardia sulle pessime condizioni dei pazienti psichiatrici a Malta e in Belgio. Anche la Germania presenta un numero di posti letto occupati nei reparti psichiatrici pro capite ancora elevato. I fautori dell’assistenza comunitaria non si aspettano la completa scomparsa dei ricoveri in psichiatria. Da un lato, ci sono persone che non sono state in grado di reintegrare la comunità, sia per l’evoluzione della malattia, sia per la mancanza di risorse. 

Questi pazienti quindi, sono rimasti in unità di lungodegenza per anni, anche se il numero sta riducendo sempre più. D’altra parte, il modello di assistenza comunitaria tenta di evitare i ricoveri in ospedale. Capita, però, che quando si verifica una crisi un letto d'ospedale risulta essere la scelta migliore, idealmente per brevi soggiorni, da giorni a settimane. “Una delle cose più stressanti è il ricordo del ricovero in ospedale e di quanto sia stata brutto”, afferma Ochoa.

I dati sui posti letto in psichiatria non sono gli unici parametri da tenere in conto. Altri fattori importanti sono il numero e la specializzazione dei professionisti della salute mentale e l’accesso a risorse come i centri diurni. La mancanza di operatori della salute mentale è un ennesimo fattore suscettibile di rallentare o limitare un possibile cambiamento. “I paesi scandinavi sono l'esempio che dobbiamo seguire”, dice Ochoa. Il loro Sistema sanitario nazionale ha un numero molto elevato di psichiatri e psicologi ogni 100.000 persone. Inoltre, uno studio che confronta l’assistenza comunitaria in due zone, Helsinki e Uusimaa, Finlandia e Girona, ha dimostrato che nel primo caso ci sono 98,3 infermieri ogni 100.000 persone adulte, ovvero più del 6,5 per cento dei professionisti a Girona. Nei paesi del sud con meno risorse pubbliche come l’Italia e la Spagna il sostegno alle famiglie è ancora essenziale.

L’arrivo dei “pazienti esperti”

Nel modello di assistenza comunitaria che vuole evitare il ricovero permanente “l’obiettivo è quello di ripristinare la salute del paziente,” dice Rojnic. Per fare in modo che questo accada è necessario fornire risorse sanitarie e sociali che garantiscano la piena inclusione dei pazienti attraverso centri di salute mentale, ospedali diurni e unità di riabilitazione occupazionale e psicosociale. A volte capita che i pazienti necessitino di cure nelle loro case. I professionisti dell’assistenza primaria, i primi a curare queste persone, svolgono un ruolo fondamentale durante l’intero processo, così come gli psichiatri, gli psicologi, gli infermieri specializzati in salute mentale, gli assistenti sociali e i terapisti occupazionali.

Inoltre, il lavoro multidisciplinare all’interno della comunità e l’integrazione dei pazienti aiutano a combattere lo stigma, uno dei principali ostacoli della salute mentale. Nella zona di Trieste ci sono persone affette da schizofrenia che fanno parte di una cooperativa comunale. Altre, invece, lavorano in ristoranti con ruoli che li mettono a contatto con i clienti. “Rappresentano una sfida ben visibile per lo stigma. Più si creano situazioni così, più lo stigma viene superato,” dice Mezzina.

Infine, aumentare il numero di risorse e di professionisti per assistere coloro che ne hanno bisogno rappresenta una grande sfida. Secondo un rapporto del relatore speciale delle Nazioni Unite, le persone che hanno o hanno avuto un grave disturbo mentale possono contribuire con la loro esperienza. Questo è quanto accade in alcuni paesi dove i pazienti stanno diventando parte fondamentale dell’assistenza comunitaria. 

“I colleghi sono pazienti che si sono ripresi molto bene e che iniziano a fare parte dello staff,” afferma Rojnic. “Per ogni condizione psichiatrica che attraversiamo nel corso della vita, impariamo che non siamo sempre uguali, ci sono sempre alti e bassi”, dice Lurdes Lourenço, membro di un’associazione di salute mentale. Lei stessa ha partecipato a gruppi di sostegno dove ha imparato che ci sono altre persone che hanno affrontato la stessa cosa. “Adesso la mia vita ha un senso, posso aiutare tante persone. Grazie alle nostre esperienze e con l’aiuto di professionisti possiamo evitare molta sofferenza a tante persone”, dice Lurdes.

Le conseguenze della schizofrenia

“Nella nostra società c’è molta ignoranza e paura di ciò che chiamiamo pazzia, di come si comporterà il paziente e di cosa penserà il vicino”, dice Sara Fernández Guijarro. La schizofrenia, insieme ad altri gravi disturbi mentali, ha un impatto più sconosciuto sui cittadini. Per esempio, problemi come la disoccupazione o la mancanza di tempo libero fanno sì che le persone non abbiano solo bisogno di assistenza sanitaria, ma anche di professionisti e risorse che garantiscano la loro inclusione sociale. “Tra le persone che presentano un disturbo mentale il tasso di disoccupazione è spaventosamente alto. Sembra che questo ti definisca, che sarai un problema, i datori di lavoro non ti concedono questa opportunità”, afferma Montse Aguilera, membro di un’associazione di salute mentale.


Metodologia

Per la realizzazione del presente articolo sono stati presi in considerazione vari studi, rapporti e recensioni sul processo di deistituzionalizzazione nell’Unione europea. A causa delle differenze metodologiche, non è facile fare un confronto delle diverse situazioni nei paesi basandosi su indicatori specifici. Tuttavia, varie analisi e profili nazionali pubblicati da organizzazioni come la Mental Health Europe (2018) e il gruppo di esperti europei sulla transizione dall'assistenza istituzionale a quella basata sulla comunità (2020) (European Expert Group on Transition from Institutional to Community-Based Care), ma anche altri, sono risultati molto utili.

Inoltre, sono stati intervistati degli esperti di salute mentale — alcuni citati in questo articolo e altri menzionati in articoli precedenti dell'inchiesta giornalistica sull’accesso all’assistenza psichiatrica — che hanno espresso il loro punto di vista sul processo della deistituzionalizzazione in Europa e sulla situazione dell’assistenza comunitaria.

Infine, si è tenuto conto dei dati Eurostat 2018 sui posti occupati in psichiatria, ad eccezione della Germania le cui cifre corrispondono al 2017. I dati possono essere scaricati qui. Si è ritenuto preferibile basarsi sui dati Eurostat poiché si riferiscono a un maggior numero di paesi rispetto ai dati dell'OCSE. Tuttavia, sono stati forniti anche i dati dell’OCSE in quanto coprono un periodo di tempo più lungo e la riduzione del numero dei pazienti psichiatrici nel tempo può essere verificata.

👉 L'articolo originale su CIVIO

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