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L’accoglienza europea e i rifugiati ucraini: “È stupendo vedere che volere è potere”

Ai profughi ucraini in fuga dall’invasione russa è applicato il sistema di protezione europeo speciale accelerato, ma i sistemi di accoglienza già esistenti hanno accumulato centinaia di migliaia di richieste pendenti e un’alta percentuale di rifiuti. L’Europa, quindi, affronta una nuova crisi umanitaria con un ritardo medio di oltre 15 mesi nell’esame delle richieste di asilo.

Pubblicato il 10 Aprile 2022 alle 12:12

“Il collasso è brutale”: così Virginia Álvarez, portavoce di Amnesty International in Spagna ed esperta di immigrazione, definisce la situazione dei sistemi di accoglienza in Europa ora che si preparano a ricevere milioni di rifugiati ucraini. Un collasso che si può tradurre in cifre: alla fine del 2021 i Paesi della Ue avevano accumulato nel complesso quasi 760mila richieste di asilo in attesa dell’esito della procedura. Sono tante? Se consideriamo che in totale, a dicembre, sono state ricevute poco più di 60mila richieste, non sono poche. 

Detta altrimenti, questi quasi 760mila procedimenti in sospeso equivalgono alle domande ricevute negli ultimi 15 mesi. E questo stesso sistema di asilo deve ora accogliere buona parte dei quasi 4 milioni di rifugiati che, secondo i dati delle Nazioni Unite, hanno lasciato l’Ucraina dopo lo scoppio della guerra con la Russia.

“Non c’è mai stata la minima volontà da parte di nessun paese europeo di assolvere ai propri obblighi internazionali in materia di accoglienza dei rifugiati”, aggiunge Álvarez. Ma anche nell’ambito delle “cattive pratiche” ci sono delle differenze. Delle 758.920 richieste di asilo pendenti al 31 dicembre 2021, oltre 500mila si concentravano in tre Paesi: Germania (più di 264mila), Francia (più di 145mila) e Spagna (più di 100mila). È pur vero che questi sono i tre Paesi che ricevono più domande. L’intasamento che si viene a creare è comunque considerevole: bisogna aspettare oltre 19 mesi per conoscere l’esito della domanda in Germania, oltre 17 in Spagna e quasi 15 in Francia. 

Irlanda (oltre 29 mesi di attesa), Cipro, Malta e Finlandia hanno tassi di intasamento peggiori di questi tre Paesi. E insieme a Grecia, Lussemburgo, Belgio e Svezia superano tutti l’anno di attesa.

“Sono così pochi [i funzionari] e siamo così tanti ad arrivare”. A parlare è Carmen Caraballo, una rifugiata venezuelana che è arrivata in Spagna nel giugno del 2018 e ha ottenuto l’asilo solo un anno e mezzo dopo. In base alla sua esperienza, la mancanza di personale spiega i ritardi negli appuntamenti e nell’esame di richieste come la sua. “Devi fare lunghe file, come quelle per il cibo, solo che le fai per i documenti”, spiega Carmen, che ha avuto a che fare anche con il sistema di accoglienza spagnolo. E nell’attesa della tanto agognata tessera rossa – così viene chiamato il permesso di lavoro – molti si vedono costretti a lavorare in nero per sopravvivere.

A Georgina Molina, questi due colori, il rosso e il nero, suscitano un misto agrodolce di ricordi, poiché rappresentano sia il tanto atteso permesso di lavoro sia il regime sandinista da cui è fuggita, dove ha subito torture da parte della polizia. “Orribile, orribile, orribile. È una cosa che non dimenticherò mai”, dice in videochiamata. Per lei è ancora difficile stare davanti a degli agenti di polizia dopo quello che ha passato nel suo paese insieme ad altri due compagni.

E quando in Spagna ha ricevuto la documentazione da parte di un agente in borghese è scoppiata a piangere. “La richiesta di asilo è stata un’odissea, è stato come se non fossi più un essere umano. Ti senti uno scarafaggio, un ratto, un sacco di immondizia”, racconta con la voce incrinata dall’emozione. Dopo tre lunghi e duri anni di battaglie, Georgina ha ottenuto l’asilo a febbraio.


“Non c’è mai stata la minima volontà da parte di nessun paese europeo di assolvere ai propri obblighi internazionali in materia di accoglienza dei rifugiati”

Virginia Álvarez, portavoce di Amnesty International in Spagna

Oggi Georgina pensa che ci siano molti aspetti da migliorare, come la mancanza di “formazione sui diritti umani” e un “minimo di umanità” da parte di chi aiuta persone che si trovano in una situazione di grande vulnerabilità. Ha un’opinione simile anche Carmen Caraballo: “Quelli che sorvegliano la fila non hanno rispetto perché gridano. I funzionari, quelli che stanno dentro, invece sì che sono più sensibili. Immagino che ne avranno sentite tante di storie…”. Anche se il funzionario che le ha fatto il secondo colloquio ha esordito borbottando un “eccone un’altra” che, racconta con voce rotta, che l'ha molto ferita: “Io non avrei voluto stare seduta lì, avrei voluto essere a casa mia, dall’altra parte dell’oceano, con la mia famiglia, a lavorare”. Molte persone, esasperate, cercano di ottenere gli appuntamenti con ogni mezzo, anche pagandoli 80 euro l’uno. Niente a che fare con l’organizzazione predisposta per accogliere i profughi ucraini.

Un sistema speciale e “inedito” per gli ucraini

I rifugiati ucraini in fuga dalla guerra possono appellarsi, in Europa, al sistema di protezione speciale, attivato con una decisione del il 4 marzo. Questo sistema, regolato da un’altra direttiva del 2001  finora mai applicata, sancisce per gli ucraini e i residenti in Ucraina prima del 24 febbraio il diritto d’asilo quasi automatico (che tuttavia consente agli Stati membri, e anzi li incoraggia, a estendere questa forma di protezione anche ad altri soggetti in condizioni analoghe). Tutto questo significa permessi di soggiorno, di lavoro, alloggio e istruzione per i minori con procedure molto snelle e ridotte.

In Spagna, per esempio, la norma promette di rilasciare i permessi in 24 ore, lasso di tempo che tuttavia va contato dal giorno in cui si riesce ad avere l’appuntamento per la presentazione dei documenti. Il problema è che man mano che il sistema, già al collasso prima di questa crisi, comincia a saturarsi, alcuni centri non riescono più a evadere le richieste, e le code fisiche si trasformano in code virtuali in attesa di un appuntamento. La stessa norma che regola questo sistema assicura che la misura non comporterà stanziamenti di risorse aggiuntive, anche se è evidente che non se ne può avere la certezza.

Questa strada speciale e accelerata permette di eludere due problemi classici delle richieste di asilo: le tempistiche, che nel sistema ordinario durano mesi, e la bassa percentuale di accoglimenti. “È la prima volta che assistiamo a quello che organizzazioni umanitarie come la nostra reclamano da anni” perché, afferma la portavoce di Amnesty International, “l’Europa si è sempre comportata come una fortezza”. Impossibile, prosegue Álvarez, non fare un confronto fra questa protezione speciale e il trattamento riservato ad altri rifugiati: si pensi a come sono stati abbandonati i siriani o, in tempi più recenti, ai maltrattamenti subiti dagli afgani alla frontiera tra Bielorussia e Polonia. “Ci sono persone arrivate dal Mali alle Canarie che hanno dovuto aspettare otto mesi solo per poter presentare la richiesta di asilo”, dice a titolo di esempio.


Impossibile non fare un confronto fra questa protezione speciale e il trattamento riservato ad altri rifugiati: si pensi a come sono stati abbandonati i siriani o ai maltrattamenti subiti dagli afgani alla frontiera tra Bielorussia e Polonia


“È stupendo vedere che volere è potere”, conclude Álvarez. A giudizio di un’esperta come lei, l’applicazione di questo sistema speciale, con i mezzi attualmente a disposizione, avrà un impatto su tutte le richieste pendenti? “Certo che l’avrà”.

Anche Georgina Molina festeggia questo trattamento speciale: “Quello che stanno facendo, e che dovrebbero fare ancora di più, con l’Ucraina è quello che secondo me dovrebbero fare con ogni persona che chiede asilo”. Georgina non può evitare di pensare alle differenze e dare la colpa, oltre che alla vicinanza territoriale, al colore della pelle: “È più facile provare empatia verso una persona bianca anziché per una che viene dall’America Latina. Io credo che sia un problema di razzismo istituzionale e sociale”. Secondo Carmen Caraballo, “è stato necessario” adottare misure snelle nel caso dell’Ucraina perché “stanno ammazzando la gente”. A suo parere, la rapidità con cui viene accolto chi è stato costretto dall’invasione russa a lasciare la propria casa “può essere d’aiuto perché se riescono a snellire le procedure in questo caso, possono snellirle in generale. E sarebbe l’ideale”.


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Difatti, non è nemmeno necessario mettere a confronto diverse nazionalità per notare delle differenze significative: dal 2008 al 2020 67.110 ucraini hanno chiesto asilo nell’Unione europea, ma l’ha ottenuto solo il 18,7%. I Paesi più rigidi sono stati Croazia, Bulgaria, Lussemburgo, Lettonia e Slovenia, che non hanno accolto nessuna richiesta. Ma neanche Germania (6%) e Spagna (8%), due dei Paesi ad aver ricevuto più richieste insieme all’Italia, sono state particolarmente generose con gli ucraini. Ben diversa invece la risposta di Italia (quasi 45%), Malta (58%), Estonia (oltre il 68%) e Portogallo (78%).

David Moya, esperto di migrazioni della Università di Barcellona, parla di questo sistema speciale, approvato in appena un paio di giorni, come di un fatto “inedito”, e ricorda che era stato proposto e respinto già nel 2014. Fa notare inoltre che due Paesi come Polonia e Ungheria, oggi campioni dell’accoglienza degli ucraini, vuoi anche per la vicinanza territoriale, poco tempo fa si sono rifiutati di accettare le quote di ripartizione dei rifugiati di altre origini.


Dal 2008 al 2020 67.110 ucraini hanno chiesto asilo nell’Unione europea, ma l’ha ottenuto solo il 18,7 per cento


La mancanza di risorse per l’accoglienza di milioni di profughi ucraini comporta anche dei gravi rischi. “Ci siamo resi conto che c’è il problema del traffico di esseri umani”, spiega Viktória Hováth, portavoce di Migration Aid, una Ong che a Budapest ha aperto un rifugio per 300 persone, come ci informa Kata Moravecz dall’Ungheria.

In queste circostanze, poter contare su legami familiari o reti di appoggio è essenziale per chi fugge dalla guerra. “Alcuni amici ci sono venuti a prendere in stazione. Noi ci siamo affidati a gente del posto, ma molti non conoscono nessuno qui. Ecco perché si sentono persi, è per questo che noi siamo qui”, spiega una ragazza di Kiev che aiuta i profughi arrivati dopo di lei che non parlano la lingua e non sanno dove andare. “Alcune persone dispongono di reti di sostegno, che sono fondamentali, ma cosa succede a chi non le ha?”, si chiede Álvarez. In uno dei centri adibiti in Spagna all’accoglienza dei rifugiati ucraini abbiamo incontrato anche persone che accolgono e aiutano i propri familiari.

ACCEM, nota Ong, gestisce il centro madrileno di Pozuelo, mentre la Croce Rossa opera in quello allestito alla Fiera di Barcellona e nella Città della Luce di Alicante. CEAR sta lavorando per l’apertura di un nuovo centro a Malaga. “Garantire i diritti umani spetta allo Stato e alla pubblica amministrazione, che non possono trincerarsi dietro la volontà di lasciare spazio all’iniziativa privata”, sottolinea la portavoce di Amnesty International. Infatti il peso di questa accoglienza al momento ricade in gran parte sulle spalle delle organizzazioni umanitarie e non dei governi.

Inoltre, sia lei che David Moya prevedono che l’accoglienza dei profughi ucraini è destinata a protrarsi nel tempo. “Dobbiamo calcolare come minimo sei mesi o un anno”, ritiene. Ma chi è appena fuggito, come la ragazza di Kiev, sogna di ritornare a casa il prima possibile: “Ora come ora non facciamo programmi, stiamo qui come se fossimo turisti. Sono sicura che non avremo bisogno di lavorare perché ce ne andremo fra due o tre settimane, forse un mese”. La pensava così anche Carmen Caraballo appena arrivata da Caracas, finché un conoscente venezuelano le ha detto chiaro e tondo: “Amica mia, apri gli occhi, non potrai più tornare”. 

Prendersi cura di chi cerca aiuto in Europa sarà complesso, visto che il sistema dell’accoglienza è al collasso e ha bisogno di tante risorse, e non solo nel breve periodo. “Non si tratta solo di dare ai profughi un pacco di benvenuto e scattare qualche foto insieme a loro”, conclude Álvarez.

👉 L'articolo originale su Civio

In collaborazione con European Data Journalism Network

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