Opinione Politica europea dei visti

Il Sud globale, escluso (anche) dalla conversazione mondiale sul clima

Il regime dei visti è una barriera che, di fatto, discrimina sistematicamente la partecipazione dei militanti del Sud del mondo al dibattito sul clima, nel silenzio dell’Ue e dell'ONU. Serag Heiba, attivista egiziano, racconta per Green European Journal l’esperienza di alcuni di loro.

Pubblicato il 30 Novembre 2022 alle 15:16

Quando Kelo Uchendu si è preparato per partecipare alla Conferenza sul clima di Bonn dello scorso giugno, erano passati tre anni da quando la sua precedente richiesta di visto per la Germania era stata respinta. All'epoca Uchendu era l'unico studente africano selezionato da una coorte di ingegneri per partecipare a un programma di avanzamento di carriera a Dresda. Il rifiuto del visto è stato costoso e devastante, ma Uchendu è rimasto attivo.

Uchendu ha fondato un'organizzazione per la giustizia climatica nel suo paese d'origine, la Nigeria, ha ripreso gli studi e si è unito al team organizzativo della Mock COP26. Doveva essere a Bonn come co-leader della circoscrizione giovanile dell'UNFCCC, con la consapevolezza che il suo lavoro è stato finalmente ripagato. Ma non ci è mai arrivato. 

Prima di poter volare a Bonn, la sua domanda di visto è stata nuovamente respinta dalla Germania. Questa volta gli sono costate tre conferenze completamente finanziate (oltre all'SB56, avrebbe dovuto partecipare all'Africa Energy Summit e allo Youth Energy Summit nella vicina Bruxelles), innumerevoli ore di preparazione e un incontro con il Segretario esecutivo dell'UNFCCC, Patricia Espinosa.

Negli ultimi mesi, mentre migliaia di persone affollavano le conferenze sul clima delle Nazioni Unite in Europa, un numero allarmante di giovani leader che lavorano sul clima del Sud del mondo è stato escluso dai colloqui a causa del rifiuto del visto.

Il meglio del giornalismo europeo, ogni giovedì, nella tua casella di posta

Non si tratta di un fenomeno recente, ma di un trend che si verifica da anni, senza che le Nazioni Unite o gli Stati membri europei lo affrontino. Mi sono reso conto della reale portata del problema quando cinque giovani guineani hanno riferito di essersi visti negare il visto per partecipare alla Conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani del 2022 (UNOC2022) a Lisbona, nonostante avessero un accreditamento ufficiale: questo mi ha spinto a chiedere a diversi gruppi giovanili informazioni su esperienze simili.

Nessuna garanzia per i rappresentanti del Sud globale

Un attivista ugandese, che preferisce rimanere anonimo per timore di non poter più partecipare a un'altra conferenza, si è visto negare il visto Schengen già cinque volte. Gli ultimi due rifiuti sono arrivati a distanza di una settimana l'uno dall'altro, impedendogli di andare a Stockholm+50 e SB56. Aveva ottenuto un finanziamento completo dagli sponsor statunitensi e britannici per partecipare; a  settembre doveva recarsi a Francoforte per tenere una relazione a un'altra conferenza, ma ha perso la speranza di ottenere un visto tedesco. L'ultimo rifiuto lo ha mandato in depressione e ha compromesso gravemente il lavoro della sua organizzazione.

Oluwaseyi Moejoh, giovane nigeriana del National Geographic e vincitrice del prestigioso Diana Award per la sua iniziativa di educazione ambientale in undici Paesi africani, quest'anno non è riuscita a ottenere un visto portoghese per partecipare all'Ocean Youth Innovation Forum delle Nazioni Unite. È stata la terza volta che ha perso un'opportunità del genere a causa di problemi di visto, e ha solo 21 anni.


"Hanno guardato la mia età e la mia nazionalità e hanno pensato che avessi intenzione di emigrare illegalmente. È un insulto: ho sogni, aspirazioni, ma nessuna di queste è vivere nel loro paese come immigrato illegale"  Kelo Uchendu, attivista climatico nigeriano


Stoccolma+50 era particolarmente inaccessibile per il Sud globale. In meno di una settimana, ho ricevuto più di due dozzine di resoconti di visti in ritardo o rifiutati (oltre a quanto già riportato online). Nonostante la consueta promessa delle Nazioni Unite che i partecipanti alla conferenza avrebbero avuto la priorità nelle richieste di visto e l'esenzione dalle tasse (i costi dei visti spesso ammontano a diverse settimane di reddito medio nell'Africa subsahariana e nell'Asia meridionale), le prove dimostrano che non è così.

Tafadzwa Chando, coordinatore del programma Climate Live e attivista per il clima dello Zimbabwe, ha fatto domanda per il visto svedese nel suo paese, ma ha ricevuto un appuntamento fissato per dopo la conferenza. Si è quindi recato nei vicini Zambia e Sudafrica per presentare la domanda ed è stato respinto entrambe le volte, nonostante avesse (come tutti i partecipanti) un invito diretto dalle Nazioni Unite e un accreditamento ufficiale per partecipare alla conferenza.

Un modello di esclusione

Già prima del rifiuto formale, molti di questi giovani attivisti devono superare ostacoli immensi per presentare la domanda. Se l'ambasciata non si trova nel loro paese, possono dover viaggiare prima in altri paesi e fare domanda lì. Mentre le loro domande vengono trattate, non hanno il passaporto e non possono tornare a casa. Questo li blocca e li lascia vittime di tempi di elaborazione lenti e di ambasciate poco reattive, accumulando centinaia di dollari in albergo e spese di viaggio. 

Militanti di Global Justice Now ai margini della COP26 di Glasgow, nel 2021. | Foto: Global Justice Now

Coloro le cui domande sono state gestite da terzi, riferiscono di esperienze particolarmente negative e di tempi di elaborazione lenti. Una giovane attivista per gli oceani dall'India, che ha descritto il processo di rilascio del visto come "straziante", ha raccontato di essere scoppiata a piangere al consolato portoghese di Goa quando un errore di programmazione (non ha mai ricevuto un'e-mail che il consolato ha dichiarato di aver inviato) ha minacciato di ritardare l'intero processo di richiesta a pochi giorni dall'UNOC2022.

Il visto le è stato rilasciato meno di 48 ore prima del viaggio, con tanto di rimprovero verbale da parte dell'addetto ai visti. Si ritiene fortunata perché, per lo meno, ha potuto partecipare al Forum sull'innovazione giovanile della conferenza e presentare il suo lavoro al Segretario generale delle Nazioni Unite (per il quale il suo team ha vinto la borsa di studio Innovathon).

Per i meno fortunati, il processo si conclude con un rifiuto. A Kelo è stato detto che non potevano verificare l'autenticità dei suoi documenti; lui sostiene che non hanno mai provato a verificarli: i suoi finanziatori, infatti, non sono mai stati contattati e il suo accreditamento non è mai stato controllato online. Inoltre, gli è stato detto che c'era un "ragionevole dubbio" che non avrebbe lasciato il paese prima della scadenza del visto: "Hanno guardato la mia età e la mia nazionalità e hanno pensato che avessi intenzione di emigrare illegalmente. È un insulto: ho sogni, aspirazioni, ma nessuna di queste è vivere nel loro Paese come immigrato illegale".

A un altro giovane attivista è stato detto che il suo “status” matrimoniale destava sospetti. Ha 25 anni e non è sposato. Bisogna sposarsi per poter partecipare a questi incontri internazionali?


Pare che un cittadino del Sud “globale”, che si prepara con mesi di anticipo e che dispone di una documentazione completa, finanziamenti e di un invito da parte delle Nazioni Unite, non possa avere la garanzia di arrivare al tavolo delle discussioni


I racconti di cui sopra e i numerosi altri simili hanno uno schema. In ogni caso, è prassi che un giovane leader climatico del Sud globale che ha lavorato per assicurarsi posti ambiti alle conferenze delle Nazioni Unite, che ha lavorato per anni per rappresentare la propria comunità e sostenere l'azione ambientale, e che spesso ha fatto di tutto per ottenere finanziamenti esterni per permettersi il viaggio, richieda un visto europeo e che gli venga rifiutato.

Si tratta di un problema che perpetua l'ingiustizia climatica e mette a rischio la legittimità della governance e del discorso sul clima a livello globale. Per i cittadini del Sud globale, la discriminazione dei visti è un dato di fatto. Ma quando queste pratiche discriminatorie in materia di visti condizionano l'accesso ai più alti livelli del dialogo sul clima, dovrebbe essere una questione di preoccupazione per tutti.

Il costo dell'esclusione alle COP

Prima che la COP26 iniziasse e finisse, fallendo nel raggiungere i suoi obiettivi maggiori, molti avevano avvertito che sarebbe stata la "COP più bianca e più privilegiata di tutti i tempi". Patricia Espinosa aveva preannunciato che una delle chiavi per il successo della COP era garantire che nessuna voce o soluzione venisse lasciata indietro. In effetti, l'inclusività e il multilateralismo sono sanciti dall'UNFCCC, e per una buona ragione: tutti hanno un ruolo da svolgere per raggiungere gli obiettivi dell'Accordo di Parigi e prevenire gli effetti più disastrosi del cambiamento climatico.

Senza un'equa rappresentanza del Sud globale, dove questi effetti si faranno sentire più pesantemente, non c'è speranza che vengano trovate e soddisfatte soluzioni giuste. Invece, i Paesi e le società più responsabili della crisi climatica e meno colpiti da essa hanno libero accesso ai negoziati e, di conseguenza, ne influenzano i risultati.

Al di là di tavoli negoziali, strategie efficaci di mitigazione e adattamento al clima richiederanno partenariati Nord-Sud e azioni sul campo. Nel discorso sul clima è stato ampiamente riconosciuto che i progetti locali, guidati dalle comunità, sono componenti necessari di una strategia climatica di successo. Le voci che rappresentano le comunità locali si impegnano nell'UNFCCC come osservatori e società civile, e sempre più spesso come giovani. In tutto il mondo, i giovani delle comunità vulnerabili e in prima linea guidano le organizzazioni e mobilitano sempre più persone intorno a loro. 

Tuttavia, per quanto riguarda i giovani, le pratiche di esclusione dei visti che colpiscono i giovani attivisti del Sud globale sono un altro segno che l'impegno dei giovani nell'UNFCCC rimane simbolico, che non è concepito per essere significativo. Il messaggio è che i giovani del Sud del mondo non meritano di partecipare alle riunioni delle Nazioni Unite come i loro omologhi del Nord del mondo. 

Questo si avverte non solo con il rifiuto dei visti, ma con l'intero processo di rilascio. In particolare, molti giovani africani riferiscono di aver affrontato un atteggiamento ostile e di essere stati profilati, dovendo soddisfare requisiti che non vengono richiesti a nessun altro. Come può l'Africa aspettarsi di non essere esclusa quando ai suoi attivisti e alla sua società civile viene negato il posto che spetta loro nelle sale conferenze e ai tavoli dei negoziati in Europa?

Se l'Onu e i suoi stati membri europei vogliono sostenere i valori dell'UNFCCC, devono esaminare attentamente come queste pratiche di esclusione dei visti stiano delegittimando la governance climatica globale e istituzionalizzando la disuguaglianza.

Un cittadino del Nord “globale” può decidere in qualsiasi momento di fare le valigie e visitare il Sud del mondo. Pare che un cittadino del Sud “globale”, che si prepara con mesi di anticipo e che dispone di una documentazione completa, finanziamenti e di un invito da parte delle Nazioni Unite, non possa avere la garanzia di arrivare al tavolo di discussione.  Alcuni giovani leader climatici del Sud globale hanno già deciso di non partecipare più a conferenze europee e eventi extraeuropei, come nel caso della recente COP27.

 La COP 27 è stata la prima dal 2017 a tenersi al di fuori dell'Europa, e questo ha sollevato molte aspettative. Soprannominata "COP Africa" e "COP di implementazione", è stata la seconda COP più partecipata della storia e ha visto tutti i Paesi accordarsi finalmente su un innovativo fondo per le perdite e i danni. Nonostante questa vittoria, sono stati raggiunti ben pochi risultati per far progredire l'eliminazione dei combustibili fossili. (Come osserva Fiona Harvey, la COP27 potrebbe aver dato il colpo di grazia al mantenimento del riscaldamento al di sotto di 1,5°C). 

Se la persistenza di questa esclusione strutturale continua a non essere affrontata, potrebbe essere giunto il momento di dirsi che l'UNFCCC non è stata concepita per essere altro che un processo guidato dalle parti in causa, un processo nel quale le nazioni non sono ritenute responsabili, in cui l'inclusione rimane un vezzo non applicato e dove gli interessi nazionali hanno la precedenza sull'azione globale per il clima.

👉 L'articolo originale su Green European Journal

Ti è piaciuto questo articolo? Noi siamo molto felici. È a disposizione di tutti i nostri lettori, poiché riteniamo che il diritto a un’informazione libera e indipendente sia essenziale per la democrazia. Tuttavia, questo diritto non è garantito per sempre e l’indipendenza ha il suo prezzo. Abbiamo bisogno del tuo supporto per continuare a pubblicare le nostre notizie indipendenti e multilingue per tutti gli europei. Scopri le nostre offerte di abbonamento e i loro vantaggi esclusivi e diventa subito membro della nostra community!

Sei un media, un'azienda o un'organizzazione? Dai un'occhiata ai nostri servizi di traduzione ed editoriale multilingue.

Sostieni il giornalismo europeo indipendente

La democrazia europea ha bisogno di una stampa indipendente. Voxeurop ha bisogno di te. Abbònati!

Sullo stesso argomento