Attualità Gas serra

Il mercato europeo delle emissioni funziona?

In mancanza di un prezzo abbastanza alto delle emissioni di anidride carbonica, l'eccedenza di quote di emissioni di gas a effetto serra rimarrà elevata e il mercato europeo di anidride carbonica (Emissions Trading System, EU ETS) sarà inutile.

Pubblicato il 12 Dicembre 2019 alle 15:14

In concomitanza con la chiusura della [Cop25 organizzata a Madrid°(5124089), il prossimo Consiglio europeo del 12 e 13 dicembre potrebbe aumentare le ambizioni della politica climatica sul lungo termine dell'Unione europea (Ue). Già adesso 25 dei 28 Stati membri si sono pronunciati in favore dell'obiettivo della "neutralità carbonica" entro il 2050, cioè una situazione in cui le emissioni di gas a effetto serra sono strettamente compensate dall'assorbimento di CO2 atmosferica (per lo più attraverso le foreste e il terreno) – la Polonia, l'Ungheria e la Repubblica ceca condizionano la loro adesione a una maggiore solidarietà dell'Europa per rendere meno inquinanti i loro sistemi energetici. 

Ma per ora sul medio termine l'obiettivo rimane quello fissato nel 2014: una riduzione del 40 per cento delle emissioni entro il 2030 (rispetto al 1990).

Un mercato di anidride carbonica inefficace

Per raggiungere i suoi obiettivi sul medio e lungo termine è necessaria una revisione del principale strumento della politica climatica europea, cioè del sistema comunitario di scambio di quote di emissione (Sceqe), in altre parole del mercato di anidride carbonica. Oggi questo sistema rimane inefficace, nonostante le misure adottate per migliorarlo.

Creato nel 2005, questo meccanismo impone un limite massimo di emissioni che si riduce annualmente per circa 11mila grandi unità industriali, responsabili del 45 per cento delle emissioni di CO2 dell'Unione: centrali elettriche a carbone e a gas, cementifici, acciaierie e così via. Dal 2012 anche le compagnie aeree fanno parte di questo gruppo di imprese ma solo per i voli interni dell'Europa. Per il periodo 2012-2020 la riduzione annua del limite di emissioni è stata fissata dagli Stati membri nell'1,74 per cento, coerentemente con la dinamica globale presa in considerazione (una riduzione del 20 per cento delle emissioni dell'Ue nel 2020 rispetto al 1990).Un'impresa, se emette meno emissioni di CO2 rispetto al suo limite massimo, ottiene delle quote che può eventualmente rivendere sul mercato.

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Ma di fatto questo vincolo non è stato esercitato perché le emissioni delle imprese sono in realtà diminuite più rapidamente del limite che era stato imposto loro, a causa fra l'altro delle politiche in favore delle energie rinnovabili e di un miglior controllo dell'energia. In questo modo l'obiettivo del 2020 è stato già  raggiunto nel 2017. Per il periodo 2020-2030 il tetto dovrebbe ridursi del 2,2 per cento all'anno, ma se l'Ue dovesse adottare questi limiti non si potrebbe raggiungere la neutralità carbonica prevista per il 2050, fa osservare l'Institute for Climate. (I4CE) nel suo ultimo bilancio annuale.

Il limite imposto alle imprese si traduce nella concessione di un permesso di emissioni o di quote. Una quota rappresenta il diritto di emettere una tonnellata di CO2 e le imprese interessate devono restituire ogni anno all'amministrazione un numero di quote corrispondente alle tonnellate emesse di CO2 (o l'equivalente per gli altri gas a effetto serra). Se un'impresa emette meno rispetto al suo limite, accumula delle quote che può eventualmente rivendere sul mercato. Se invece emette di più, deve comprare delle quote supplementari per mettersi in regola.

Quote in eccedenza

Ma in realtà poiché le emissioni sono molto inferiori rispetto al numero di quote attribuite all'insieme delle imprese interessate, il sistema ha finito per accumulare molte quote inutilizzate. Nel 2018 il loro numero era stimato in 1.650 milioni, l'equivalente di un anno di emissioni. Questa eccedenza spiega la riduzione dei prezzi sul mercato delle quote fino al 2018. E quando i prezzi sono bassi e non è costoso acquistare dei diritti a emettere della CO2, le imprese non sono spinte a investire per ridurre le loro emissioni.

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Dal 2018 i prezzi delle quote di CO2 hanno ripreso a crescere e gli analisti prevedono un loro aumento sul breve periodo. In effetti diverse misure adottate dal 2013 hanno permesso di ridurre una concessione troppo generosa di quote. In primo luogo l'Europa ha messo fine al riconoscimento dei crediti internazionali di anidride carbonica, un meccanismo che era stato applicato nel quadro del protocollo di Kyoto. Questo meccanismo prevedeva che un'impresa europea quando si lanciava in progetti a bassa emissione di anidride carbonica nei paesi dell'emisfero Sud, avesse dei crediti riguardo le quote di emissione. E questa possibilità ha contribuito in modo importante all'inflazione delle quote accumulate.

Inoltre la concessione di crediti di anidride carbonica, fino ad allora per lo più gratuita, è stata fatta attraverso delle aste per i settori non sottoposti alla concorrenza internazionale, cioè la produzione di elettricità (con delle esenzioni per i paesi dell'Europa centrale). Infine è stato creato e reso operativo nel 2019 un meccanismo per far uscire dal mercato una parte delle quote in eccedenza, chiamato la riserva di stabilità di mercato (Msr in inglese).

Tuttavia questo sforzi rimangono ancora insufficienti. Il prezzo della CO2 che hanno contribuito a formare permette ormai a una centrale a gas efficiente di essere concorrenziale rispetto a un'inefficiente centrale a carbone, ma non è abbastanza elevato per eliminare dal mercato tutte le centrali a carbone e ancora meno per scoraggiare il ricorso alle energie fossili da parte dell'industria pesante.

Accelerare l'uscita dalle energie fossili

Il recente aumento del prezzo delle quote di CO2 e l'estensione della loro concessione attraverso delle aste ha almeno avuto il vantaggio di aumentare le entrate pubbliche che possono essere destinate alla transizione energetica. Gli Stati membri hanno infatti l'obbligo di destinare almeno la metà dei redditi delle aste al clima e all'energia. E questi redditi sono passati da 5,5 miliardi nel 2017 a 14,2 nel 2018.

Tuttavia in assenza di una tassa carbonica europea, la cui creazione potrà essere fatta solo con voto unanime degli Stati membri, l'obiettivo principale del mercato dell'anidride carbonica rimane quello della creazione di un prezzo di CO2 capace di accelerare l'uscita dalle energie fossili, basato sul principio del "chi inquina paga". Ma finora le misure adottate hanno permesso solo di ridurre parzialmente le eccedenze di quote sul mercato e non di eliminarle.

In futuro questa situazione potrebbe addirittura aggravarsi per effetto di altre politiche legate al clima. L'Unione infatti si è fissato un obiettivo del 32 per cento di energia rinnovabile nel consumo di energia finale entro il 2030, e di una riduzione progressiva di quest'ultima del 32,5 per cento. E già una decina di Stati membri hanno adottato un piano di uscita dal carbone.
Ma se queste politiche saranno effettivamente adottate senza una revisione al ribasso dei limiti di emissioni previsti per il periodo 2020-2030, il mercato rimarrà stabilmente con delle eccedenze e con dei prezzi di CO2 in diminuzione. Una situazione che ha spinto il Regno Unito ad adottare in modo unilaterale l'instaurazione di un prezzo minimo di CO2, che sarà aumentato di anno in anno.

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