Presseurop, G Tobias

E ora innoviamo

Quando sarà definitivamente ratificato, il trattato di Lisbona dovrebbe dare all'Ue gli strumenti per realizzare le sue ambizioni politiche ed economiche. Non manca che il coraggio di assumersi dei rischi, sostiene Moisés Naím, direttore del mensile statunitense Foreign Policy. 

Pubblicato il 8 Ottobre 2009 alle 14:48
Presseurop, G Tobias

Non è la domanda posta dai vari referendum organizzati in Europa, ma è quella a cui gli europei cercano una risposta. I principali motori dell'Europa saranno la sua cultura e le sue tradizioni, o piuttosto la sua capacità a inventare nuove forme per governare, per favorire l'integrazione al suo interno e per organizzare i suoi rapporti con il resto del mondo? In altre parole, l'Europa di domani dipenderà più dai suoi musei, orchestre e ristoranti, o dalle sue fabbriche, dai suoi laboratori e dalle sue università? Presentare le cose in questo modo significa ovviamente dare un carattere caricaturale ai dilemmi e alle potenzialità dell'Europa. L'Europa sarà sempre una potenza culturale e possiederà sempre delle roccaforti scientifiche, industriali e militari.

Tuttavia, come in ogni caricatura, contrapporre un'Europa museo a un'Europa laboratorio permette di sintetizzare due visioni del futuro molto diverse. Quella dell'Europa laboratorio non riguarda le sue capacità scientifiche, ma sulla disponibilità a sperimentare nuove forme di governo, nuove istituzioni, nuove politiche pubbliche, nuove regole di condotta.

Un'Unione più trasparente

È su questo argomento che hanno votato gli irlandesi. La prima volta che è stata posta loro la domanda, l'anno scorso, hanno risposto di no. Ed ecco che ora dicono di sì. Ma a che cosa hanno detto sì? Hanno detto sì a un'Europa che abbia un dirigente a tempo pieno e che non dipenda più, come oggi, da una presidenza che passa ogni sei mesi da uno dei suoi 27 paesi membri all'altro. Il nuovo presidente eserciterà un mandato di due anni e mezzo e potrà essere rieletto una volta; Felipe Gonzalez e Tony Blair sono attualmente i candidati più accreditati. Gli irlandesi hanno anche votato in favore di un sistema di voto più giusto nel processo decisionale collettivo, per fare in modo che ogni paese membro abbia un rappresentante alla Commissione europea, per il miglioramento del funzionamento del Parlamento europeo, per fare in modo che l'Europa abbia in ambito internazionale un rappresentante con funzioni definite meglio e più autorità, e per altri cambiamenti dello stesso tipo, che aumenteranno l'efficienza e la trasparenza dell'Unione.

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Questo voto non è solo frutto dell'entusiasmo per i cambiamenti istituzionali proposti, ma deriva dalla convinzione che l'Irlanda ha tutto l'interesse ad allinearsi all'Europa e che l'Europa va meglio quando la sua integrazione è più forte ed efficace. Manca ancora la ratifica della Polonia e la fine delle manovre dilatorie del presidente ceco Václav Klaus, ma se il trattato di Lisbona sarà adottato, l'Europa nel 2010 avrà un nuovo schema istituzionale. Queste innovazioni non sono la formula magica che risolverà tutti i problemi strutturali dell'Europa, ma rappresentano un progresso decisivo che permetterà agli europei di affrontare meglio il futuro. Un futuro che non ha precedenti.

L'Europa si restringe

Secondo le stime dello storico e premio Nobel per l'economia Robert Fogel, nel 2000 l'Europa ospitava il 6 per cento della popolazione mondiale e la sua economia rappresentava il 20 per cento dell'attività mondiale. In Cina e in India vivevano il 38 per cento degli abitanti, e le loro economie rappresentavano il 16 per cento dell'economia mondiale. Nel 2040 per Fogel l'Europa concentrerà solo il 4 per cento della popolazione e la sua economia non supererà il 5 per cento del totale, mentre Cina e India rappresenteranno il 34 per cento dell'umanità e le loro economie saranno cresciute fino a raggiungere il 52 per cento dell'attività economica mondiale.

Alla luce di questi dati, è necessario che l'Europa affronti le sue relazioni con il resto del mondo unita, in modo efficiente e innovativo.

RIFORME

La sindrome di Bisanzio

"Sono dieci anni che l'Europa continua a discutere di regole, procedure e istituzioni", invece "di dedicare queste energie a cercare una maggiore armonizzazione fiscale, costruire un mercato energetico comune, lottare contro il cambiamento climatico, migliorare la competitività e il coordinamento finanziario", commenta Xavier Vidal-Foch su El País.

Il diritto di veto utilizzato dall'Irlanda per approvare il trattato di Lisbona rischia di fare dell'Ue una nuova Bisanzio. L'Ue sarà sottoposta al ricatto dei governi nazionali, favoriti dalla regola dell'unanimità che porta "all'apoteosi della paralisi". Per Vidal-Foch, l'unica via di uscita è dare una "risposta dura" e di dotarsi di un "potere politico efficace", perché i "nuovo ottomani" si avvicinano con la loro nuova potenza proveniente dall'Asia. Mentre "i bizantini si distraevano parlando del sesso degli angeli, gli ottomani ne fecero un sol boccone". Il peso dell'economia europea è in pericolo, perché "il ricatto non costa nulla al suo autore, ma sarà l'Ue a pagarne il conto in termini di opportunità, prestigio internazionale e credibilità sui mercati".

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