Un capodoglio impigliato in una spadara.

Uno strascico senza fine

Nel 2002 l’Unione europea ha proibito l’uso delle spadare per proteggere la fauna mediterranea, pagando ricchi indennizzi ai pescatori. Ma nel sud Italia il bando viene regolarmente aggirato con l’aiuto della mafia.

Pubblicato il 31 Ottobre 2011 alle 16:42
Alberto Romeo, Marine Photobank  | Un capodoglio impigliato in una spadara.

Qualcuno le ha deposte e consegnate alle autorità, come Colt e Winchester allo sceriffo del villaggio. Altri invece, spinti dal denaro o dalla sopravvivenza, continuano a utilizzarle. Nascoste tra le banchine dei porti tunisini, o esposte in bella mostra nelle acque calabresi, le spadare, le reti killer del mare, bandite nel 2002 dall'Unione Europea, in Italia sono la prima causa di morte di capidogli e delfini che incappano nei suoi muri invisibili.

L'ultimatum per porre fine alla guerra del mare è arrivato da Bruxelles lo scorso 6 ottobre. L'Italia ha due mesi per voltare pagina. Sessanta giorni per cancellare dieci anni da fuorilegge. Una pazienza costata all'Europa ben 200 milioni di euro, la cifra stanziata dalla Commissione per la riconversione delle spadare verso altri sistemi di pesca meno devastanti per l'ambiente. Intascati gli assegni, i pescherecci italiani hanno tuttavia continuato a calare le reti fantasma.

Eppure solo un anno fa la pace tra pescherecci e capitanerie sembrava a un passo, con il cessate a fuoco dei pescatori di Bagnara Calabra, in provincia di Reggio Calabria, che nel corso di un'affollata conferenza stampa, il 24 giugno dello scorso anno consegnavano le spadare alle autorità in cambio di qualche licenza per l'uso del palangaro. Sono stati in pochi però a seguire l'esempio.

Solo tra il 2005 e il 2009 sono state sequestrati 2.800 chilometri di spadare, quasi la distanza che intercorre tra Agrigento e Londra. Nei primi nove mesi del 2011, invece, sono state accertate ben 93 infrazioni che hanno portato al sequestro di 221 chilometri di reti illegali: un incremento, rispetto al 2010, pari al 64 per cento.

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Nell'elenco dei fuorilegge pubblicato dalla fondazione Pew Enviroment, tra i 330 pescherecci dediti "alla pesca con reti illegali, figurano circa 103 unità che hanno usufruito di ingenti contributi pubblici dell'Ue e dello stato italiano (oltre 12,5 milioni tra il '98 e il 2006) per la riconversione delle spadare verso altri sistemi meno devastanti per l'ambiente". Ricevuti gli assegni, hanno continuato a trasgredire. Come il peschereccio San Francesco I di Palermo, beneficiario di un contributo pubblico di 37mila euro nel 2004 e sanzionato sei volte negli ultimi anni. E ancora, il Patrizia, sanzionato ben quattro volte tra Lipari e Milazzo nel 2007, dopo aver percepito circa 249mila euro di aiuti pubblici per la riconversione delle reti.

Il sospetto degli ufficiali della Guardia costiera è che "i finanziamenti somministrati per la riconversione degli attrezzi da pesca siano stati invece dedicati all'acquisto di dispendiose attrezzature per proseguire in modo ancor più efficace le forme di pesca messe al bando".

Da quando le spadare sono state messe al bando le indagini hanno portato alla luce diversi stratagemmi adottati dai bracconieri per aggirare leggi e controlli. Spesso, i sistemi di pesca leciti vengono usati per coprire quelli vietati: "Poiché la licenza di pesca prevede infatti quasi sempre anche l'uso dei palangari - scrive Vittorio Alessandro, comandante della Guardia costiera – gli equipaggi dichiarano che gli esemplari di pescespada rinvenuti a bordo sono stati catturati con gli ami, che in realtà sono stati precedentemente applicati ad arte nella bocca dell'animale".

Altro metodo usato è quello di mettere insieme più "ferrettare", reti che sono lunghe al massimo 2,5 chilometri e il cui utilizzo è consentito oltre le 10 miglia dalla costa. "Si usano delle lunghissime barriere di ferrettare utilizzando spezzoni di rete nella quantità per ciascuno consentita. Unite pezzo per pezzo, le ferrettare si trasformano in gigantesche spadare, catturando nelle loro maglie decine di tonnellate di pescespada".

I "porti di favore" sono le basi operative dei bracconieri dove vengono nascosti chilometri e chilometri di spadare. Come il porto di Biserta, in Tunisia. Qui arrivano le imbarcazioni dei bracconieri italiani, che scaricano le reti legali e caricano le spadare. Nel 2010 a Biserta sono stati intercettati tre pescherecci intenti a salpare gli attrezzi illegali a 40 miglia a nord dalla costa africana. L'operazione ha portato al sequestro di circa 11mila metri al primo peschereccio e di circa 15.500 al secondo, oltre a mille chili di pescespada.

Secondo le dichiarazione degli inquirenti riportate nell'ultimo dossier Mare Monstrum di Legambiente, "a lavorare nel settore illegale non sono solo pescatori improvvisati, ma vere e proprie organizzazioni criminali (anche di tipo mafioso) armate di tutto per rastrellare ogni forma di vita presente nei mari". E forse non è un caso se proprio in Sicilia, Campania e Calabria le spadare, o altre forme di pesca illegale, rappresentino ormai da tempo la regola.

Secondo un rapporto di Confesercenti solo il business annuo legale della pesca ammonterebbe a circa due miliardi di euro l'anno. Difficile stimare i numeri dell'illegalità, invece. Ma secondo gli inquirenti le cifre sfiorerebbero il miliardo e mezzo.

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