Lucas Papademos, Mario Monti e Mario Draghi.

Nelle mani dei tecnocrati

La nomina di governi tecnici in Italia e Grecia è stata definita da più parti una sospensione della democrazia. Ma solo figure al di sopra delle parti possono fermare la radicalizzazione della politica innescata dalla crisi.

Pubblicato il 15 Novembre 2011 alle 15:07
Lucas Papademos, Mario Monti e Mario Draghi.

La costituzione di governi tecnici in Grecia e Italia non è stata accolta da un plauso unanime. Alcuni sostengono che poiché Lucas Papademos e Mario Monti non sono stati eletti, la loro nomina altro non è che una conferma della natura elitaria e non democratica del progetto europeo.

Forse è così. Eppure i tecnocrati hanno un punto di forza quando ci si trova nel bel mezzo di una crisi finanziaria: sono perfettamente a loro agio con i grafici delle entrate e le obbligazioni dei debiti collaterali, conoscono i paesi stranieri e i mercati e se qualcuno entra nel loro ufficio è improbabile che si senta chiedere una bustarella. Oltretutto, dando per scontato che non ambiscono a una carriera politica, potrebbero rivelarsi capaci di prendere decisioni difficili.

I tecnocrati europei tendono ad avere credenziali straordinariamente simili. Se si confrontano i curricula di Mario Monti, Papademos e Mario Draghi, il capo della Banca centrale europea appena insediato, si scopre che sono tutti economisti che hanno studiato negli Stati Uniti e che hanno già ricoperto incarichi ai vertici dell’Unione europea. Monti e Draghi hanno lavorato entrambi per Goldman Sachs.

Tali credenziali piaceranno ai mercati, ma saranno sgraditi ai no global. L’Europa e il mondo in generale, però, hanno ottimi motivi per sperare che Monti e Papademos facciano miracoli, mentre gli estremisti non aspettano altro che falliscano.

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In Grecia circa un quarto degli elettori si dichiara vicino ai partiti di estrema sinistra e un altro otto per cento sostiene la destra nazionalista. Nel complesso in Grecia gli estremi politici godono di maggiore supporto di ciascuno dei due partiti più importanti. Dopo le dimissioni forzate di Silvio Berlusconi, in Italia la politica italiana per qualche tempo sarà inevitabilmente caotica e confusa. In passato, però, l’Italia ha dato vita a vigorosi movimenti di sinistra e destra. Nel frattempo Umberto Bossi della Lega Nord si dice felice di passare all’opposizione, da dove potrà contrastare l’Ue, gli immigrati e i meridionali.

La radicalizzazione della politica è palese tanto nelle nazioni creditrici d’Europa quanto tra quelle debitrici. Marine Le Pen del Front National avrà un forte impatto sulle elezioni presidenziali francesi del 2012, anche se è improbabile che si aggiudichi la vittoria. Nei Paesi Bassi il governo dipende dai voti del Partito della Libertà di Geert Wilders, che si colloca al secondo posto nei sondaggi sul gradimento popolare. Il Partito della Libertà austriaco di estrema destra è a pari merito nei sondaggi con il Partito Popolare al governo. In Finlandia i nazionalisti stanno guadagnando sempre più terreno e hanno oltre il 20 per cento del gradimento popolare.

Tutti questi partiti si scagliano contro le élite di Bruxelles e Wall Street e i loro stessi governi. Sono ostili alla globalizzazione e all’immigrazione, specialmente quella proveniente dal mondo musulmano. Alcune frange dell’estrema destra europea – per esempio il partito Jobbik in Ungheria – insistono ancora su tradizionali teorie antisemite, mentre altri, come Wilders, sono fortemente filo-israeliani perché considerano lo stato di Israele un alleato nello scontro di civiltà con il mondo musulmano.

I populisti europei stanno per uscire dal ghetto elettorale dell’ostilità all’immigrazione grazie a posizioni economiche ed euroscettiche che raccolgono ampi consensi nella popolazione. Tutti i partiti populisti sono profondamente ostili nei confronti dell’Ue, che appoggia e promuove tutto ciò che essi aborrono: il multiculturalismo, il capitalismo internazionale, l’erosione dei confini nazionali e la cancellazione delle valute nazionali.

Le Pen fa campagna sostenendo che la Francia debba fare un passo indietro ed eliminare l’euro, imporre barriere tariffarie e abrogare gli accordi di Schengen sulla libertà di circolazione all’interno dell’Ue. Wilders, che un tempo era un politico con una sola tematica in testa (anti-Islam), ha appena annunciato di voler indagare la possibilità che i Paesi Bassi abbandonino l’euro e tornino al fiorino. I sondaggi rivelano che la maggioranza della popolazione olandese è pentita di aver aderito alla valuta unica europea.

Il peggio deve venire

Per il momento in Europa non c’è un partito dell’estrema destra o dell’estrema sinistra che possa vincere le elezioni: in linea generale, infatti, i partiti moderati riescono ancora a compattarsi quel tanto che basta a escludere gli estremisti. Ma sarebbe un grave errore sottovalutarli.

Questi gruppi possono già influenzare il dibattito pubblico. I politici delle nazioni creditrici come Finlandia, Paesi Bassi e Slovacchia dicono che dopo il bailout della Grecia potrebbero non votare un ulteriore pacchetto di aiuti per l’Italia, in quanto gli elettori insorgerebbero e si orienterebbero verso i poli estremi. In Francia il dibattito sull’immigrazione e sulle politiche economiche ha chiaramente imboccato la direzione della destra, spinto dal Front National.

Tutto ciò accade mentre la situazione economica è cattiva, ma non ancora catastrofica. Immaginiamo come potrebbe apparire il panorama politico europeo se le banche iniziassero a fallire, la gente perdesse i propri risparmi e il posto di lavoro e cominciasse un’altra profonda recessione. Gli elettori sarebbero così disperati da potersi rivolgere ai partiti estremisti in percentuali molto più consistenti.

Il futuro dipende quindi dalla capacità dei tecnocrati appena nominati di stabilizzare le economie, tranquillizzare i mercati, prevenire un’altra crisi finanziaria e scongiurare il fuggi-fuggi dall’euro. Il problema è che per quanto abili siano Monti, Papademos e Draghi, non potranno fare miracoli. Il rischio è infatti che la situazione sia arrivata al punto in cui neppure il più determinato e brillante dei tecnocrati possa cambiare le cose. (traduzione di Anna Bissanti).

Commento

L’ideologia dell’austerity

"L'unica cosa si cui sono tutti d'accordo è che siamo arrivati alla fase politica della crisi economica, e che stiamo assistendo all'insediamento della tecnocrazia", scrive su El País Joaquín Estefanía all'indomani della nomina dell'ex commissario europeo Mario Monti e dell'ex membro della Banca centrale europea Lucas Papademos alla guida dei governi di Italia e Grecia.

"I tecnocrati non sono puri di spirito, ma come i politici a cui si sostituiscono e come gli altri cittadini sostengono la loro ideologia. Sono arrivati al potere per difendere una politica economica precisa: quella dettata da Angela Merkel con l'appoggio incondizionato di Sarkozy e che consiste in una massiccia dose di austerity per i paesi del sud in cambio del salvataggio dell'eurozona. […] La crisi ha parlato chiaro ai perdenti: 'siamo spiacenti per quello che vi tocca passare, ma le leggi dell'economia sono impietose e dovete adattarvi riducendo le protezioni per i vostri benefici. Dovrete accettare un aumento della precarietà, perché è questo il cammino verso il futuro'".

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