Il presidente kazako Nursultan Nazarbayev (sn) col suo omologo turco Abdullah Gul ad Astana nel 2007. (AFP)

Ankara guarda a est

Nel suo rapporto annuale sull'adesione della Turchia, l'Ue incoraggia Ankara a continuare sulla strada delle riforme e della democratizzazione. Ma, osserva il giornalista Erdal Safak sul quotidiano turco Sabah, la vocazione della Turchia è tanto europea quanto asiatica. 

Pubblicato il 19 Ottobre 2009 alle 16:24
Il presidente kazako Nursultan Nazarbayev (sn) col suo omologo turco Abdullah Gul ad Astana nel 2007. (AFP)

Il Rapporto annuale sui progressi dell'adesione della Turchia all'Unione europea è considerato una sorta di "bollettino" nel quale la Commissione europea giudica le prestazioni realizzate dalla Turchia in questi ultimi anni. Ma per la prima volta lo abbiamo letto senza alcun entusiasmo. È vero che eravamo in Kazakistan, lontano dalla Turchia e ancora di più da Bruxelles. Ma la mancanza di interesse rispetto agli anni passati non è solo geografica.

Senza dubbio l'ambiente e il dinamismo nel quale ci troviamo hanno influito sulla nostra percezione. In Kazakistan il rapporto 2009 non interessava a nessuno. Non appena si parlava della sua importanza, ci veniva subito risposto: "Ma lasciate stare l'Europa, e guardate piuttosto all'Asia!". Qualcuno, più cortese o più diplomatico, ci diceva: "Certo, sarebbe un peccato abbandonare un percorso così lungo avviato con l'Europa. Ma un giorno vi renderete conto che è soprattutto qui che la Turchia potrà realizzare i suoi veri obiettivi".

Una nuova Norvegia

Il futuro della Turchia, così come quello dell'Europa, guarda sempre di più all'Asia centrale. Anche il "piccolo Napoleone" d'Europa, che non sopporta alcuna critica - il presidente francese Nicolas Sarkozy - è andato all'inizio di ottobre fino ad Astana, adottando per la circostanza un profilo molto basso. Il fatto è che il Kazakistan è pieno di gas naturale e di uranio. In poco tempo questa regione diventerà una nuova Norvegia, un nuovo Canada, una nuova Australia, e suscita già molti interessi. L'immensità di questo paese, quattro volte più grande della Turchia ma popolato da appena 30 milioni di abitanti, offre numerose possibilità. E Istanbul si è già riservata lo sfruttamento di alcune zone di questo territorio.

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In queste condizioni i commenti a proposito di questo rapporto di lavoro, che in sostanza ci dicono che "il tono è più misurato che negli anni precedenti" e che "le aspettative e le richieste dell'Unione europea nei confronti della Turchia sono molto più ragionevoli", ci fanno sorridere. Non possiamo certo dire che non ci importa più nulla perché adesso abbiamo la nostra Eurasia - l'Unione europea rimane "la nostra via" - ma è importante capire che adesso questa non è più "l'unica via". In ogni modo, non possiamo che rallegrarci per questo rapporto.

ALLARGAMENTO

Cipro, tallone d'Achille della Turchia

Nel suo rapporto annuale sulla Turchia, pubblicato il 14 ottobre, la Commissione europea insiste per una rapida risoluzione della questione cipriota: lo [scrive Robert Ellis sul Guardian](http:// http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2009/oct/18/turkey-cyprus-europe-membership). “Con la caduta del Muro di Berlino e la conclusione delle ostilità in Irlanda del nord” scrive Ellis, “il conflitto di Cipro è ora il più longevo d'Europa”. Dall’invasione turca del 1975, i molteplici tentativi delle Nazioni Unite di riunificare l’isola divisa tra nord e sud e tra comunità turche e greche “si sono rivelati un insuccesso politico per ben quattro segretari generali e innumerevoli diplomatici”.

Mentre la parte greca dell’isola di Cipro è già membro a tutti gli effetti dell’Ue, è tuttora poco chiaro se il leader Mehmet Ali Talat dei ciprioti turchi saprà venire a termini con la sua controparte greca Demetris Christofias, “malgrado già vi sia un’intesa di massima dei due leader sui parametri dei negoziati e su una federazione formata da due stati costituenti con un’unica sovranità”. Restano tuttavia altri ostacoli, in particolare “l’insistenza da parte dei turchi a voler mantenere una presenza militare sull’isola e la loro politica di colonizzazione. In realtà la popolazione turco-cipriota rimasta – circa 89.000 anime su un totale di 260.000 nell’area cipriota turca – si lamenta per l’oppressione da parte della Turchia”.

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