I candidati si scaldano, il ring li attende. Ci saranno senz'altro grandi scontri sul riscaldamento globale. Ma al Consiglio europeo ci sarà anche una battaglia un po' meno nobile. Il trattato di Lisbona non è ancora stato ratificato, ma già circola sottobanco una lista di nomi per il nuovo presidente europeo. Sono due i grandi sfidanti. Ormai considerato il favorito, Tony Blair, ex primo ministro laburista britannico, riscuote sia critiche che consensi. Jean-Claude Juncker, primo ministro lussemburghese, si lancia nella competizione con apparente disinvoltura: “Mi è stato fatto un appello, e non vedo ragioni di rifiutare”, ha dichiarato in una lunga intervista su Le Monde.
Serve un leader popolare e carismatico o un abile negoziatore capace di mediare? Un peso massimo o un peso piuma? Tony Blair e Jean-Claude Juncker incarnano perfettamente l'alternativa. Il quotidiano italiano Il Foglio, dichiaratamente a favore di Blair, non nasconde i suoi dubbi nei confronti di Juncker “l'euro-pigmeo” (come l'Economist definisce i candidati minori che sfidano l'ex premier britannico). “Il premier di un paese di dimensioni paragonabili alla provincia di Ancona sfida Tony Blair. (…) Dalla sua parte c'è la Vecchia europa: quella dell'asse franco-tedesco, dei vecchi rapporti di forza, di una visione notarile delle relazioni comunitarie. Juncker è quindi l'esatto opposto di Blair: senza carisma e ambizioni politiche, si limiterebbe a fissare l'ordine del giorno dell'agenda dei 27 e a negoziare compromesi di basso profilo”, scrive il quotidiano italiano.
La sfida dei pesi piuma
“Non sono un nano”, sembra rispondere Juncker dalle colonne di Le Monde. La prova: “ho relazioni amichevoli con Vladimir Putin e conosco personalmente i dirigenti cinesi”.
“La scommessa di Juncker sembra quasi una vendetta del Benelux per le manovre britanniche del 2004”, commenta El País. Allora gli inglesi si schierarono contro la candidatura dell'ex primo ministro belga Guy Verhofstadt alla direzione della Commissione europea. “All'epoca Blair aveva fatto di tutto per silurare il candidato liberale belga”, scrive il quotidiano madrileno.
Nella categoria pesi piuma c'è un altro candidato, il premier olandese Jan Peter Balkenende. “È finito il tempo dei grandi leader europei ispirati, la visione d'insieme è superata”, ironizza De Volkskrant. “I grandi non vogliono più un uomo che si occupi di tutto e giochi a fare il presidente. Blair dovrebbe temere leader anonimi e piatti come Balkende. Il noiosissimo Jean Claude Juncker, per esempio, o Paavo Lipponen. Anche Herman Van Rompuy è un eccellente nullità”.
Gazeta Wyborcza taglia corto: Balkende è talmente insignificante che nessuna capitale europea lo può seriamente prendere in considerazione. O forse è proprio per questo, scrive il quotidiano polacco, che il leader dei Paesi Bassi ha tutte le carte in regola per essere nominato.
L'investitura di Sarkozy
Pur non avendo ancora annunciato la sua candidatura, Tony Blair sembra davvero deciso a correre per la carica. Sarebbe stato Nicolas Sarkozy a suggerirgli l'idea, nel 2006, quando era ancora ministro dell'interno. “Sei fatto apposta per questo ruolo”, gli avrebbe detto Sarkozy. Blair, in risposta, si era limitato a ridere, ma uno dei suoi collaboratori ha rivelato a Le Monde la grande soddisfazione dell'ex premier alla proposta.
In gara c'è anche un irlandese, rivela The irish times. L'ultimo sfidante ad essere entrato in competizione è John Bruton, ex primo ministro irlandese (1994 -1997), un'altra personalità non proprio entusiasmante.
Candidature spuntate dal nulla e speculazioni di ogni genere: il clima che circonda la nuova carica non piace allo Spiegel. “I leader europei intrallazzano un po' dovunque. A Vienna, negli uffici di Stoccolma, nei ristoranti di Downing Street, nel Lussemburgo di Juncker o nelle sontuose stanze del potere di Sarkozy, è il vecchio sistema a prevalere: “Se appoggi il mio candidato io aiuterò il tuo, e insieme faremo fuori la concorrenza. I candidati troppo intelligenti, troppo popolari o troppo coraggiosi sono scomodi e perciò scartati”. Dalle pagine di Le Monde Matthew Doyle, ex portavoce di Tony Blair, ricorda: “A che serve fare campagna? Tanto la decisione sarà presa dai ventisette, a porte chiuse”.