Non vendiamo la pelle di Bruxelles

Mentre l'eurozona sprofonda nella crisi, l'economia turca continua a prosperare. Politici e commentatori ne approfittano per sfogare dovuto ad anni di ostracismo. Ma l'eccesso di sicurezza è sempre controproducente.

Pubblicato il 13 Dicembre 2011 alle 15:32

Negli ultimi tempi in Turchia va di moda criticare l’Unione europea: ormai le critiche vengono anche da personalità di spicco, si tratti di ministri o del presidente della repubblica. Il discorso pronunciato dal presidente Abdullah Gül in occasione della sua visita ufficiale nel Regno Unito alla fine di novembre, durante il quale ha definito “deprimente” l’Ue, esemplifica molto bene questa nuova attitudine.

È in questo clima che si afferma l'immagine di un’Ue “in via di decomposizione”. Chi parte da questo assunto conclude che la Turchia, “che è sempre più forte, non ha più bisogno di un’Unione europea che è in ogni caso sull’orlo del baratro”.

Da queste parole si deve dedurre che la politica dello stato turco nei confronti dell’Ue sta per cambiare? Dato che l’Ue è un’organizzazione “deprimente”, sul punto di cadere nel baratro, perché la Turchia dovrebbe adoperarsi per entrare a farne parte? Perché una Turchia che viaggia a tutta velocità verso il benessere dovrebbe volersi unire a un tale club di “miserabili”?

Conosciamo molto bene i motivi che hanno indotto Gül a fare le sue dichiarazioni. L’opposizione dell’Ue all’ingresso della Turchia ha provocato delusione nell’opinione pubblica turca in generale, ma anche tra i più ferventi partigiani dell’Ue, che non nascondono più il loro rancore. Tali sentimenti sono amplificati dalle difficoltà che gli europei devono affrontare mentre noi siamo in piena ascesa economica e politica.

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Da questo punto di vista i rimproveri indirizzati all’Europa sono una dimostrazione della fiducia in sé che, per certi aspetti, ha rimpiazzato un vecchio complesso d'inferiorità. Quando questo stato d’animo sfocia in un complesso di superiorità eccessivo, che sminuisce e ridicolizza l’Unione europea, si spiana la strada alla svalutazione del progetto europeo da noi e si offrono nuovi argomenti agli europei che si oppongono all’adesione della Turchia.

Certo, l’Ue oggi sta vivendo uno dei periodi più difficili della sua storia. La crisi finanziaria ha portato sull’orlo del fallimento non solo i paesi più fragili, ma anche quelli più ricchi e avanzati. Tutto ciò non può che provocare ripercussioni sociali e politiche. È anche vero, tuttavia, che l’Unione europea non è ancora sul punto di sciogliersi. Se l’Europa appare oggi una compagine “infelice” o “malata”, ha ancora i mezzi per recuperare tutta la potenza che ha perso.

I leader turchi lo sanno, e sono anzi consapevoli della filosofia e dei valori che l’Unione europea incarna ancora agli occhi della Turchia. Di conseguenza, l’opinione pubblica turca non deve interpretare le reazioni dei suoi dirigenti come una rinuncia al progetto europeo: e lo stesso vale per i leader europei, irritati da tali reazioni.

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