I rospi dell’allargamento

Per accedere alla procedura di adesione tutti i paesi candidati devono fare dei sacrifici. Più i governi esitano ad affrontarli, più questi nodi diventano difficili da sciogliere.

Pubblicato il 14 Marzo 2012 alle 14:38

Ogni volta che uno stato che desidera aderire all’Alleanza atlantica (Nato) ed entrare nell’Unione europea (Ue) riesce a superare uno degli ostacoli del percorso tracciato di proposito, mi sovvengo immediatamente delle parole di Zoran Dogramadziev, uno dei pochi giornalisti macedoni ad aver fatto carriera a livello internazionale.

In un articolo pubblicato parecchi anni fa sul nostro quotidiano, egli fece notare che ogni candidato a entrare in un club europeo doveva ingoiare un rospo prima di passare alla casella successiva, e che era preferibile compiere il percorso a ostacoli nel minor tempo possibile, prima che la bestia in questione crescesse troppo.

E così la Slovenia è stata costretta a restituire i beni appartenenti alla minoranza italiana; la Croazia ha dovuto rassegnarsi a cedere alla Slovenia una parte delle proprie acque territoriali nella baia di Pirano; la Romania ha dovuto abbassare la cresta e fare parecchie concessioni alla minoranza ungherese, cosa che non avrebbe mai fatto senza le pressioni di Bruxelles; la Bulgaria è stata costretta fermare in parte la centrale nucleare di Kozlodouï, l’impianto più redditizio del paese.

Quanto alla Macedonia, il rospo (un compromesso con la Grecia nella diatriba sul nome del paese che contrappone i due stati) ha avuto ben venti anni per crescere e sarà sempre più difficile da buttar giù.

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Serbia e Kosovo, paesi in fila d’attesa per l’Europa, hanno appena condiviso la medesima esperienza: hanno firmato un accordo sulla denominazione dell’ex provincia serba che nel 2008 aveva proclamato unilateralmente la propria indipendenza. In base a questo accordo, la Serbia accetterà che le autorità kosovare rappresentino il loro paese alle conferenze regionali.

Nel testo però la denominazione del Kosovo è seguita da un piccolo asterisco che rimanda a una nota a piè di pagina, nella quale si precisa che non si tratta di un riconoscimento ufficiale della sua indipendenza. Firmando questo accordo storico, che di fatto distingue due entità ben precise, Serbia e Kosovo hanno già superato un primo ostacolo del percorso che dovranno ultimare.

Mentre i governi firmatari si sono immediatamente adoperati per rassicurare i loro concittadini e spiegare che l’accordo era una piccola vittoria per il loro paese, i nazionalisti di entrambi i paesi l’hanno criticato, parlando di tradimento e di capitolazione davanti alle istanze europee.

Il Kosovo è ancora lontano

La comunità internazionale e i paesi confinanti si sono subito congratulati con Serbia e Kosovo, esortandoli a continuare nei loro sforzi. Perfino Hillary Clinton da Washington ha dichiarato che ora il Kosovo è più vicino all’Ue.

Ma il progresso più significativo è stato compiuto da Belgrado: Germania e Francia si sono prodigate ad annunciare che la Serbia merita lo status di paese candidato a entrare nell’Ue. Ormai è cosa fatta e al paese non resta che sperare che si fissi presto una data di inizio per i negoziati, forse in contemporanea con il Montenegro.

A prescindere dall’effettivo significato di questo accordo, è ormai un dato di fatto che i dirigenti serbi si sono liberati della palla al piede costituita da questa provincia persa ormai da tempo. Adesso non resta loro che preparare la popolazione ad accettare la realtà: il Kosovo, la “Terra santa” serba, oggi è uno stato indipendente.

I kosovari, dal canto loro, sono diventati consapevoli del fatto che la strada tra la proclamazione dell’indipendenza e il riconoscimento della comunità internazionale è ancora lunga, e passa attraverso un dialogo aperto con la Serbia. Quando quest’ultima diverrà un membro a tutti gli effetti della Nato e dell’Ue, l’integrazione europea del Kosovo potrà essere attuata soltanto con il benestare di Belgrado.

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