Un centro di ricerca a Lione, Francia. AFP

Lo sviluppo? Ripassare nel 2020

Essere la regione più competitiva al mondo entro il 2010: ormai è chiaro che l'obiettivo della strategia di Lisbona non sarà raggiunto. I Ventisette hanno così deciso di darsi altri dieci anni di tempo. Ma la congiuntura è ancor meno favorevole.

Pubblicato il 8 Gennaio 2010 alle 15:50
Un centro di ricerca a Lione, Francia. AFP

Nel marzo del 2000 i leader europei si incontrarono a Lisbona per tracciare le linee di un progetto ambizioso: fare dell'Europa l'area più competitiva al mondo nel giro di dieci anni, portando l'occupazione oltre il 70 per cento della popolazione attiva, l'investimento nella ricerca al 3 per cento del Pil e la crescita media almeno al 3 per cento annuo. Ma il 2010 è arrivato, e nessuno di questi tre obiettivi appare prossimo al raggiungimento, anzi, dopo la crisi gli indicatori sono tutti peggiorati.

Che fare, adesso? "Stracciarsi le vesti? Non serve", scrive Adriana Cerretelli sul Sole 24 Ore. "Archiviata l'età dell'ottimismo che all'inizio del secolo si alimentava di successi innegabili come la nascita del mercato unico e dell'euro, ora si marcia nel segno del realismo. Il mondo è cambiato, la globalizzazione morde. Peggio, tra la sorpresa di molti è stata la Cina nel frattempo a vincere la scommessa invano inseguita dall'Europa."

Ma Bruxelles non si da' per vinta, e ha deciso di reimpacchettare i buoni propositi del 2000 in un altro imballaggio, con meno cifre, nuove parole d'ordine – conoscenza, sicurezza, sostenibilità – e soprattutto una scadenza più lontana: 2020. Cercando di imparare dal flop: "Se Lisbona ha fallito è stato per una questione di metodo: obiettivi giusti ma non vincolanti, affidati alla buona volontà dei governi. Riuscirà Eu 2020, la nuova strategia, a non cadere nello stesso errore? Sono in molti a non crederci. Troppi nazionalismi ormai in Europa. Se così sarà (come è molto probabile), vecchio e nuovo poco importa, l'esercizio rischierà ancora una volta di fare tanto rumore perpoco o nulla".

OPINIONE

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Une strategia irrealistica

“Un presidente Ue privo di veri poteri”: così Dziennik Gazeta Prawnacommenta l’ambizioso programma di riforme che il presidente dell’Unione Herman Van Rompuy intende presentare al summit dell’11 febbraio. Tra le riforme auspicate ci sono cambiamenti sostanziali al sistema dell’istruzione, il ridimensionamento degli ammortizzatori per l’occupazione, come pure la promozione di tecnologie rispettose dell’ambiente. Se Eu 2020 dovesse fallire sarebbe la fine del modello sociale europeo, sostiene Van Rompuy. Come impedire che ciò accada? Prima di tutto adottando una politica uniforme sulle questioni economiche, e poi facendo sì che tutti gli stati membri rispondano dei propri successi e fallimenti nell’attuazione pratica del programma. “La crisi ha fatto comprendere ai leader europei che si trovano tutti sulla stessa barca, e che pertanto se la Grecia cola a picco l’intera zona euro potrebbe inabissarsi” dice Ann Mettler, direttore esecutivo del Lisbon Council.

Gli stati membri, tuttavia, sono scettici. “Nessuno accetterà l’introduzione di penali per non aver attuato il programma di Van Rompuy” dice il ministro degli affari europei Mikołaj Dowgielewicz, che ritiene anche che non sia possibile instaurare un governo economico dell’Unione. “Le competenze della Commissione europea e della Banca centrale europea sono chiaramente indicate, e qualsiasi cambiamento è irrealistico”, sottolinea Dowgielewicz. Analoghe obiezioni sono state sollevate dai politici dei 27 stati membri, che in pratica escludono che il piano di Van Rompuy possa funzionare. “Sarebbe la prima prova evidente che i leader dell’Ue non contano davvero sulla presidenza”, conclude il quotidiano polacco.

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