"New Tear, One with you"

La bomba demografica del Kosovo

Lo stato più recente d’Europa ha l’età media più bassa e il più alto tasso di disoccupazione: gli stessi ingredienti che hanno portato alle rivolte nel mondo arabo. I giovani di Pristina cominciano a dare segni d’irrequietezza.

Pubblicato il 11 Aprile 2012 alle 10:47
Astrit Ismaili  | "New Tear, One with you"

A qualsiasi ora del giorno gli artisti, gli scrittori e i sognatori di Pristina si ritrovano nell’accogliente Dit e Nat, una caffetteria piena di libri il cui nome in albanese significa giorno e notte. Tra loro c’è Astrit Ismaili, un artista di 20 anni appena ritornato da uno stage di sei mesi a New York. “Sono stato fortunato. La maggior parte della popolazione del Kosovo non ha mai l’occasione di andare altrove perché è difficile ottenere visti. È triste che il talento e le ambizioni dei giovani siano troppo grandi rispetto a ciò che la nostra realtà permette di vivere”.

Ismaili indaga i temi dell’identità e della sessualità attraverso la lente di una società che deve ancora affrontare le conseguenze della guerra che ha portato alla nascita del Kosovo indipendente. Le sue opere possono risultare provocatorie – in una di esse Ismaili ha posato quasi nudo contro lo skyline di Pristina – e sa di spingere i limiti di quello che per lo più resta un paese conservatore. “Se non si ha occasione di sperimentare le cose fuori dal Kosovo, la realtà qui è soffocante”.

Soffocante è l’aggettivo che utilizza anche un laureato disoccupato che dice di chiamarsi Dren: mentre sorseggia un caffé macchiato nell’affollato bar che si affaccia sul monumento giallo costituito dala scritta Newborn (neonato) – inaugurato quando il Kosovo dichiarò la propria indipendenza nel 2008 – Dren indica nel locale la gente circostante. “Pristina è piena di bar come questo, con tanti giovani che non hanno altro da fare se non bere caffè dal mattino alla sera. Siamo senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Questo non è un paese per giovani”.

In realtà il Kosovo è un paese di giovani: i suoi due milioni di abitanti hanno l’età media più bassa di tutta Europa, e metà di loro sono under 25. Oltre un ministro su due ha meno di 40 anni e il presidente Atifete Jahjaga, ex comandante della polizia, aveva appena 36 anni quando è stato eletto l’anno scorso. E come amano sottolineare le autorità ogniqualvolta devono discutere delle sfide che il paese deve affrontare, il Kosovo è il paese più giovane al mondo dopo il Sud Sudan.

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“Nell’arco di tutta la storia non esiste un singolo paese che nel giro di soli tre o quattro anni dalla propria indipendenza abbia risolto tutti i problemi dello sviluppo”, dice il vice primo ministro Edita Tahiri. “Ai nostri giovani vorrei dire: concedeteci ancora un po’ di tempo”.

Alcuni però criticano il fatto che il governo – che ha pagato circa cinque milioni di euro all’agenzia Saatchi&Saatchi per mettere a punto una patinata campagna pubblicitaria internazionale che esalti i “giovani europei” del Kosovo – non stia prendendo abbastanza sul serio i problemi dei giovani. Due anni fa l’Iniziativa per la stabilità del Kosovo, un think tank con sede a Pristina, ha pubblicato in partenariato con l’Unicef un rapporto dal quale risultava che la disoccupazione interessava il 73 per cento dei giovani.

“La disoccupazione in Kosovo sta annientando i giovani”, ha detto ai ricercatori uno degli intervistati. Altri parlano di nepotismo e clientelismo dilaganti e di come questi peggiorino ancor più la vita dei giovani e dei disoccupati. Probabilmente la situazione peggiorerà ancora prima di migliorare: si prevede che entro i prossimi cinque anni raggiungeranno l’età lavorativa circa 200mila persone. I sussidi di disoccupazione sono pressoché inesistenti in Kosovo e di fatto l’unico ammortizzatore sociale è la famiglia. Molti giovani cercano di evadere in altri modi: il consumo di alcolici e stupefacenti è aumentato.

Complessivamente, il tasso di disoccupazione inl Kosovo è del 45 per cento, il più alto dei Balcani occidentali. Un rapporto del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo umano redatto l’anno scorso faceva notare che il giovanissimo stato deve lottare contro la carenza di infrastrutture e una grande incertezza politica e legale (104 stati membri dell’Onu su 193, cinque dei quali nell’Ue, devono ancora riconoscerlo ufficialmente), e tutto ciò allontana gli investimenti stranieri. Il paese deve anche fare i conti con la corruzione: la settimana scorsa il capo della task-force creata dal governo è stato arrestato per concussione.

L’economia è agonizzante e dipende dal settore dei servizi, dagli aiuti internazionali e dalle rimesse della diaspora kosovara, anche se quest’ultima fonte di introiti è stata anch’essa pesantemente colpita dalla crisi finanziaria globale.

L’anno scorso Kreshnik Hoxha, un giornalista poco più che ventenne, descriveva così la situazione: “La verità è che trascurando i propri giovani il Kosovo firma la sua stessa condanna a morte”. Un emigrato con anni di esperienza lavorative per le agenzie internazionali in Kosovo paragona il malcontento popolare a quello che l’anno scorso ha innescato le proteste in tutto il Medio Oriente e nel Nord Africa: “Ci sono i medesimi fattori scatenanti: popolazione giovane, alto tasso di disoccupazione, crescente delusione per lo status quo”.

Basta negoziati

Alcuni attribuiscono il merito dell’ascesa del movimento nazionalista giovanile Vetevendosje ("Autodeterminazione"), diventato il terzo partito più importante del parlamento kosovaro, alla sua abilità nell’incanalare il diffuso e crescente malcontento dovuto all’isolamento e alla stagnazione. Vetevendosje si oppone a qualsiasi contatto con la Serbia, denuncia il paternalismo delle missioni internazionali, compresa la missione Eulex dell’Ue, e spinge per l’unificazione con la vicina Albania.

Le strade di Pristina sono piene di graffiti, tra cui due stanno già scolorendo (Eulexperiment e Jo Negociata – Vetevendosje!, "Nessun negoziato - Autodeterminazione!"). Quest’ultima imbratta il basamento della statua dedicata a Bill Clinton, eretta sul viale che porta il nome del presidente americano per ricordare i bombardamenti Nato che cacciarono le truppe di Belgrado nel 1999.

Il capo di Vetevendosje, Albin Kurti, parla di un sollevamento popolare nonviolento contro quella che è ritenuta la corrotta élite politica del Kosovo, ma in più occasioni le proteste del movimento hanno portato a scontri con la polizia. Le autorità del Kosovo definiscono Kurti e il suo movimento “estremisti” e minimizzano la possibilità che il malcontento dilaghi: “Non c’è alcun rischio”, ha dichiarato il presidente Jahjaga.

Shem Aliu, attivista per i diritti civili di 28 anni che lavora in progetti finanziati dall’Ue dedicati allo sviluppo economico e alla riconciliazione, sostiene che il Kosovo ha molto da offrire. “Vogliamo entrare a far parte dell’Ue, vogliamo partecipare alle Olimpiadi, vogliamo essere membri a tutti gli effetti della Fifa. Vogliamo mostrare al mondo il nostro volto più brillante, la nostra gioventù talentuosa. Il nostro paese ha già fatto molta strada, anche se è ancora lontano da dove vogliamo arrivare. Ma l’isolamento che ci circonda fortifica ancor più le nostre aspirazioni. Ne siamo sicuri: sono in arrivo tempi migliori”.

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