Uno spettacolo del coro dell'Armata rossa a Praga nel 2009 (Respekt/Milan Jaroš)

Non tutti i russi sono cattivi

A quasi venti anni di distanza dal ritiro dell’Armata Rossa, i russi sono tornati a Praga. Oltre agli uomini d’affari legati al Cremlino, che preoccupano il governo, ci sono anche studenti e imprenditori in fuga dal loro paese.

Pubblicato il 28 Gennaio 2010 alle 14:57
Uno spettacolo del coro dell'Armata rossa a Praga nel 2009 (Respekt/Milan Jaroš)

Per la maggior parte dei cechi, l’immagine dell’occupante russo, difensore dell’ignobile regime comunista, resta un ricordo molto vivo. Ma ci sono motivi più recenti per preoccuparsi: i nuovi russi. Arrivano da un paese che i rapporti dei servizi di intelligence cechi inseriscono tra le “minacce alla sicurezza”. Secondo alcuni sondaggi pare che i cechi inizino ad abituarsi ai “loro russi”. “Quelli che si sono stabiliti in Repubblica Ceca appartengono alle classi medie. Per loro qui è meno caro che all’ovest” spiega Alexei Kelin, ex membro del Consiglio di governo per le minoranze nazionali. Kelin afferma che i russi più benestanti sono prima di tutto attirati da Londra e da Parigi.

Le statistiche, poi, rivelano che i russi che vivono in Repubblica Ceca sono ben istruiti, rappresentano una minima parte della criminalità straniera e lavorano soprattutto nel settore immobiliare, in quello dell’abbigliamento e nell’informatica. Nel 1997 a Praga c'erano solo un negozio russo e un parrucchiere. Oggi, secondo il sito del giornale in lingua russa Prajskij Express, ci sarebbero 24 negozi che vendono prodotti russi, circa 15 parrucchieri e 5 sedi distaccate di università russe e ucraine. I russi fanno affidamento soprattutto sui loro legami familiari. Non sono molto propensi ad allacciare relazioni con la loro comunità. “Il 70 per cento della nostra clientela è russa” afferma Iolanta Avanessian, la proprietaria del negozio Arbat. “Ma non è certo un centro d'aggregazione. Le persone che entrano qui scelgono, pagano e se ne vanno. Non stringono amicizie”. Kelin afferma che in generale i russi “hanno la tendenza a non fidarsi di niente e nessuno”.

Rapporti difficili

A Praga, non lontano dalla stazione della metropolitana Pavlova, sono nate due riviste per giovani, edite dalle case editrici Artek e Russkoe Slovo e rivolte alla “diaspora russa che vive in Repubblica Ceca”. Anna Chlebinová è una delle redattrici: “Noi non facciamo politica. Siamo più che altro un’associazione culturale, ma quello che scriviamo e pubblichiamo basta e avanza perché le nostre relazioni con l’ambasciata russa siano assai tese”. Sul tavolo c’è un libro russo. In migliaia di pagine racconta nei dettagli il destino di artisti, scienziati, militari e medici russi che prima dell’ascesa dei comunisti (nel 1948) avevano trovato asilo in Cecoslovacchia. Poco dopo, prima che il manoscritto fosse pubblicato, un rappresentante dell’Ambasciata ha chiamato e imposto pesanti rettifiche, minacciando in caso contrario di rompere il contratto.

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“Noi abbiamo scritto che all’indomani della Seconda guerra mondiale, i servizi segreti sovietici deportarono un gran numero di espatriati nei loro goulag. Il problema è tutto là", spiega Anna. Alla fine, il libro è stato finanziato dal presidente dell’Associazione delle tradizioni russe Igor Zolotarev. Bisogna fare distinzione: da una parte ci sono gli studenti e gli imprenditori russi che si trasferiscono in Repubblica ceca in cerca di maggiore sicurezza e qualità della vita, e dall’altra i rappresentanti delle grandi aziende russe controllate dal Cremlino. “L’arrivo dei primi è un fattore positivo, perché hanno scelto liberamente di non vivere più nella Russia di oggi. Sono critici nei confronti del loro paese e cercano un’alternativa”, osserva Michail Romantzov, discendente di emigrati russi antibolscevichi e insegnante di geografia politica all’Università Carlo. “Con i secondi, invece, bisogna essere molto prudenti. Ci sono molte ragioni per considerarli un rischio per la sicurezza”. (ab)

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