La rabbia delle provincie

Lontano dalla capitale “la Francia che si alza presto” ha voltato le spalle a Sarkozy, il “presidente dei ricchi”. E gli altri candidati non ispirano più fiducia.

Pubblicato il 20 Aprile 2012 alle 15:47

“Cinque anni fa ho votato per Nicolas Sarkozy, ma oggi mi sento molto a disagio”, dice Michel Sieurin abbassando la voce e poggiando il suo martello. “Mi piaceva lo slogan ‘Lavorare di più per guadagnare di più’, ma Sarkozy non ha fatto niente per le classi meno abbienti. È il presidente dei ricchi”.

Sieurin da venticinque anni fa il ciabattino a Montivilliers, vicino a Le Havre, in Normandia. Di recente la moglie del presidente Sarkozy, Carla Bruni, ha dichiarato che “l’anti-sarkozysmo è un fenomeno dell’élite parigina”, e così pure si leggeva sulla stampa vicina al potere: se gli ambienti letterari, i giornalisti e gli intellettuali sono ostili a Nicolas Sarkozy, la ‘maggioranza silenziosa’ dei francesi pare che la pensi in modo diverso. L’interessato lo ripete egli stesso in occasione delle sue trasferte in provincia dove – sorpresa! – incontra folle di sostenitori. Forse avrebbe fatto meglio a fermarsi a scambiare due chiacchiere con gente come il ciabattino di Montivilliers.

Sieurin oggi ha 56 anni e da giovane è stato operaio metallurgico. Membro della Cgt (sindacato vicino al Partito comunista), dice di aver “creduto al miracolo quando nel 1982 la sinistra è arrivata al governo con Mitterand”. Ma la sinistra si è dileguata e il capitalismo è rimasto. Il ciabattino nel frattempo ha visto scomparire molte altre cose: i suoi sogni di una società più solidale, il suo lavoro e quelli di migliaia di operai nella regione.

Il 22 aprile e il 6 maggio i francesi eleggeranno un nuovo presidente della Repubblica. Michel Sieurin forse voterà scheda bianca. Secondo lui François Hollande “è soltanto un liberale come gli altri”, ovvero un partigiano di una dottrina economica disprezzata nel paese. Per il ciabattino di Montivilliers il radicale Jean-Luc Mélenchon è troppo aggressivo, e il Front National di Marine Le Pen è fuori questione per principio. Non è questo il caso di alcuni suoi amici, arrabbiati e intenzionati a farlo capire, ma che non sono fascisti.

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Montivilliers è una cittadina come tante altre. Parigi dista appena due ore e mezzo di automobile, ma sul piano culturale qui si è ad anni luce dalla capitale. Parigi è il centro di tutti i dibattiti pubblici, ma la Francia di provincia non vive allo stesso ritmo. Qui le opinioni si formano con calma, in famiglia, tra conoscenti. Ed è da questa Francia che dipenderà l’esito delle elezioni.

La carta della Francia sta cambiando: i lavoratori a basso stipendio e i disoccupati sempre più spesso si trasferiscono nelle piccole città e in campagna. Le grandi città, infatti, offrono soltanto alloggi troppo costosi o quartieri poveri malfamati. “Qui viviamo tranquilli”, ci rispondono subito gli abitanti di Montivilliers quando chiediamo loro quali sono i vantaggi di vivere in quella cittadina.

Al riparo dalla concorrenza

La piazza principale è circondata da vecchie case a graticcio, alcune delle quali cadono a pezzi. Da tempo non si tiene più il mercato. La quasi millenaria abbazia è in condizioni decisamente migliori, perché è lo stato a prendersene cura: chiuse i battenti con la Rivoluzione francese, quando le monache si rifiutarono di giurare fedeltà alla Repubblica.

Dal 1793 l’edificio ospita una brasserie, che funge da luogo di ritrovo per i residenti. È lì che si danno appuntamento gli operai come Claude Far e Salim Khaoua, rispettivamente di 28 e 30 anni, di origine algerina e marocchina, amici inseparabili. Ammirano i tedeschi per la loro cancelliera e le loro automobili e credono che la Francia ormai sia in declino.

Su questo punto sono in sintonia con l’opinione prevalente. Sono influenzati da libri e articoli che stigmatizzano il declassamento della Francia e l’erosione del “modello sociale francese” che la parola “égalité” incarnava. “Quasi tutti i nostri amici sono disoccupati” spiega Salim. “Non hanno i mezzi per andare al ristorante come noi”.

Claude e Salim sono quasi sempre in trasferta. Controllano la sicurezza dei reattori nucleari francesi. Oltre allo stipendio ricevono un sussidio quando raggiungono il livello limite di esposizione alla radioattività e sono obbligati a prendersi una pausa dal lavoro.

Entrambi appartengono a questa “Francia che si alza presto” di cui a Sarkozy piaceva tanto tessere le lodi. “Aveva promesso a chi è come noi che avremmo potuto guadagnare di più, ma è stato il presidente dei ricchi”. E Hollande? “No, vuole chiudere gli impianti nucleari”. E Marine Le Pen? “Chissà. La Francia deve mettersi al riparo dalla concorrenza. Ma l’idea di tornare al franco è una stupidaggine”.

Dalla Francia

Tutti contro i ricchi

“Ecco cosa ha rivelato la campagna: l’odio verso i ricchi”, titola Le Point sottolineando un fenomeno alimentato da diversi candidati alle presidenziali, tra cui quello della sinistra radicale Jean-Luc Mélenchon.

Secondo il settimanale i più abbienti sono diventati “il capro espiatorio dei candidati”, in una campagna elettorale “che si svolge sullo sfondo di una crisi mai vista e di un indebitamento da record”. Concetti come l’abolizione dei privilegi, un retaggio del 1789, e la “caccia ai ricchi” per poter “dare ai poveri’, mostrano che

tutti hanno preso atto di un fatto importante: la soglia dell’accettabile in materia di diseguaglianza di reddito, molto alta negli anni 90 e 2000, si è brutalmente abbassata.

Una volta finita la campagna, secondo Le Point bisognerà porsi inevitabilmente una domanda: “Il voto metterà fine a questa passione molto francese?”

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