Angela Merkel, Mario Draghi e i banchieri - "Fat Cats", gatti grassi nello slang inglese.

Basta con il feticismo dell’austerity

Nonostante il fallimento delle politiche di rigore a oltranza sia ormai evidente, la Germania continua a imporle. È ora di opporre dei contrappesi al suo strapotere.

Pubblicato il 26 Aprile 2012 alle 15:22
Angela Merkel, Mario Draghi e i banchieri - "Fat Cats", gatti grassi nello slang inglese.

Jens Weidmann, il giovane economista diventato presidente della Bundesbank dopo una carriera politica folgorante all’ombra di Angela Merkel e membro (di sicuro il più influente) del Consiglio direttivo della Banca centrale europea (Bce), sostiene che i tassi d’interesse al 6 per cento non sono “la fine del mondo” e non giustificano un intervento della Bce per alleviare la pressione che la Spagna sta subendo nei mercati del debito.

Sarebbe interessante sapere fino a che punto Weidmann è consapevole del fatto che Spagna e Germania fanno parte di un’unione monetaria, e quanto condivida il timore che una tale differenza nei tassi d’interesse possa comprometterne il senso e addirittura l’esistenza.

Possiamo immaginare che per Weidmann, le cui competenze non comprendono la crescita e l’impiego ma soltanto la stabilità dei prezzi, un’inflazione al 6 per cento sarebbe in effetti la fine del mondo. Ma per sua fortuna può dormire sonni tranquilli, perché l’inflazione media dell’eurozona è al 2,7 per cento. In Spagna, poi, l’inflazione è appena all’1,8 per cento, mentre in Grecia è all’1,4 per cento. Entrambi i dati sono inferiori a quello della Germania (2,3 per cento).

La dichiarazione di Weidmann, così sincera e allo stesso tempo così maldestra, illustra in maniera cristallina ciò che sta succedendo in Europa e in particolare in Spagna. La mancanza di visione e sensibilità che affligge il vecchio continente riporta alla memoria la cecità mostrata dalle élite francesi dopo la Prima guerra mondiale. All’epoca si decise di soffocare la crescita economica della Germania imponendole pesantissime sanzioni. Punire la Germania era giusto, perché era responsabile dello scoppio della guerra, ma quelle sanzioni crearono il miscuglio di populismo e irredentismo che favorì l’ascesa del nazismo e lo scoppio della Seconda guerra mondiale.

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È sorprendente che la Germania, che ha superato con virtù il suo passato oscuro, non abbia saputo fare lo stesso con il ricordo dell’inflazione che portò al collasso la Repubblica di Weimar. Se alla fine il progetto europeo e l’euro crolleranno, non c’è dubbio che gli storici useranno frasi come questa per spiegare gli errori dell’Europa.

Oggi il governo tedesco, con la sua cecità e con un atteggiamento simile (pereat mundus, fiat iustitia), non soltanto mette a repentaglio il progetto europeo, ma alimenta l’emergere di sentimenti anti-tedeschi. Un esempio: nonostante in Spagna l’immagine della Germania sia ancora positiva, l’ultimo rapporto dell'Instituto Elcano mostra che tre spagnoli su quattro (73 per cento) sono convinti che Berlino non tiene conto degli interessi della Spagna, mentre l’87 per cento pensa che “il paese che comanda in Europa sia la Germania” (notare bene, non il paese che comanda “di più”, ma il paese che comanda, punto).

Ritrovare gli equilibri

È arrivato il momento di dire “basta” a Berlino? Sì, senza alcun dubbio. Ma come? Coordinando da Bruxelles l’agenda delle riforme nazionali e quella della crescita in Europa. Per farlo è necessario ripristinare gli equilibri politici e istituzionali in Europa, che sono ormai saltati per aria.

Da un lato la Commissione europea, che dovrebbe parlare a nome di tutti, è stata eliminata come attore politico. All’inizio del suo secondo e ultimo mandato il presidente della Commissione Barroso aveva promesso di convertirsi in un vero leader. Eppure quando le cose si sono messe male si è disfatto rapidamente dell’agenda di crescita che aveva sostenuto per anni.

Dall’altro lato la Francia, che ha sempre esercitato un potere di contrappeso nei confronti della Germania, è oggi in mano a un uomo come come Sarkozy, statista del Toson d’Or che compensa il fallimento della sua agenda riformista sul fronte interno con l’indegna e tipica pratica del servilismo verso i più forti (Germania) e dell’arroganza nei confronti dei più deboli (Spagna).

Questa Francia, irriconoscibile, è diventata un problema per il futuro dell’Europa tanto quanto lo è il rigorismo che domina la Bundesbank. A questo punto Hollande potrebbe essere una panacea per i mali della Francia, della Commissione e persino della Germania.

Opinione

Un’Europa hobbesiana

Nella versione integrale dell’articolo pubblicata dal Financial Times, José Ignacio Torreblanca si spinge oltre nel suo attacco all’austerity e conclude il suo ragionamento con quello che potrebbe diventare un invito a ribellarsi nei prossimi mesi:

Il patto fiscale, il più sbilanciato e asimmetrico trattato che gli stati dell’Ue abbiamo mai firmato, è la migliore testimonianza della nuova Europa: l’austerity viene pesantemente rafforzata e la crescita è solo una vaga promessa.

Nella vecchia Europa gli stati erano uguali, e i trattati rappresentavano un compromesso tra visioni differenti sul futuro del vecchio continente. Oggi l’Europa è caratterizzata dalle asimmetrie di potere e dalla paura per il futuro.

Oggi l’europa somiglia alla descrizione di Thomas Hobbes della vita dell’uomo allo stato brado: “solitaria, povera, brutale e breve”. Da due anni non è stato approvato un singolo provvedimento per stimolare la crescita. È ora di dire basta.

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