Illustrazione di Alberto Ruggieri

L’uscita dalla crisi è a est

Anche se indebolita dalla crisi della Grecia, l’Unione monetaria deve continuare a espandersi. Per uscire dallo stallo è il momento di integrare le economie più dinamiche dell’Unione: quelle dei paesi dell’Europa orientale. 

Pubblicato il 18 Febbraio 2010 alle 16:49
Illustrazione di Alberto Ruggieri

Può sembrare strano che la stabilità e la reputazione dell’euro possano trarre beneficio dalla Polonia, dalla Bulgaria o dall’Estonia, ma è così. Certo, in passato l’espressione “economia polacca” era sinonimo di caos e pessima amministrazione. Ma da quando la Polonia ha cambiato sistema politico la situazione è radicalmente cambiata. Oggi il nostro vicino dell’est è l’unico paese dell’Ue a poter vantare un'economia in crescita in mezzo a un oceano di recessione.

Quanto alla Bulgaria, considerata così corrotta che per la prima volta nella sua storia l’Ue aveva dovuto revocare le sovvenzioni previste per uno stato membro, è l’unico paese a rispettare i criteri di Maastricht in fatto di deficit di bilancio. Al contrario, Lettonia, Romania e Ungheria, che sono scampate al disastro soltanto grazie ai miliardi di aiuti ricevuti dall’Ue e dal Fmi, si trovano da tempo in una situazione che proibisce loro l'entrata nella zona euro.

Crescita e disciplina

L’ingresso di Polonia, Repubblica Ceca, Estonia e Bulgaria rafforzerebbe la moneta comune europea. Perfino il governo tedesco è arrivato a considerare i loro vicini orientali un’opportunità, più che un rischio per l’euro. E questo perché in termini di economia di mercato, questi paesi rafforzerebbero il fronte del libero mercato contro i paesi statalisti del sud del continente. Da una parte, gli stati dell’est sono orientati verso la crescita e la disciplina di bilancio rispetto a quelli del sud. Dall’altra, Polonia, Romania e Bulgaria potrebbero contare, al contrario di Spagna, Grecia e Portogallo, su fondi messi a loro disposizione da Bruxelles. Questo rafforzerebbe le loro economie, modernizzerebbe le loro infrastrutture e implicherebbe altri vantaggi per il loro bilancio.

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L’introduzione dell’euro a est non dipende solo dalla volontà di questi stati: essi hanno dovuto impegnarsi a ottenerla in occasione della loro integrazione nell’Ue. Del resto, non è soltanto nella zona euro che la crisi della Grecia ha sollevato riflessioni sulla stabilità. Durante la crisi economica, i futuri membri della zona euro hanno discusso anche di “modello svedese”: essere costretti ad aderire, ma senza alzare un dito.

Vantaggi per tutti

Se prima della crisi la Polonia ipotizzava di passare all’euro nel 2012, quando ospiterà gli europei di calcio, sembra che quella scadenza debba essere spostata in avanti di molto, e non soltanto a causa dei deficit di bilancio creati dalla crisi. Da allora a Varsavia si discute per capire se valga la pena apportare i necessari emendamenti alla costituzione, senza contare le relative riforme fiscali. Politici ed economisti sottolineano che la svalutazione della valuta nazionale, lo zloty, ha offerto innegabili vantaggi durante la crisi. E lo stesso vale per gli altri paesi.

Diversa la situazione nei paesi baltici o in Bulgaria, dove le valute locali sono da tempo ancorate all’euro. Là gli economisti raccomandano una rapida adesione alla moneta comune, che porterebbe vantaggi senza creare ulteriori difficoltà. L'introduzione dell’euro a est sarebbe un bene per tutti, noi compresi. Ma è indispensabile che gli stati interessati assolvano fino in fondo i requisiti della moneta unica. E un’altra cosa deve essere ben chiara: i nuovi membri della zona euro non dovrebbero pagare i danni per gli errori commessi da greci o spagnoli. (ab) - Handelsblad, diritti riservati.

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