Un sì poco convinto

Gli elettori irlandesi hanno approvato il referendum sulla ratifica del trattato fiscale. Non si tratta di una fiducia incondizionata, ma del calcolo di una nazione a cui non era stata lasciata alternativa.

Pubblicato il 4 Giugno 2012 alle 15:53

I nostri padroni in Europa e i nostri amministratori a Dublino farebbero meglio a non interpretare troppo liberamente la nostra poco convinta resa di venerdì scorso. Lungi dall’essere un voto di fiducia nell’Europa – o nel governo, per quel che conta – il risentito “sì” che l’astiosa popolazione irlandese ha finito col dare al referendum è in realtà frutto di pura disperazione.

Il 31 maggio dunque, gli elettori provati e angosciati hanno dato il loro “consenso formale” alla ratifica del trattato fiscale. Pochi, tuttavia, potranno affermare che sia possibile accordare “pieno consenso” a un trattato di questo tipo sotto la minaccia di un’“immediata e terribile” austerità.

In retrospettiva, forse era troppo utopistico sperare di poter essere noi il topolino che ruggisce contro le fallite politiche di austerity. Gli esperti dei mercati delle obbligazioni avevano già scommesso che l’Irlanda - quel cagnolino subordinato all’Ue, sempre pronto a sfoggiare un sorrisino accattivante o a fare allegri lazzi in cambio di uno scherzo sulla feta – avrebbe detto di sì, e chi tiene il banco non perde mai.

Malgrado tutte le nostre auto-mistificazioni sul fatto di essere una nazione ribelle, quando si arriva al conflitto diretto tra cuore e cervello la nostra capacità di succhiarci tutti insieme il pollice e di usare la testa – che fin dal 1913 ispirò il poeta nazionale W.B. Yeats a scrivere il suo disperato grido “L’Irlanda romantica è morta e sepolta” – è una delle nostre caratteristiche più peculiari.

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In tempi diversi, più conservatori, una dei luoghi comuni irlandesi era rappresentato dalla ragazza “sfortunata”, che a causa di un eccesso passionale “si cacciava nei pasticci”, scompariva per un inspiegabile lasso di tempo, e poi tornava per essere presa di mira per il resto della sua vita da sguardi indagatori e occhiate furtive. Naturalmente, non si prestava invece attenzione alcuna a colui che era stato causa di tanti guai, che sedeva in prima fila in chiesa tutte le domeniche.

Dopo tutti i nostri “guai”, l’Irlanda per adesso è nuovamente nel cuore incolore di un’Unione Europea che pare aver dimenticato che il prudente banchiere prussiano in grisaglia di lana ha avuto non poca parte nel “peccato” fiscale irlandese.

Purtroppo, malgrado “il rispetto e l’apprezzamento” da vera mecenate della signora Merkel, il voto di venerdì scorso è servito a confermare soltanto che a prescindere da quello che era “l’Irlanda romantica”, l’Irlanda indipendente è bell’e morta e sepolta.

La pala di Kenny

Un impresario politico delle pompe funebri di nome Enda Kenny [il capo del governo irlandese] se ne sta sulla fossa con la pala in mano, temendo che possiamo indietreggiare dalla nostra etica nazionalesecondo cui dobbiamo vivere soltanto per “pregare e risparmiare”. Il governo ha superato questa rischiosa prova uscendone relativamente incolume.

Il futuro, in ogni caso, non sarà facile. All’indomani del suo trionfo elettorale, è risaputo che Kenny ha fatto notare che una delle nostre caratteristiche più peculiari è che a “Paddy” [l’irlandese medio] piace conoscere la “storiella” e la storiella che il governo ha rifilato la settimana scorsa a un perplesso Paddy è che un “sì” avrebbe significato “investimenti, stabilità, ripresa e un’Irlanda che lavora”.

Tuttavia, se in questo caso Paddy ha accettato – più che creduto - la storiella propinata da Enda, adesso Kenny e l’Europa faranno bene a mantenere quanto promesso. Altrimenti, la prossima volta, Paddy potrebbe anche non cascarci più.

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