Attualità Le elezioni greche viste da Atene (4/5)

I conservatori verso la vittoria

A vincere le elezioni del 17 giugno non sarà la sinistra radicale di Alexis Tsipras come dicono tutti, ma il partito di Antonis Samaras Nuova democrazia. Il suo approccio più realistico verso la crisi sarà un bene.

Pubblicato il 14 Giugno 2012 alle 14:01

Ci stiamo avvicinando alla fine di un iter insostenibile, ora che il periodo elettorale ha messo a nudo un primitivismo politico di proporzioni senza precedenti che ha catapultato il leader di Syriza, Alexis Tsipras, dalle frange al centro dello scenario della politica greca. Le precedenti elezioni del 6 maggio hanno portato a un parlamento di estremi. Siamo finiti in un vicolo cieco.

La paura dell’ignoto, i rischi di tumulti popolari che potrebbero rivelarsi fatali, lo spettro di un’uscita della Grecia dalla zona euro hanno galvanizzato i conservatori di Nuova democrazia, al punto che potrebbero ottenere un aumento percentuale significativo rispetto al voto del 6 maggio. La decisione dell’ex sindaco di Atene ed ex ministro degli esteri Dora Bakoyanni di ritornare tra le fila di Nd ha dato i suoi frutti, contribuendo a portare l’elettorato liberale più verso il centrodestra, sebbene persista la frammentazione di una parte degli elettori tradizionali di Nd.

Alle elezioni di domenica prossima molto probabilmente vincerà Antonis Samaras di Nd. Il primo provvedimento della sua agenda sarà quello di invalidare le catastrofiche politiche delle ultime due amministrazioni guidate dal Pasok, che hanno gestito la crisi con deplorevole dilettantismo e che con la troika hanno messo insieme in modo approssimativo due memorandum, da tutti ritenuti nel migliore dei casi carenti.

I partiti politici che vogliono che la Grecia resti nella zona euro ripongono tutte le loro speranze nella possibilità che la cancelliera tedesca Angela Merkel cambi atteggiamento nei confronti di Atene, sotto le pressioni esercitate dai paesi dell’Europa meridionale, dal presidente francese François Hollande e dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che lotta per essere rieletto il primo martedì di novembre.

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Senza entrare nei dettagli etici della questione, alla Germania effettivamente si sta chiedendo di accollarsi l’onere del fallimento della zona euro in quanto nel corso degli ultimi anni ha tratto vantaggio dall’unione monetaria, anche grazie alle sue sagge politiche. Un radicale cambiamento di posizioni significherebbe per Angela Merkel commettere un suicidio politico a beneficio degli stati indebitati della zona euro.

Non è affatto sicuro che Merkel intenda sacrificarsi, ma di qui a novembre darà sicuramente qualche segno di ammorbidimento – soprattutto in materia di disciplina fiscale – anche solo per evitare uno scontro frontale con Obama. Questo sarà un periodo quanto mai fondamentale per la Grecia: molte cose accadranno nei prossimi mesi, ed è evidente che lo scenario politico più auspicabile sarebbe un governo di unità nazionale guidato da Nd e formato da partiti filoeuropei.

Nella situazione contingente, uno scontro con l’Unione Europea, indotto dall’idea che “la pressione dalle masse” costringerà le potenze del blocco a cambiare posizione, appare avventato e irragionevole.

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