Il maiale capitalista è tornato a Riga. Guance rosee, pancia gonfia e una valigetta piena di bigliettoni stretta nello zampone. Osserva tutto dal suo posto d'onore, un cartellone pubblicitario proprio di fronte al parlamento lettone, sul viale principale della capitale. Poco lontano, poveracci disoccupati si stringono attorno a un fuoco avvolti in passamontagna e giacca a vento. Soltanto due anni fa un simile sfoggio di anticapitalismo sarebbe stato considerato un segno di pazzia. Fino a due anni fa, appunto, quando la Lettonia si preparava a festeggiare i due decenni di libertà dal giogo sovietico e cavalcava il boom economico. Ora la festa è finita.
I lettoni, come il trentatreenne Gints Berneckis, hanno ormai perso la fede nel modello economico occidentale. Come migliaia di compatrioti, il cui tasso di disoccupazione è schizzato al 23 per cento, l'anno scorso Berneckis ha perso il suo posto di venditore di computer. "È vero - sbuffa con rabbia - i maiali capitalisti sono tornati. Solo che adesso arrivano e se ne vanno carichi dei soldi che il governo gli regala." Gints ha sfidato uno dei peggiori inverni degli ultimi decenni per manifestare insieme ai suoi "colleghi" disoccupati, accampandosi in una piccola tenda davanti al parlamento fin dall'inizio dell'anno. "Hanno tagliato tutto: previdenza sociale, educazione, pensioni. La gente sta scappando, lascia la città in massa."
Berneckis fa parte del crescente movimento di lettoni decisi a protestare contro l'incapacità del governo davanti ad una crisi che, a detta di molti, è di gran lunga peggiore di quella greca. Il momento più duro si è verificato nel febbraio 2008, quando il governo di Riga è stato costretto a rilevare la seconda maggiore banca del paese per evitarne il collasso. Da quel giorno lo spettro della bancarotta non si è mai allontanato. Ingolosito dagli aiuti economici alla Grecia, il governo lettone ha richiesto con successo un "pacchetto di salvataggio" all'Unione europea e al Fondo monetario internazionale, per un ammontare complessivo di 7,5 miliardi di euro. Il problema però è che per ottenere gli aiuti economici la Lettonia è stata costretta ad accettare un regime draconiano di tagli, con l'obiettivo di portare il deficit di budget dall'attuale 12 per cento al tre per cento richiesto. E i tagli alla spesa, come l'incremento selvaggio delle tasse, erano all'ordine del giorno già da prima.
Ascesa e caduta in cinque anni
Tra il 2005 e il 2008 i salari in Lettonia sono raddoppiati, e il giro d'affari dei prestiti è cresciuto del 60 per cento ogni anno. La combinazione di questi due elementi ha alimentato una gigantesca bolla economica che ha fatto guadagnare al paese l'appellativo di "tigre baltica". Nel 2008 la bolla è scoppiata. I prezzi delle proprietà sono precipitati e i consumatori, spaventati, hanno smesso di spendere. Gli investimenti nell'edilizia si sono interrotti e il tasso di disoccupazione ha raggiunto un livello da record per un paese membro dell'Unione europea. Nel corso dell'ultimo trimestre l'economia lettone si è contratta quasi del 17 per cento, dopo che le vendite al dettaglio si sono ridotte di un terzo. Nonostante tutto il governo insiste nel dichiarare che la Lettonia entrerà nell'eurozona nel 2014. "Se non fosse per l'aiuto del Fmi e della Ue, la Lettonia sarebbe in bancarotta totale", sottolinea l'analista Jens Fischer. "Il lato positivo è che non siamo in Grecia. Qui la gente ha visto di peggio durante il regime sovietico, e non si lamenta più di tanto".
I mendicanti però cominciano ad affollare lo splendido centro storico di Riga. Quasi tutti i negozi "occidentali" e le fashion boutique spuntate come funghi negli ultimi dieci anni sono desolatamente vuote. Il governo ha deciso di tagliare l'Iva agli alberghi, nel tentativo di trasformare Riga nella meta perfetta per il turismo da "addio al celibato". Il rischio però è che la mossa renda irragiungibili le condizioni del Fmi per l'erogazione degli aiuti.
La crisi contagia la politica
La terrificante situazione economica lettone ha già avuto pesanti ripercussioni sul piano politico. A marzo il primo ministro Valdis Dombrovskis, la cui colazione è crollata in seguito alle dimissioni cinque deputati dell'influente Partito del Popolo, è stato costretto a cercare nuovi partner politici. Il governo in carica è oggi un governo di minoranza. I cinque parlamentari hanno abbandonato il governo dopo che Dombrovskis ha rifiutato di firmare un decreto che avrebbe dovuto alleviare le conseguenze della crisi, posticipando l'aumento delle tasse e riducendo il numero di ministeri. Il premier ha definito le dimissioni dei cinque come un "chiaro e diretto attacco finalizzato a far cadere il governo" prima delle elezioni generali di quest'anno.
Osservatori esterni sostengono che l'instabilità politica della Lettonia, foriera di un periodo di inefficienza governativa, sarà un forte deterrente per gli investitori. "L'incertezza politica aumenterà il senso di sfiducia nell'economia lettone e porterà ad un aumento della pressione sui mercati finanziari", sostiene Violete Klyvenie, economista esperta dei paesi del Baltico. La maggior parte degli analisti è concorde nel sostenere che a questo punto il tormentato governo di Riga non ha più scelta. "Non è facile per un paese dipendere dal Fmi – ha dichiarato recentemente Dombrovskis riferendosi alla situazione della Grecia – ma quando uno stato è messo così male da non avere alternative, le cose non sono mai facili". (as)