In questo mondo non saremo mai sovrani

Gli euroscettici possono anche far fronte comune contro la prospettiva di cedere a Bruxelles parte della sovranità. Ma perché non si sono mai lamentati del fatto che dal 1945 in poi le nazioni hanno ceduto parte dei loro poteri a istituzioni come l’Onu, la Nato e l’Fmi?

Pubblicato il 13 Luglio 2012 alle 14:40

La questione è semplice. Una moltitudine di euroscettici, che si trovi al bar, in sale da tè o negli studi televisivi, non fa che ripeterlo: il popolo britannico deve poter decidere, e subito, se restare o meno nell’Unione europea, per due importanti motivi. Il primo è che nell’ambito dell’Ue non siamo una democrazia interamente sovrana e potremmo non esserne poi tanto soddisfatti. In secondo luogo, nell’unica consultazione svoltasi in passato, nel 1975, ci fu chiesto soltanto se avremmo voluto entrare a far parte del Mercato comune, e quindi fummo raggirati. Adesso abbiamo bisogno di un’altra opportunità per votare in merito a quella che è diventata realmente l’Ue.

Nei prossimi mesi, anni, decenni e probabilmente secoli, sono questi i due grossi bastoni con i quali l’Out Party ci batterà sulla testa. La sovranità e il raggiro del 1975 potrebbero anche sembrare convincenti. L’unico intoppo è che entrambe queste argomentazioni sono fesserie; falsità; scemenze; corbellerie. E scusate se uso mezzi termini: del resto, sapete bene quanto la gente possa offendersi facilmente.

Poco tempo fa, durante un dibattito della trasmissione Newsnight sulla Bbc, Jeremy Paxman si è attirato parecchi applausi facendo apparire sullo schermo una fotografia di Herman Van Rompuy – l’alquanto insignificante presidente belga del Consiglio europeo – e chiedendo al pubblico se avesse votato per lui e addirittura se avesse la minima idea di chi fosse. Fine della discussione: naturalmente, non ci piace affatto essere agli ordini di leader che non abbiamo eletto e dei quali non conosciamo neppure il nome.

Peccato che in fondo anche questa sia una fesseria. Perché il presentatore non ha mostrato anche le fotografie del segretario generale della Nato, per esempio, o del capo dell’Organizzazione mondiale del commercio, o delle Nazioni Unite, o della Banca mondiale, o del Fondo monetario internazionale, o dell’Organizzazione marittima internazionale o addirittura del presidente della Fifa? Anche loro non li abbiamo mai votati. Provengono tutti da paesi diversi e non ne conosciamo neppure i nomi. A eccezione, forse, del presidente della Fifa.

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Eppure, tutti questi leader custodiscono nelle loro mani sudaticce che non abbiamo eletto qualche pezzetto della nostra sovranità. I nostri rappresentanti eletti hanno scelto di consegnare loro tale potere senza neppure prendere in considerazione l’idea di indire dei referendum. L’appartenenza alla Nato ci vincola ad andare in guerra, qualora un altro paese come la Turchia, per esempio, fosse attaccato. Senza se e senza ma. A meno di essere disposti a tirarci indietro nei confronti del trattato costituente della Nato, a quel punto dovremmo farla eccome la guerra, che ci piaccia o meno. E, detto ciò, i sacrifici che si accompagnano all’appartenenza all’Ue sembrano del tutto insignificanti.

Essere membri dell’Organizzazione mondiale del commercio limita la nostra capacità di sovvenzionare le nostre industrie o di ricorrere a dazi doganali che scoraggino le importazioni. Essere membri delle Nazioni Unite, invece, e vincolati a quanto prevede uno statuto che noi stessi abbiamo contribuito a redigere, rende ogni nostra azione soggetta alle leggi internazionali. Essere membri dell’Organizzazione marittima internazionale, come pure della Convenzione dell’Onu sulla Legge dei mari, implica il fatto di assoggettarci al controllo delle spedizioni e di adeguarci a quelle che sono ritenute essere le “zone economiche esclusive” intorno alle nostre coste.

Il punto è che a partire dal 1945 una parte fondamentale della politica britannica ha deciso di istituire e confluire in organizzazioni internazionali per concordare normative comuni inerenti varie attività, favorire la cooperazione piuttosto che il conflitto, incrementare la sicurezza collettiva, promuovere un mercato più libero. Tutte queste organizzazioni comportano la necessità di mettere insieme varie sovranità in cambio dei benefici previsti, un po’ come la Fa [la Federazione calcistica dell’Inghilterra] è entrata a far parte della Fifa per giocare in tornei internazionali e per seguire tutti le stesse regole del calcio. In verità, potremmo anche essere indipendenti e stabilire da soli le nostre regole, ma questo non ci porterebbe molto lontano.

Quindi, a prescindere da quello che gli euroscettici – e soprattutto i membri dell’Ukip – cercano di dire, il dibattito sull’appartenenza della Gran Bretagna all’Ue non si riduce alla mera scelta tra bianco e nero, tra prigionia e libertà, tra servitù e sovranità. A meno di voler uscire da tutte le istituzioni di cui ho parlato, le cose stanno in questi termini. È solo una questione di gradazioni, o di sfumature di grigio, o di quanto eccessiva possa essere una grande perdita di sovranità, di questioni molto più noiose come quelle dei costi e dei benefici.

Ed è a questo punto che entra in gioco il Mito del Grande Mercato Comune. Qui spesso anche la brigata dei filo-Ue è in errore. Quando le fu data possibilità di esprimersi in proposito con il referendum del 1975, la brigata dei filo-Ue disse che chi era contrario non aveva prestato la dovuta attenzione, non aveva letto bene i depliant, e quindi non si trattò di un raggiro. Ma questa è la risposta sbagliata. La risposta giusta è che il voto del 1975 riguardò di fatto la possibilità di diventare membri di un Mercato comune, e di questo trattava il grosso delle attività e delle direttive Ue. Ciò che accadde è che quanti furono contrari non capirono cosa avrebbe comportato un Mercato comune.

Euroscettici, andate a leggervi Adam Smith: affinché un mercato funzioni – fece notare circa due secoli fa – sono indispensabili normative e regolamenti comuni e condivisi, oltre a un mezzo per applicarli e farli rispettare. Potreste fissare regolamenti che siano soltanto indicativi, la premessa per un’area di libero commercio, limitando l’uso dei dazi doganali o le ovvie barriere non-tariffarie, ma lasciare che le imprese siano tenute a rispettare regolamenti diversi in ogni sistema nazionale dell’area allo scopo di vendere in ogni paese.

In alternativa, potreste deliberare regolamenti molto più estensivi, che si occupino di persone ma anche di beni e servizi, e proteggere i membri dai cartelli come dalle tariffe doganali, unificando i regolamenti, occupandovi di barriere non-tariffarie e di sussidi statali, di whisky scozzese fasullo e via dicendo. Questo è un vero Mercato comune. Esso necessita di norme, di autorità che redigano tali norme, di spietati ispettori e tribunali che le facciano rispettare. È di questo che si tratta essenzialmente quando si parla di Ue. E sì, anche della temibile Politica agricola comune, che altro non è che un modo omogeneo di sovvenzionare i coltivatori.

Il prezzo da pagare

Lasciate perdere il refrain “rivogliamo la nostra sovranità”: non riavremo la nostra sovranità neppure nel caso in cui uscissimo dall’Ue. Provate a cestinare l’idea del “volevo soltanto un Mercato comune”. È proprio questo che avete. Ogni questione si valuta in base a varie sfumature, non generi.

Per tutto ciò, sarebbe particolarmente inutile dover votare in tempi rapidi, proprio ora che la natura stessa della zona euro – una forma quanto mai accentuata di Mercato comune, ma con un’imperfezione politica di fondo nel suo stesso progetto - è così tanto in divenire e soggetta a frequenti cambiamenti. Tutte le sfumature potrebbero cambiare, anche radicalmente. Oppure no.

Nondimeno, è sempre per questo che - quando o se saremo effettivamente chiamati ad esprimerci votando - si dovrà davvero decidere se la popolazione pensi che valga la pena uscire dall’Ue. A quel punto si tratterà di una decisione presa una volta per tutte. E sarà per sempre. Rispetto agli scozzesi che votano per l’indipendenza, ci sarà un motivo sentimentale per uscire dall’Ue. Ma la domanda che dobbiamo porci è se la mattina dopo aver vissuto quell’attimo così pregnante di emotività - e tutte le altre mattine seguenti - i vantaggi derivanti dall’aver lasciato l’Ue saranno sufficientemente grandi.

Il livello di sovranità supplementare riguadagnato sarà alto abbastanza perché ne sia valsa la pena? Il Mercato comune, a quel punto meno comune, sarà tuttavia ancora comune a sufficienza? E la perdita del diritto automatico per i britannici di vivere e lavorare in Spagna, Italia, Germania o altrove, sarà un prezzo accettabile da pagare?

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