L'aeroporto Charles de Gaulle di Parigi

Il mondo sospeso dei frequent flyers

La nube scaturita dal vulcano Eyjafjöll non ha bloccato soltanto milioni di turisti, ma anche la comunità dei viaggiatori professionisti. Ritratto di una società artificiale e in costante espansione. 

Pubblicato il 21 Aprile 2010 alle 14:23
Slightlynorth  | L'aeroporto Charles de Gaulle di Parigi

Bizzarri satelliti delle metropoli moderne, gli aeroporti sono un territorio di frontiera. Simbolizzano alla perfezione la vita nomade e "pressata" del ventunesimo secolo e una società moderna in moto perpetuo, sempre in coda agli imbarchi, controllata e passata allo scanner. Le distanze, pur restando le stesse, sembrano ogni anno più brevi. Tuttavia la volontà di ridurre il mondo intero alle dimensioni di un display aumenta la frustrazione degli individui. L'immagine degli aeroporti chiusi, vuoti e silenziosi produce se possibile un'ansia ancora maggiore di quando sono intasati di frequent flyers, i viaggiatori abituali parodiati brillantemente da George Clooney e Vera Farmiga nel film Tra le nuvole. Gli abitueè del volo possiedono di solito una serie infinita di carte che garantiscono loro un approccio privilegiato agli aeroporti. Inchiodati alla loro routine nomade, conoscono gli aeroporti a menadito e sono maestri nell'arte della sopravvivenza: alle code, all'attesa dei bagagli, all'impazienza.

Un aeroporto moderno è ormai un non luogo plastificato – la definizione è dell'antropologo francese Marc Augé – una specie di metacittà dove la gente arriva impaziente di lanciarsi nelle autostrade del cielo. Nonostante la loro impronta impersonale, i pavimenti immacolati dell'aeroporto di Singapore e gli orsi impagliati dello scalo di Anchorage continuano a rimarcare le proprie intrinseche idiosincrasie. I problemi della vita passano temporaneamente in secondo piano e tutti i nostri gesti hanno un fine unico e preciso: arrivare.

Duecento milioni di voli

Poi però succede che un vulcano tossisce e macchia il cielo di cenere. L'aria si riempie di particelle di roccia e cristalli di sabbia. Al mondo ci sono poche cose sofisticate e dannose come la materia piroclastica generata dal vulcano islandese. Oggi i cieli di tutta Europa sono vuoti e milioni di vicende umane restano in sospeso. Neanche l'arroganza del potere può sfuggire al blocco: Angela Merkel ha dovuto dormire in Portogallo, gran parte dei leader mondiali non ha potuto partecipare ai funerali di Lech Kaczynski (vittima per la seconda volta delle fatalità del cielo); la regina Margherita di Danimarca è restata con un bel po' di canapè sui vassoi il giorno del suo settantesimo compleanno.

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Le stime attuali prevedono per il 2020 un volume di 200 milioni di voli all'anno. Il cielo sarà affollato da un'infinità di scie bianche. I bambini punteranno il dito di continuo verso l'azzurro sopra le loro teste, incantati dalle tracce di condensazione di motori come se si trattasse di angeli in volo. In realtà sono soltanto segni tangibili di un inquinamento che bisognerà limitare in ogni modo. Dovremo anche umanizzare il più possibile i rituali di volo di una società sospesa tra cielo e terra. Una società che nonostante la sua perfezione igienica e le sue torri di controllo che puntano verso l'universo, oggi è rimasta paralizzata da una massa spugnosa di forma organica. E una nuvola di cenere diventa metafora dei nostri tempi gassosi. (as)

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