Una scuola cinese a Budapest

A Budapest le “banane” hanno vita dura

Arrivati appena prima del crollo del comunismo, i cinesi hanno trasformato l'Ungheria nel crocevia del commercio tra Cina ed Europa centrorientale. Ma la loro presenza suscita ostilità

Pubblicato il 30 Aprile 2010 alle 12:46
Una scuola cinese a Budapest

"Non sono razzista, ma detesto i cinesi e i neri". Questa frase, sentita durante un'inchiesta sull'accoglienza degli studenti stranieri negli istituti scolastici ungheresi, è diventata familiare. Anche se gli immigrati in arrivo sono sempre di meno (il loro tasso non raggiunge il 2 per cento della popolazione), in Ungheria la xenofobia continua ad aumentare. E i cinesi sono il principale bersaglio dei razzisti. Questa situazione è particolarmente evidente a Budapest, dove le attività del mercato cinese, ospitato nel quartiere popolare di Köbánya, gettano discredito su tutta la comunità.

I prodotti di alta tecnologia dell'industria meccanica ed elettronica rappresentano l'80 per cento degli scambi economici tra la Cina e l'Ungheria, per un fatturato di circa 7,5 miliardi di dollari (5,5 miliardi di euro). Le attività del mercato, però, suscitano le proteste delle autorità: ogni volta che c'è un'ispezione, vengono fuori continue irregolarità. Tuttavia, stando ai dati del servizio ministeriale creato per risolvere i contenziosi tra i due paesi, i commercianti che commettono infrazioni non sono poi molti. I cinesi che vivono in Ungheria guardano con ostilità tutti i traffici illegali.

Gli immigrati asiatici hanno cominciato ad arrivare in massa appena prima del crollo del regime comunista. In seguito alla soppressione del regime di visti tra i due paesi, nel 1988, nell'arco di tre anni sono arrivati in Ungheria circa 30mila cinesi. Subito dopo il 1989, questi primi lavoratori stranieri presenti nel paese hanno avviato l'importazione di abbigliamento. All'inizio la merce arrivava in semplici valigie sui treni della Transiberiana. Poi, a partire dagli anni novanta, in appositi container. Nel giro di pochi anni l'Ungheria è diventata il crocevia delle importazioni cinesi verso i paesi dell'Europa centrale e orientale.

Secondo le cifre dell'Ufficio immigrazione di Budapest, oggi nel paese vivono undicimila cinesi, in condizioni perfettamente legali. In realtà molti ritengono che il loro numero sia due o tre volte superiore. Gli immigrati vivono soprattutto a Budapest, anche se nella capitale non esiste un vero e proprio quartiere cinese. Il motivo è che forse, fin dagli anni novanta, i gruppi legati alla mafia cinese hanno ritenuto più prudente disperdersi in mezzo agli altri abitanti della città. In compenso nei dintorni del mercato dei Quattro dragoni la presenza dei cinesi è evidente.

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Qui gli immigrati che ancora non parlano ungherese, e che sono la maggioranza, trovano tutto quello di cui hanno bisogno: parrucchieri, medici, ristoranti e luoghi di divertimento. Nel 2002 i cinesi hanno perfino aperto un loro istituto bancario, la Bank of China: segno ulteriore della loro scarsa propensione a mescolarsi con gli abitanti locali.

In realtà l'Ungheria non ha fatto molto per facilitare l'integrazione degli immigrati dell'estremo oriente. Due anni fa il parlamento ha adottato due leggi sull'immigrazione, ma il paese non ha una strategia chiara in materia. L'Unione europea sarebbe pronta a finanziare questo progetti d'integrazione, ma non è affatto detto che i cinesi ne approfitterebbero. L'impressione è che non siano troppo interessati alle altre culture o alle altre società.

Sono molto mobili, ma ovunque vanno vivono come a casa loro. Il loro obiettivo principale è il denaro; la base dell'amicizia è il successo finanziario. Invece di imparare la lingua e i costumi del paese, i più ricchi hanno un autista, un interprete, un negoziatore e mandano i figli nelle scuole anglofone. Sono pochissimi i cinesi che si affidano alle scuole bilingue ungheresi-cinesi create dal governo nel 2004.

La maggioranza considera l'Ungheria come un paese di transito: un posto dove arricchirsi prima di tornare a casa loro o di spostarsi nell'Europa occidentale. Per morire, invece, rientrano sempre nel paese natale. Se non ci riescono, in Cina spediscono almeno le loro ceneri.

In Ungheria ci sono diverse associazioni cinesi. Ma invece di aiutare i migranti, lavorano principalmente per lo stato cinese, pubblicando dei giornali - oggi se ne contano una decina, nonostante la crisi - nei quali rendono conto della vita della colonia cinese. La seconda generazione è quella meno attaccata alle tradizioni. Secondo i vecchi cinesi, questi ragazzi sono come delle "banane": gialli fuori, ma bianchi dentro.

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