Ogni anno sempre più persone prendono parte alla commemorazione delle vittime, rituale che alcuni, all’inizio degli anni settanta, pensavano prossimo alla scomparsa. Invece escono sempre più pubblicazioni sulla guerra. L’ottica e la prospettiva storica cambiano di continuo. Se l’opera colossale dello storico olandese Loe de Jong sembrava aver detto tutto sull'argomento, al suo lavoro si sono invece aggiunte sfumature di ogni tipo e gli storici hanno iniziato a interessarsi anche alle vicissitudini individuali di coloro che in un modo o in un altro furono travolti dalla guerra.
Adesso che sono state raccolte anche le testimonianze degli ultimi sopravvissuti, l’attenzione si sposta verso la disordinata epurazione che ebbe luogo a partire dal 1945, verso la collaborazione e il nostro rapporto con la guerra nel dopoguerra. È così che si nutre incessantemente la storiografia di guerra.
"Penso che un giorno il ricordo della seconda guerra mondiale si stempererà e nella nostra memoria avrà lo stesso posto della guerra degli ottant’anni (che oppose olandesi e spagnoli e portò alla nascita delle Province unite nel 1648)" ha scritto un giorno Ad van Liempt su queste stesse pagine. "Lo sterminio degli ebrei, invece, non potrà che amplificarsi nei nostri ricordi". Questa non è soltanto la conseguenza ineluttabile della storia europea, ma anche la missione che gli storici si sono prefissi: più l’olocausto si allontana nel tempo, più diventa evidente che esso segna uno spartiacque per questo continente.
In seguito all’olocausto gli europei hanno perso fiducia in loro stessi e nei benefici delle ideologie e dell’innovazione tecnologica. Il progresso che alla svolta del secolo precedente aveva infuso tante speranze per un avvenire migliore non poté impedire il massacro dei popoli. Peggio ancora: il progresso – simboleggiato dai treni, dagli aerei e dalle fabbriche – rese possibile lo sterminio organizzato. Da nessuna altra parte più che in Europa si è avvertita tanta delusione per un’autodistruzione provocata dal progresso.
Ma è vero anche il contrario, e nessun altro continente ha vissuto in egual misura una simile catarsi per il suo cupo passato. La seconda guerra mondiale ha creato i presupposti per l’unificazione europea e per la pace tra nazioni in guerra da secoli. Il vero miracolo tedesco non fu tanto la rapida ricostruzione di un paese devastato dalla guerra, quanto la sua espiazione morale, giacché per molti secoli la Germania – unita dal 1871 – era stata causa di agitazioni e di guerre. Oggi essa è il pilastro di un’Europa pacifica e prospera.
Proprio perché l’olocausto ha segnato così profondamente l’identità europea esso contribuisce alla grande differenza di mentalità tra l’Europa e il resto del mondo. Il significato che esso ha per gli europei non è universale, come si evince dal rapporto disinvolto del mondo arabo con l'argomento. A 65 anni dalla seconda guerra mondiale, lo sterminio degli ebrei costituisce il fondo del baratro toccato dalla storia europea, il riferimento dei colpevoli e delle vittime del passato. Al tempo stesso, segna l’immenso divario che esiste tra gli europei e coloro per i quali l’olocausto non un significato tanto profondo. (ab)