Attualità I paesi baltici e la crisi / 4
Il festival To Breathe As One 2009 a Tallinn.

Estonia, la prima della classe

Nonostante la crisi non l'abbia risparmiata, l'Estonia dovrebbe rispettare i tempi dell'ingresso nella zona euro, previsto per il 2011. Analisi di un modello economico e sociale di successo. 

Pubblicato il 19 Maggio 2010 alle 13:38
ToBreatheAsOne  | Il festival To Breathe As One 2009 a Tallinn.

Con i suoi oltre due metri di statura, la barba maestosa e la grande pancia, Kalev Vilgats è l'incarnazione del terribile invasore vichingo. Per lui una birra normale significa una caraffa da un litro e i muri di casa tremano quando esce accompagnato dagli amici per andare nel suo ristorante preferito non lontano dal centro di Pärnu, nell'Estonia meridionale.

Indipendentemente dall'argomento della discussione, che si tratti della qualità della birra, della crisi economica o dell'entrata del suo paese nell'euro a gennaio, da autentico patriota estone Kalev vanta i meriti delle stazioni termali locali e ricorda che questa estate la sua città natale organizzerà il grande festival delle città della Lega anseatica, che secondo il municipio dovrebbe permettere di rilanciare il settore del turismo duramente colpito dalla crisi.

"Per la gente normale la vita rimane difficile, e dobbiamo ancora centellinare i soldi", afferma Kalev, giornalista del quotidiano locale. L'anno scorso il Pil del paese è sceso del 14 per cento, gli stipendi si sono ridotti in media del 15 per cento e la disoccupazione è arrivata al 16 per cento. Tuttavia c'è un aspetto del suo paese che sorprende la maggioranza degli estoni, anche un omaccione grande e grosso come lui.

Come spiegare infatti la magia del successo estone e la fiducia dei suoi compatrioti? Nonostante la crisi la popolazione non si ribella, non accusa nessuno, non cade nel populismo o nel pessimismo, al contrario lavora duro e dispone di un trasparente sistema elettronico di gestione pubblica.

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"Abbiamo scelto l'euro nel 2003, in occasione del referendum sull'adesione all'Unione europea". Di conseguenza, spiega Kalev, "l'unica questione in sospeso era sapere esattamente quando avremmo rispettato i criteri richiesti". L'Estonia, che partiva da una situazione di grave disordine post-sovietico, è riuscita poco a poco a occupare i primi posti in diverse classifiche sulle condizioni dell'imprenditoria e della democrazia. È il paese in cui puoi compilare la tua dichiarazioni dei redditi con tre clic del mouse. L'Estonia è anche il primo paese d'Europa ad avere introdotto l'imposta a tasso unico. Ma la sua economia aperta è stata duramente colpita dalla crisi finanziaria mondiale.

Fiducia nello stato

Che cosa distingue l'Estonia dagli altri paesi post-comunisti? L'elemento più importante è il consenso su alcuni aspetti fondamentali di una strategia di sviluppo, che nessuno ha mai veramente rimesso in discussione dal 1990. Qui non c'è radicalizzazione ideologica come in Slovacchia, Repubblica ceca o Ungheria. L'adesione all'Unione europea e alla Nato sono obiettivi condivisi da tutti i paesi dell'Europa centrale, ma l'Estonia ha qualcosa in più, quello che potremmo definire una certa pratica del consenso.

Non è facile capire questo concetto. Gli estoni sono al tempo stesso molto chiusi e grandi lavoratori. Il sociologo e filosofo lituano Zenonas Norkus offre una spiegazione storica, che si basa sulla celebre tesi del sociologo Max Weber che vedono nel protestantesimo la culla del capitalismo. E gli estoni sono in grande maggioranza luterani non praticanti.

Il desiderio degli estoni di liberarsi dell'influenza sovietica e di sbarazzarsi della sua eredità costituisce un altro motivo storico di consenso. D'altra parte gli estoni vedono nei finlandesi, ai quali sono vicini linguisticamente, un modello da seguire. E sono molto contenti quando li si definisce non un paese baltico o post-comunista, ma scandinavo. Del resto, visto gli stretti legami tra la Finlandia e l'Estonia nel commercio e nel mercato del lavoro, questa affermazione appare pienamente giustificata.

All'ipotesi che dietro il consenso possa nascondersi uno stato corporativo, rispondono che in un paese così piccolo non si può evitare che la gente si conosca, che il settore pubblico e quello privato siano naturalmente legati e che le regole e le leggi vengano elaborate in modo trasparente. "La gente ha fiducia nelle istituzioni, perché dopo l'indipendenza l'Estonia ha conosciuto una forte crescita economica e lo stato ha dato prova di trasparenza. Ecco perché qui è possibile una politica unitaria", osserva il sociologo Aivar Voog.

Il rapporto positivo con lo stato è probabilmente l'elemento principale che distingue l'Estonia dagli altri paesi post-comunisti. Gli estoni si riconoscono veramente nel loro stato e questo spiega il rispetto reciproco e nei confronti delle istitituzioni. (adr)

Strategie

Lettonia e Ungheria, due risposte alla crisi

Quela'è la via d'uscita dalla crisi, il rigore o gli investimenti per stimolare la crescita? Il dilemma del vecchio continente è illustrato dal confronto proposto da Dziennik Gazeta Prawna. Da un lato la Lettonia, che ha stretto la cinghia al massimo e preso alla lettera le raccomandazioni del Fondo monetario internazionale tagliando le spese in modo drastico. Il quotidiano polacco racconta che nel paese baltico l'austerity è stata così forte che gli studenti sono stati costretti durante l'inverno a seguire le lezioni in aule non riscaldate. Il trentasettenne premier Valdis Dombrovskis ha imposto un regime draconiano ai suoi compatrioti. L'Iva è salita dal 18 al 21 per cento, le pensioni sono state tagliate, le spese ospedaliere diminuite del 57 per cento e i salari di medici e professori universitari ridotti pesantemente. I risultati sono arrivati rapidamente: il deficit di partite correnti del paese, al 27 per cento nel 2006, è arrivato a zero all'inizio di quest'anno. Il nuovo premier ungherese Viktor Orbán ha invece optato per un modello di lotta alla crisi basato su un deficit budgetario elevato, un intervento pesante dello stato nell'economia e la promessa di tagli alle imposte per stimolare la crescita e ridurre la disoccupazione. In risposta alle critiche del Fondo monetario internazionale e dell'Unione europea, Orbán ha dichiarato che non si sottometterà alle imposizioni dei mercati né a quelle delle istituzioni internazionali. L'arma segreta del Primo ministro potrebbe essere la regolarizzazione dell'economia sommersa, che secondo le stime contribuisce al Pil ungherese per il 25 per cento.

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