Louis de Gouyon Matignon alla riunione dell'associazione "Vie et Lumière", a Laon-Couvron (Francia), il 19 agosto 2012.

Sangue blu in difesa dei gitani

Originario dei quartieri alti, istruito in un college inglese, studente di diritto: nulla predestinava Louis de Gouyon Matignon a diventare presidente di un’associazione in difesa della cultura gitana. E invece questo nipote di un marchese ha sposato la causa e ha abbracciato la religione dei nomadi.

Pubblicato il 31 Agosto 2012 alle 11:19
Louis de Gouyon Matignon alla riunione dell'associazione "Vie et Lumière", a Laon-Couvron (Francia), il 19 agosto 2012.

A vent’anni Louis de Gouyon Matignon si presenta volentieri come avvocato della causa gitana. Il ruolo gli calza a pennello, dato che sta per iniziare il terzo anno di giurisprudenza e ha appena trascorso l’estate ricoprendo le funzioni di assistente parlamentare di Pierre Hérisson, senatore dell’Ump (di destra) e presidente della commissione nazionale di consulenza dei popoli nomadi.

A luglio il centesimo anniversario dell’istituzione del “carnet de circulation” [libretto di circolazione, obbligatorio per i senza fissa dimora da oltre sei mesi che hanno più di 16 anni di età], ha fornito agli amici degli zingari l’occasione per farsi conoscere dai media. In origine, il carnet era stato creato per “censire” le persone che hanno uno stile di vita nomade in Francia, spiega Louis de Gouyon Matignon. Invece, secondo lui, “tutto si riduceva a creare una sorta di passaporto interno” per i 350-500mila tra manouche, zigani e rom che vivono in Francia. Il documento li obbliga a presentarsi ogni tre mesi in un commissariato per comunicare, oltre ad altre cose, il comune nel quale si trovano al momento.

Pierre Hérisson ha presentato un progetto di legge “finalizzato a porre fine alle discriminazioni” e abrogare il libretto obbligatorio per tutti i nomadi a partire dai sedici anni di età. Il giovane giurista, ottimista in merito all’adozione del testo di legge, confida di sentirsi “un po’ solo” nella sua battaglia. Malgrado tutti gli appelli a manifestare nel giorno dell’anniversario della creazione del libretto di circolazione, i suoi amici non sono scesi in piazza. “I popoli nomadi sono molto poco politicizzati. Non ne possono più di essere stigmatizzati, ma non lottano”, dice Louis con rammarico.

Nipote di un marchese, Louis de Gouyon Matignon è originario di una famiglia benestante della zona ovest parigina (dove si trovano i quartieri eleganti della capitale). Ha frequentato il liceo in un convitto privato: per due anni è stato al rinomato Clifton College di Bristol in Inghilterra. “Il convitto non è stato sempre facile, ho sofferto. Amo il modo col quale gli zigani rivendicano la loro libertà di andare dove vogliono. Sono francesi, ma dicono ‘ce ne freghiamo!’”.

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Ha sedici anni quando scopre per caso l’universo dei popoli nomadi, “grazie a Django Reinhardt”. Affascinato dal virtuoso del jazz gitano, vuole saperne di più. Invece di trascorrere piacevoli vacanze a La Baule o a Biarritz (stazioni balneari molto chic sulla costa atlantica), sceglie dunque la vita bohemien e la polvere delle roulotte. Parte in direzione dell’Alsazia e di Pau, nel sud-ovest: “È là che sono concentrati le comunità più grandi di zigani”.

Potatura di alberi, mercatini, commercio di rottami, da tre anni trascorre la maggior parte del suo tempo libero e i weekend a lavorare al loro fianco, tanto per capire meglio il loro stile di vita (“A cinque euro al chilo, non si guadagna poi tanto male con il rame!”).

All’accampamento gitano si rivolge a un conoscente che è al volante di un furgoncino: “Djala mishto?” (Come va, fratello?). Non soltanto parla correntemente la lingua gitana, ma ha anche un accento impeccabile. “Quel gaggio (così sinti e rom chiamano tutti coloro che non appartengono alla loro etnia, NdT) conosce la nostra lingua meglio di noi!”, sibila un vecchio accasciato in una sedia pieghevole.

Nel corso dei suoi giri Louis de Gouyon Matignon ha compilato con estrema precisione un libriccino con tutte le parole che ha sentito pronunciare, con l’obiettivo di preparare un dizionario franco-zingaro, che sarà pubblicato in autunno da l’Harmattan. “Lo faccio per loro, perché possano riappropriarsi della loro lingua. È vero che forse questo non era il mio ruolo, ma mi sono preso questa libertà”, dice Louis. “Ciò accade perché sempre meno i giovani zingari parlano la loro lingua e questo va di pari passo con il processo di emarginazione”, conferma l’ambulante parigino Marcel Campion.

Anche il proprietario della grande ruota di Place de la Concorde infatti si è lasciato abbindolare da Louis. È nel suo bar di Saint-Ouen, La Choppe des Puces, che il giovane ha fissato il recapito della sua associazione, e così racconta: “È davvero piacevole quel ragazzo. Quando si è appassionato al mondo dei nomadi, ho cercato di scoraggiarlo, dicendogli di concentrarsi sui suoi studi. Ma è davvero un fanatico!”.

Ma la chitarra e le vacanze in roulotte non bastavano: il giovane Louis ha sposato anche la religione dei gitani. Basta con le messe cattoliche della sua infanzia: diventato missionario di Vie et Lumière, ogni anno attraversa la Manica con due religiosi per evangelizzare i traveller, gli zigani irlandesi.

Quando gli chiediamo come si immagina il proprio futuro, senza esitazione risponde: “Adoro trascorrere il mio tempo con loro, ma lo faccio per comprendere la loro cultura. Non vivrò nelle loro carovane”. Il suo desiderio è quello di diventare avvocato, come suo padre, pur continuando a difendere gli zigani. Il suo amico Franck, che frequenta la scuola biblica di Vie et Lumière, sintetizza così: “Louis fa da tramite tra noi e voi gaggi”.

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