"Vendesi".

La Romania non ha mercato

Stretto tra i tagli e gli scioperi, il paese è sull'orlo del fallimento. I suoi leader sono impotenti e gli investitori europei non vogliono farsi avanti. Ad approfittarne potrebbero essere Russia e Cina.

Pubblicato il 1 Giugno 2010 alle 14:18
"Vendesi".

Il presidente ammette che la Romania è sull'orlo del fallimento, e il governatore della Banca nazionale romena Mugur Isarescu ha fatto notare che il paese si ritrova negli stessi problemi di dieci anni fa, quando il tecnocrate Isarescu era stato nominato a capo del governo per salvare la situazione. I mali sembrano arrivare tutti insieme. Artefici e vittime delle proprie macchinazioni, le élite politiche romene hanno sempre posto i loro interessi al di sopra di quelli nazionali, anche quando sapevano che le loro azioni potevano portare al disastro.

Il presidente Traian Basescu parla oggi del pericolo di "grecizzazione" del paese. Ma l'anno scorso il governo liberale di Emil Boc ha adottato una politica di grandi spese, senza che il presidente avesse nulla da ridire. La falsa filantropia dell'esecutivo faceva comodo anche al presidente, poiché il suo obiettivo non er far uscire il paese dalla crisi, ma vincere le elezioni. Altrimenti Basescu avrebbe obbligato Boc e i suoi ministri ad avviare una politica di licenziamenti e di tagli salariali e a mettere fine alle acquisizioni clientelari.

Il presidente parla oggi di pericolo di "grecizzazione" della Romania senza, tener conto della storia e del diverso potenziale dei due paesi; ha ragione a preoccuparsi per il lievitare dei debiti del paese, ma le sue inquietudini avrebbero potuto manifestarsi subito dopo la campagna elettorale, eventualmente assumendo un primo ministro tecnocrate in grado di capire i meccanismi economici e di evitare la catastrofe. Il presidente non pensa che gli investitori occidentali sarebbero più interessati a "salvare" la Grecia che la Romania.

Se infatti i due paesi dovessero svendere il loro beni nazionali, i compratori sarebbero completamente diversi: in Grecia, dove le infrastrutture sono più avanzate, dove il turismo è più sviluppato e l'agricoltura ha saputo beneficiare dei fondi europei, gli occidentali si affretterebbero a comprare; in Romania invece, dove le strade sono sempre in riparazione, le fabbriche sono state smantellate e l'agricoltura è trascurata, arriveranno gli investitori orientali, cinesi o russi. Per loro conterà sia il basso prezzo che la (ri)conquista di una zona di influenza attraverso la giustificazione economica.

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I tedeschi preferiranno mettere le mani sulle coste mediterranee della Grecia rispetto al nostro paese, dove si conta il più alto numero di germanofoni non tedeschi. La Romania è troppo lontana, troppo arretrata, troppo corrotta. I due paesi sull'orlo del fallimento hanno prospettive completamente diverse, poiché il primo ha sempre attirato l'Occidente, mentre sull'altro è sempre aleggiato il pericolo dell'Oriente. (adr)

Sciopero

La solidarietà va in vacanza

Solo il 10 per cento dei 700mila impiegati ha risposto il 31 maggio all'appello allo sciopero da parte dei sindacati. "Molti hanno rinunciato a protestare perché non vogliono perdere parte del loro salario riducendo le ore di lavoro", scrive România libera. Il malcontento nei confronti delle misure annunciate dal governo non è certo calato, ma la rassegnazione sta prendendo il posto della protesta, come vuole la lunga tradizione romena di sottomissione dell'opinione pubblica, commenta il quotidiano nell'editoriale. "L'entusiasmo è crollato bruscamente quando si è saputo che i sindacati non possiedono i mezzi necessari a compensare la riduzione dei salari per i giorni di sciopero, e che quindi tocca ai lavoratori farvi fronte", sottolinea un sindacalista di Bucarest. Con le vacanze che si avvicinano e pochi soldi in tasca, i romeni si dichiarano tutti solidali con il principio dello sciopero, ma in realtà ognuno pensa al proprio portafoglio.

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