Il World Park di Shenzhen, Cina.

La fine del sogno cinese

Fino a pochi anni fa la Cina era la grande speranza dell'Unione, convinta di poterla guidare con profitto nel suo percorso di occidentalizzazione. Oggi quest'illusione si è rivelata in tutta la sua drammatica inconsistenza.

Pubblicato il 8 Giugno 2010 alle 14:42
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Tre o quattro anni fa gli ambienti della politica estera Ue facevano ben poco oltre a lamentarsi degli Stati Uniti di Bush e della prepotenza del Cremlino. La Cina, invece, era acclamata come una grande potenza, in grado di comprendere quanto valesse la civiltà europea.

Bruxelles iniziò a percepire nell’ottica internazionale di Pechino alcuni valori invisibili a paesi più vicini alla Cina. Quel grande paese, si diceva, ambiva a un mondo multipolare conforme alle leggi internazionali. La sua politica era tutta soft power. Dopo una visita in Cina nel 2005, il presidente dell’Ue José Manuel Barroso parlò di una “triangolazione Ue-Cina-Usa” che avrebbe “plasmato l’ordine mondiale del ventunesimo secolo”. Prospettò un’“Eurasia che coopera sotto una leadership sino-europea e una politica statunitense che a partire dalla Cina si estendesse a tutta l’Asia”. Alcuni videro nell’Europa la statista più anziana che avrebbe insegnato il mestiere all’apprendista Cina. “L’Europa deve far fronte alle proprie responsabilità storiche”, dichiarò un analista spagnolo.

Oggi gli europei si chiedono che cosa stessero fumando quando facevano queste affermazioni: al Forum di Bruxelles di quest’anno la delusione è stata tangibile. Fino a due anni fa le autorità europee erano molto più ottimiste sulla Cina di quanto non fossero nei confronti degli Usa. Pechino pare aver assiduamente alimentato queste rosee previsioni.

Ma la Cina non si è fatta illusioni su quello che significava l’Europa: gli europei erano ricchi ma deboli, dovevano essere lusingati per motivi economici, ma ignorati per motivi strategici. Pechino vedeva i rapporti con l’Ue come una partita a scacchi “in cui 27 avversari litigano continuamente su quale pezzo muovere”.

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L’Unione Europea è diventata il partner commerciale numero uno per la Cina, ma Pechino ha frapposto talmente tante barriere che il deficit commerciale si è ingigantito fino a quasi 170 miliardi di euro – a favore di Pechino. L’Europa si è lamentata, ma è stata ignorata. L’Europa è una potenza economica, ha detto il professor Pan Wei, ma “non la temiamo più, perché ormai sappiamo che ha più bisogno della Cina di quanto la Cina abbia bisogno di essa”. L'analista Charles Grant afferma che “abbiamo sofferto più degli Usa per le manipolazioni dello yuan”. L’Europa, tuttavia, ha dovuto aspettare che gli Usa facessero qualcosa in proposito.

Poche alternative

Benché un certo scetticismo avesse già iniziato a serpeggiare negli ambienti politici e aziendali, nel 2008 la brutale repressione dei tumulti in Tibet ha fatto scoppiare la bolla sinofila. Da un sondaggio condotto in cinque nazioni europee è emerso che la Cina ha sostituito gli Usa come “principale minaccia alla stabilità globale” – valutazione salita dal 12 per cento del 2006 al 35 per cento del periodo post-repressione.

L’analisi delle relazioni condotta l'anno scorso dal Consiglio europeo per gli affari esteri è stato impietosa: “La strategia cinese dell’Ue si basava sull’anacronistico principio secondo cui sotto l’influenza dell’impegno europeo la Cina avrebbe liberalizzato la propria economia e democratizzato la sua politica. Invece la politica cinese ha tenuto in scarsa considerazione i valori europei, e oggi Pechino li viola sistematicamente”. L’atteggiamento cinese nei confronti dell’Unione Europa è stato “equiparabile al disprezzo diplomatico”.

Questo atteggiamento è stato favorito dalla risposta disarticolata di Bruxelles. La Germania si è messa alla testa della linea dura nei confronti di Pechino. All’estremità opposta si è collocata la Romania, che le autorità cinesi non esitano a definire “il partner per tutte le stagioni”. Questa frammentarietà ha permesso a Pechino di mettere abilmente i vari membri dell’Ue gli uni contro gli altri.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata il vertice sul clima di Copenaghen, dove la Cina ha stroncato i verdi sogni europei. John Hemmings del Royal United Service Institute ha dichiarato che “la grande storia d’amore tra Europa e Cina è finita”. Grant ha detto che l’Ue dovrebbe “lasciar perdere una volta per tutte la bella fantasia di una ‘partnership strategica’ che non può essere significativa, dato che i valori delle due controparti divergono completamente”.

Ma Bruxelles e le capitali europee non riescono ad accordarsi su come ricalibrare le strategie globali. Alcuni propongono un rinnovato impegno con paesi come Corea del Sud e Giappone, altri preferiscono India e Brasile, altri ancora vorrebbero più strettamente con gli Usa perché un occidente unito può far indietreggiare la Cina. Alcuni credono che l’Europa dovrebbe “sedersi e aspettare”, e reputano che l’aggressività cinese sia passeggera. Ma queste sono soltanto teorie.

La Cina ha nei commerci e negli investimenti europei un ruolo che nessuna aggregazione di economie emergenti è in grado di sostituire. Obama – il presidente meno atlantista della storia recente degli Stati Uniti – finora ha mostrato impazienza nei confronti dell’Europa. Bruxelles è ancora sotto shock per la sua decisione di non prendere parte all’ultimo vertice Ue-Usa, co la motivazione che quello precedente era stato improduttivo.

Come sempre accade nel caso dell’Europa, il motivo fondamentale per cui la sua politica nei confronti della Cina è andata in pezzi è che non ha saputo parlare con una sola voce. Nessun accordo potrà rimediare a questo fallimento. (ab)

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