Big Bruxelles ti osserva

L’Unione europea è all’avanguardia nel controllo dei dati personali nel nome della sicurezza. Ma se per alcuni le nuove tecnologie ci proteggono, altri temono lo sguardo indiscreto delle multinazionali e del potere.  

Pubblicato il 9 Giugno 2010 alle 14:36

"Il rispetto della privacy? É un concetto del ventesimo secolo", dice Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, che vende i profili dei suoi utenti alle aziende. Google non è da meno: vi segue ogni volta che navigate in rete per poi bombardarvi di pubblicità mirate. Anche le autorità, che dovrebbero essere garanti della nostra privacy, ne approfittano. Pare che la Cia stia raccogliendo informazioni su politici, giornalisti, universitari, ong, critici e opinion-leader non soltanto da Facebook, ma anche da Twitter, Flickr, Amazon e parecchi altri siti.

Se Google è incessantemente fatta oggetto di critiche da parte dell’Europa perché controlla il comportamento degli utenti su internet, l’Ue si spinge ancora oltre: nel 2006 ha redatto la famosa direttiva sulla conservazione dei dati personali, che obbliga gli operatori di telefonia e i provider di internet a conservare traccia di tutte le ricerche fatte in rete per almeno due anni e a renderle note qualora le autorità ne facciano richiesta. Alcuni stati membri si sono già adeguati alla normativa, ma sono stati richiamati all’ordine dai più alti rappresentanti giudiziari.

"Dagli attentati dell’11 settembre 2001, in pratica in tutto il mondo occidentale sono state approvate leggi che pongono grossi limiti al rispetto della privacy dei cittadini", commenta lo scrittore belga Raf Jespers, autore di Big brother in Europe. Nel 2003, per esempio, in Belgio sono state approvate leggi che conferiscono poteri straordinari a polizia e organi giudiziari. Secondo l'eurodeputato Ivo Belet è una svolta positiva. "Prendiamo il caso del serial-killer Michel Fourniret: era schedato dalla polizia francese come assassino, ma le autorità non ne sapevano nulla. Da adesso in poi questo genere di cose non potrà più accadere".

Negli ultimi quindici anni la tecnologia ha compiuto progressi straordinari. Già ora è possibile filmare un assembramento di persone da un elicottero o da un drone. "Le telecamere di sorveglianza sono ovunque", dice Jespers. "A Malines il sindaco va molto orgoglioso della sua costosa rete di telecamere, mentre in Gran Bretagna – dove le città sono già sorvegliate a distanza da oltre dieci anni – questo investimento non ha dato risultati". Paul de Hert, criminologo dell'Università libera di Bruxelles, ritiene che le telecamere di sorveglianza possano essere utili “in alcuni luoghi specifici, per esempio i parcheggi sotterranei e i mezzi pubblici di trasporto nei quartieri a rischio”.

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Ma secondo Jespers questo tipo di sorveglianza a distanza rappresenta soltanto una minia parte della questione: "Ormai siamo tutti rintracciabili tramite i telefoni cellulari, il gps, le tessere di abbonamento alla metropolitana, senza parlare dei nuovi sviluppi della biometria".

Duecento milioni di euro per spiarci

Insomma, ovunque e comunque siamo tenuti costantemente sotto controllo. Ma questa assenza totale di privacy non comporta una nuova forma di riservatezza? Di fatto, quando tutti sono tenuti sotto controllo è come se nessuno lo fosse. "È vero soltanto in parte", prosegue Jespers. "In effetti i dati raccolti sono troppi per poterli vagliare attentamente. Non dimentichiamo però che esistono computer in grado di analizzare tutte le informazioni in tempi record e secondo criteri prestabiliti. Non dimentichiamoci dello scandalo Swift".

La protezione della privacy non impedisce alle generazioni dell’epoca di internet di dormire sonni tranquilli, e anche il mondo politico non se ne preoccupa più di tanto. Soltanto alcune organizzazioni di attivisti dei diritti dell’uomo cercano ancora di opporsi: "Il peggio è che a livello nazionale i politici si nascondono dietro l’Europa", commenta Jespers. "E se lasciamo fare all’Ue le cose andranno di male in peggio".

La Commissione europea ha giocato la carta della tecnologia di sorveglianza per motivi di sicurezza: basti pensare alle banche dati Sis, Vis e Eurodac e agli istituti di consulenza creati dalla Commissione. "Se penso a chi siede nei consigli di consulenza mi cadono le braccia", dice Jespers. "Il primo presidente dell’Esrab è stato Markus Hellenthal, dell’azienda militare Eads. All’Esrif, succedaneo di Esrab, oltre due terzi dei consulenti hanno legami con imprese che si occupano di tecnologia e armi. I lobbisti non devono neanche più esercitare pressioni: prendono semplicemente decisioni. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: il budget europeo per la ricerca in materia di sicurezza è stato decuplicato in pochi anni, raggiungendo oltre 200 milioni di euro l’anno, e quasi tutti i progetti di ricerca ormai sono attinenti alle tecnologie di sorveglianza. La sicurezza europea, pertanto, è completamente militarizzata".

La domanda cruciale, dunque, resta irrisolta: in che misura questi sviluppi influenzano la vita del cittadino medio? Chi non ha niente da nascondere non ha niente da temere? Oppure no? "Tutti hanno qualcosa da nascondere", dice Jespers. "Forse il libro che oggi comperate su Amazon è del tutto innocuo, ma chissà che da qui a dieci anni le autorità non lo reputino invece sconveniente o illegale. Perché dovremmo avere fiducia nei poteri pubblici, nello specifico quelli europei, se loro per primi non ci accordano fiducia? Oltretutto, il rispetto della privacy è uno dei punti previsti dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo". (ab)

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