Dopo lo smantellamento di un campo nomadi a Evry, in Francia, nell'agosto 2012

I rom diventano pendolari

Di fronte al massiccio afflusso di rom romeni, la Francia ha adottato la politica del "rimpatrio volontario". Ma nel loro paese non hanno possibilità di sostentamento e aspettano solo il momento buono per ripartire.

Pubblicato il 18 Settembre 2012 alle 15:25
Dopo lo smantellamento di un campo nomadi a Evry, in Francia, nell'agosto 2012

Il ministro dell'interno francese Manuel Valls ha dichiarato [alla vigilia della sua visita in Romania il 12 settembre] che la Francia non poteva più accogliere tutti i "dannati della terra" e le "popolazioni perseguitate nei loro paesi", facendo riferimento ai rom che riempiono i pullman che collegano la Romania alla Francia. Ma quello che manca in questa equazione è l'opinione dei diretti interessati. Nessuno fra i responsabili ha chiesto loro che cosa pensavano e come vedevano questo rimpatrio. Probabilmente i rom torneranno in Romania e poi ripartiranno di nuovo, non appena ne avranno la possibilità.

A Bucarest, in occasione della visita del ministro Valls, i rom hanno protestato davanti al palazzo del governo per esprimere il loro malcontento di essere solo una pallina da ping-pong fra le autorità romene e il resto d'Europa. E mentre qualcuno si deciderà a risolvere i loro problemi, loro scelgono ancora una volta l'emigrazione. Centinaia di rom "eurodeportati" dalla Francia hanno fatto di questo ritorno una tappa per "ricaricare le batterie", nonché il portafoglio, grazie ai 300 euro che ricevono per lasciare il paese "liberamente e di propria volontà". Così, dopo un soggiorno di qualche settimana in Romania, la maggior parte riprende la strada per il paese da cui è partito e che non ha mai veramente lasciato.

Gheorghe Victor, il sindaco di Cojasca, cittadina del dipartimento di Dâmboviţa, controlla una comunità di più di settemila persone al 90 per cento composta da rom, concentrati per lo più nel villaggio di Fântânele. Molti di loro sono andati un po' ovunque in Europa: "Non penso che si possa veramente parlare di migranti. Per me si tratta di cittadini dell'Ue che partono per un mese o due per la Francia, l'Italia o l'Inghilterra, dove possono guadagnare meglio. Per tradizione esercitano il mestiere di musicisti ambulanti". Sicuro della rispettabilità dei suoi cittadini, il sindaco sarebbe pronto a mettere la mano sul fuoco sul fatto che non hanno commesso reati in questi paesi: "Per il 99 per cento sono dei pentecostali. Non bevono, non fumano, non aggrediscono nessuno: la loro fede non glielo permette".

La famiglia di Dan ha fatto fortuna grazie al "denaro di Sarkozy" [il contributo per il ritorno elargito in occasione delle prime espulsioni nell'agosto 2010]. In questo caso si tratta del tipico esempio di rom che fa la spola fra Parigi e Fântânele. Difficile non notare la sua casa, perché ha più di bambini di tutte quelle del vicolo messe insieme. Gironzolano intorno alla recinzione, fatta con lattine di ogni tipo.

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Tra genitori e figli si arriva a un totale di 13 persone. È evidente che qui si segue il principio "un anno, un figlio". Dan è soprannominato "il francese o "bonjour" perché negli ultimi tempi si trovava soprattutto sui lungo-Senna a vendere Arbre Magique ai semafori. Gli chiediamo se ha avuto problemi con la forza pubblica: "Certo che ne ho avuti. Chi non ne ha avuti? Ma questo dipende soprattutto da chi fa i controlli e dallo stato d'animo dei poliziotti. Alcuni sembrano non vederci, altri invece ci confiscano la merce e il denaro, e non ci hanno mai dato una ricevuta".

Dan il francese dice di essere abituato a fare la spola, anche se il "ritorno" è spesso dovuto al "suggerimento" delle autorità francesi. Dan ringrazia il signore di essere in buona salute e di poter andare in "questa Francia", perché altrimenti sarebbero tutti morti di fame. "Abbiamo bisogno di almeno 20 pani al giorno" [fra i rom il pane, nel suo valore al chilo, è spesso l'unità di misura tradizionale della salute economica], si lamenta sua moglie cullando l'ultimo nato. "I ragazzi sono tornati a casa, hanno visto che qui non si poteva guadagnare denaro e sono ripartiti", aggiunge.

Stavolta Dan "bonjour" è tornato perché i suoi figli erano malati ed è dovuto rientrare per aiutarli. Quando era a Parigi, nelle ultime settimane, ha dovuto dormire in una macchina parcheggiata nel XVI arrondissement: "Una sorta di pied-à-terre a Parigi". Adesso Dan aspetta che i suoi figli rimasti in Francia gli mandino del denaro per pagare il viaggio in pullman per il ritorno, se dio lo vuole. E finora dio sembra aver sempre ascoltato le sue preghiere.

Dalla Francia

Dove vanno i fondi europei?

In occasione della recente visita a Bucarest, organizzata per discutere le condizioni di vita e il rimpatrio delle migliaia di rom romeni che vivono in Francia, “i ministri dell’interno e degli esteri Manuel Valls e Bernard Cazeneuve hanno ricevuto un’accoglienza piuttosto fredda”, scrive Le Monde. Le autorità romene respingono l’accusa di Parigi di perseguitare i rom. Secondo il quotidiano francese

Lo scopo della visita di Vallas e Cazeneuve era quello di trovare una soluzione per sistemare queste persone nel loro paese, soprattutto attraverso programmi di sviluppo, ma anche di analizzare l’inefficacia dei diversi piani d’integrazione messi a punto e finanziati dall’Unione europea.

Secondo gli interlocutori all’interno della comunità rom questo fallimento è dovuto principalmente all’incapacità - ovvero alla corruzione - delle autorità romene. Per Mihai Ion, capo della comunità rom di Targu Jiu, "se i fondi europei destinati ai problemi sociali passano per il governo di Bucarest noi non li vedremo mai. La soluzione è semplice: cancellare lo stato romeno dall’equazione e lasciare che siamo noi a gestire i fondi autonomamente”.

Se si prende in considerazione soltanto il Fondo sociale europeo (Fse) assegnato alla Romania dal 2007 al 2013, gli aiuti europei ammontano a 3,7 miliardi di euro. In sette anni Bucarest ne ha speso soltanto il 7 per cento. Con un solo deputato in parlamento (che loro stessi accusano di non fare nulla) i rom non hanno molti strumenti per farsi sentire. “Preoccupato per le elezioni legislative in programma il 9 dicembre, il governo socialista non ha tempo di pensare ai rom”, conclude il quotidiano.

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