Nel mattatoio di Anderlecht, a Bruxelles, ottobre 2012.

Carne da lavoro

Nei mattatoi e al mercato della carne di Anderlecht decine di donne romene hanno colmato i vuoti lasciati dai lavoratori belgi. I padroni ne approfittano per imporre salari da fame e condizioni inaccettabili.

Pubblicato il 4 Ottobre 2012 alle 15:28
Nel mattatoio di Anderlecht, a Bruxelles, ottobre 2012.

C’è qualcosa di marcio nei mattatoi di Anderlecht. Non si tratta delle carcasse degli animali, ma dallo sfruttamento di esseri umani e dal dumping sociale di cui sono vittime soprattutto le donne romene.

Passeggiando davanti ai mattatoi di Anderlecht durante le ore di attività si incontra gente di tutte le razze intenta ad acquistare carne. I prodotti sono venduti a prezzi relativamente bassi, e il mercato si trova proprio al centro del quartiere multietnico. Il sito è amministrato da Abatan Sa, e le aziende che lo utilizzano per la macellazione sono due: Abaco Sprl (bovini) e Seva Sprl (suini).

Ci sono anche circa 45 piccole e medie imprese che affittano locali per dividere in tagli la carne di manzo e maiale prima di venderla al dettaglio. A quanto pare sono proprio queste piccole aziende a impiegare in massa i lavoratori arrivati dall’Europa dell’est, soprattutto dalla Romania. Il motivo è semplice: per loro le regole non valgono. Almeno questo è ciò che affermano due donne che lavorano al mattatoio: “siamo molte, e nessuna di noi ha un contratto. Lavoriamo a nero e siamo sottopagate".

Una di loro guadagna 8 euro l’ora, l’altra appena 6. La loro paga è nettamente inferiore al salario minimo. Vogliono restare anonime. “Si, siamo sfruttate, ma non diciamo niente per paura di essere espulse. E poi c’è gente pronta a sostituirci immediatamente, e non possiamo permetterci di ritrovarci senza lavoro”.

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Secondo Codruta-Liliana Filip, dell’associazione delle donne del Partito socialdemocratico romeno, le storie delle romene [che lavorano al mattatoio] sono tutte uguali: spesso non hanno un contratto, sono clandestine e sottopagate, la loro giornata lavorativa è molto lunga, hanno diritto a una pausa pranzo di appena 10 minuti e molte volte lavorano anche nel fine settimana. Di ferie pagate e bonus di fine anno nemmeno a parlarne. Molti datori di lavoro gli impediscono addirittura di parlare la loro lingua.

“Una volta ho cercato di avvicinare alcune donne che vendevano carne”, racconta Codruta-Liliana Filip. “Volevo invitarle a un evento culturale romeno. Nel giro di un minuto si è presentato il datore di lavoro e mi ha chiesto di tradurre tutto ciò che avevo appena detto, 'per essere sicuro che avevo buone intenzioni'. Difficile capire cosa intendesse”.

“Lavoro dieci ore al giorno”, spiega la donna che guadagna otto euro all’ora. “Io a volte anche undici, soprattutto durante il fine settimana - le fa eco l’altra - a volte lavoro anche come venditrice, e guadagno un po’ meglio”.

Una delle donne si mostra comprensiva verso il suo datore di lavoro. “È colpa della crisi economica. Le macellerie hanno costi elevati, come le parcelle dei veterinari. Se ci pagassero 13 euro l’ora forse non guadagnerebbero più. E comunque guadagno più qui che in Romania. Nel mio paese arrivi a stento a 150 euro al mese, anche se hai un diploma. Non c’è da stupirsi se cerchiamo un futuro altrove”.

“Ci sono problemi dovunque, ma soprattutto nel settore della lavorazione della carne. Le persone lì lavorano in condizioni molto difficili, e le donne sono le più vulnerabili. In Belgio c’è grande carenza di macellai e molte donne romene possono soddisfare questa necessità. Ma non vengono trattate in modo equo”, spiega Codruta-Liliana Filip.

"Capisco la loro paura di parlare. Possono essere facilmente sostituite da altre persone pronte ad accettare le condizioni imposte dai datori di lavoro. In definitiva sono “contente” di potersi guadagnare i soldi per mangiare e per risparmiare qualcosa. Ma dobbiamo reagire a questa situazione, anche perché le imprese che trattano il loro personale nel modo dovuto sono vittime di una concorrenza sleale. È nell’interesse di tutti combattere per ottenere le stesse condizioni di lavoro. Altrimenti significa accettare il dumping sociale e la truffa e le sofferenze che generano”.

“Non voglio infangare i datori di lavori, e nemmeno giudicarli. Sono cosciente delle difficoltà sul mercato del lavoro europeo e che il Belgio deve affrontare la concorrenza degli altri stati”. In particolare l’industria tedesca delle trasformazione della carne, per cui non esiste un salario minimo, stravolge il mercato. “Non è un problema belga, è europeo”.

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