Nelle spire delle lobby

Ormai i gruppi d'interesse sono più potenti a Bruxelles che a Washington. In mancanza di un regolamento in materia, possono influenzare a piacimento il processo legislativo europeo.

Pubblicato il 28 Giugno 2010 alle 14:18

Daniel Gueguen è il decano dei lobbisti di Bruxelles. Per i difensori della trasparenza del sistema è un pericoloso avversario; per chi usufruisce dei suoi servizi, invece, è semplicemente un professionista che ha il dono della persuasione. Gueguen ha anche fondato una sorta di accademia del lobbying: l'European Training Institute. E come riconosce volentieri lo stesso Gueguen, Bruxelles è un paradiso per i diplomati della sua scuola, che preferisce definire "persone che lavorano per gli affari dell'Unione europea".

Questo paradiso ha soppiantato Washington come capitale mondiale del lobbying. Con circa un milione di abitanti, la città dove si trovano le più importanti istituzioni europee si è trasformata nel corso degli ultimi 25 anni in un eldorado per i professionisti della pressione sugli eurocrati. Nel 1985 i lobbisti che lavoravano qui erano circa 654, riferiscono gli autori di Bursting the Brussels Bubble [pubblicato da Alter-Eu, Alleanza per una regolamentazione della trasparenza e dell'etica]; oggi sono più di 15mila, un migliaio più che a Washington. I creatori dei regolamenti europei godono inoltre di una posizione molto più confortevole dei loro colleghi statunitensi, poiché non esiste un regolamento che inquadri la loro attività.

Nel 2008, nel quadro dell'Iniziativa per la trasparenza, la Commissione europea ha creato un registro dei gruppi di interesse. Il problema però è che rimane facoltativo. Attualmente il registro conta 2.771 organizzazioni, di cui riporta solo le informazioni di base. "I lobbisti non sono obbligati a precisare quale direttiva o progetto legislativo vogliono influenzare", afferma William Dinan dell'università di Glasgow. E non è tutto: secondo Paul de Clerk, uno degli autori di Bursting the Brussels Bubble, i gruppi di interesse possono limitarsi a indicare sul registro una semplice stima delle loro spese mensili per le attività di lobbying in favore di un cliente. Una stima che può andare da mille a un milione di euro. Per questo è praticamente impossibile determinare il costo reale della promozione di una determinata regolamentazione.

Talvolta gli effetti del lobbying nell'Ue sfiorano il ridicolo; può accadere infatti che alcuni deputati europei che non hanno alcuna nozione di politica energetica, dopo un incontro con dei consulenti rilascino dichiarazioni degne di esperti di grandi imprese energetiche. Per superare la sua cronica mancanza di specialisti, la Commissione europea fa regolarmente ricorso ai servizi di gruppi di esperti, che dovrebbero fornire dei pareri indipendenti. Ufficialmente questi esperti lavorano gratuitamente, secondo gli autori di Bursting the Brussels Bubble invece sono retribuiti dai grandi gruppi economici.

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Operazione Reach

"Se si analizza la composizione dei gruppi di esperti sulle attività finanziarie e bancarie, è facile identificare consulenti legati a Barclays o a Paribas", sostiene de Clerk. Per lui una delle azioni più impressionanti dei lobbisti in questi ultimi anni è stata l'infiltrazione del gruppo di esperti sui biocarburanti. Ma questo non è niente rispetto a quello che è successo in occasione dei lavori sulla direttiva Reach (Registrazione, valutazione e autorizzazione dei prodotti chimici). Nel 1998 il Consiglio dei ministri dell'ambiente ha deciso di regolamentare l'uso da parte dell'industria europea di circa 100mila sostanze chimiche che potevano essere prodotte, importante o vendute senza alcuna informazione sugli effetti del loro utilizzo; erano le istituzioni governative che avevano il compito di verificare la potenziale dannosità dei diversi agenti chimici e decidere il loro eventuale divieto.

Nel 2001 la Commissione europea ha proposto di mettere l'industria chimica sotto controllo. I produttori e gli importatori avrebbero dovuto fornire delle informazioni sulle proprietà delle sostanze utilizzate, e sostituire i prodotti chimici pericolosi con prodotti equivalenti meno nocivi. È stato anche l'inizio del lobbying europeo nella sua forma attuale.

I lobbisti hanno sostenuto che le proposte della Commissione avrebbero ucciso l'industria chimica in Europa e avrebbero portato inevitabilmente a un aumento della disoccupazione. I principali promotori di questa campagna erano la Bayer e la Basf. Nel 2003 l'Associazione tedesca dei prodotti chimici ha erogato finanziamenti ai partiti politici: la Cdu-Csu [conservatori] ha ottenuto in totale 150mila euro, l'Fdp [liberali] 50mila euro e l'Spd [socialdemocratici] 40mila euro.

L'effetto di questa operazione di lobbying è evidente: in conformità alla legge adottata, l'industria chimica è obbligata a fornire informazioni di base su tutti i prodotti chimici commercializzati in quantità annue superiori a una tonnellata. Ma invece di 100mila prodotti chimici, come previsto inizialmente, le disposizioni della Reach riguardano solo 30mila prodotti.

Secondo gli esperti il lobbying è ormai entrato definitivamente a far parte dell'attività di Bruxelles. Le lobbies continueranno ad agire nella più assoluta libertà fino al giorno in cui ci si renderà conto che la loro azione ostacola il processo legislativo europeo. Solo un grande scandalo potrà portare a una regolamentazione dell'attività dei professionisti che "lavorano per gli affari dell'Unione europea". (traduzione di Andrea De Ritis)

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