Bulgari e romeni restano in serie B

A oltre cinque anni dall’adesione all’Unione europea, i cittadini dei due paesi continuano a essere esclusi dall’area di libera circolazione e discriminati nel mercato del lavoro. E Bruxelles finge di non vedere.

Pubblicato il 19 Ottobre 2012 alle 12:14

Ben presto dovremo scusarci per quello che siamo. Diversi grandi paesi in Europa guardano con angoscia l'avvicinarsi della data fatidica del 2014, anno in cui bulgari e romeni non avranno ufficialmente più alcuna restrizione ad accedere al mercato del lavoro degli altri paesi dell'Unione europea. E alcuni paesi stanno già pensando agli espedienti per impedirlo, facendo di questi cittadini degli europei di serie B.

L'idea olandese di riparare all'"errore" dell'adesione prematura di Bucarest e di Sofia nel 2007 cercando di sbarrare la strada verso lo spazio Schengen di libera circolazione, ha trovato un forte sostegno in paesi come la Germania, il Belgio e la Finlandia. Con la sua campagna contro i rom, accompagnata da un'accresciuta diffidenza nei confronti dei bulgari e dei romeni in generale, anche la Francia ha dato il suo contributo.

Ma è il Regno Unito che ha formulato più chiaramente quello che pensano tutti: Sofia e Bucarest possono rimanere formalmente nell'Ue (dopo tutto espellerli dall'Unione non è possibile), ma i loro cittadini devono di nuovo essere sottomesi a un regime di visti. Una misura che permetterebbe di dissipare le preoccupazioni degli olandesi sulla soppressione delle frontiere interne, il disgusto dei francesi di fronte all'arrivo dei rom e la paura degli inglesi di vedersi privati del loro posti di lavoro più precari e peggio pagati.

La coincidenza temporale di due eventi non è certamente un caso. Il 7 ottobre Theresa May, il ministro dell’interno britannico, ha letteralmente fatto a pezzi il principale contratto europeo che stipula la libera circolazione delle persone proponendo che questo diritto venga soppresso per i cittadini di "alcuni paesi". È chiaro a tutti che si tratta della Bulgaria e della Romania. Il giorno dopo l'eurodeputato bulgaro Ivailo Kalfine (Partito socialista) ha reso pubblica la risposta del commissario per le Questioni sociali, László Andor, alla sua richiesta dell'11 luglio scorso di occuparsi delle discriminazioni di cui sono oggetto i bulgari e i romeni nel Regno Unito. Due mesi dopo la risposta di Bruxelles è stata: "nulla da segnalare".

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Eppure i fatti sono evidenti, basta guardare in faccia la realtà. Dall'inizio dell'anno Londra ha messo in moto la sua formidabile macchina burocratica per rendere più difficile l'assunzione di candidati stranieri, allungando la procedura ben al di là dei sei mesi regolamentari, e spingendo sempre di più i bulgari e i romeni verso i lavoro nero.

Il Regno Unito è uno dieci paesi ad aver conservato il rinvio di sette anni per aprire il suo mercato del lavoro per gli ultimi due arrivati nell'Ue. La ragione è evidente. L'arrivo in massa di bulgari e romeni minaccerebbe di destabilizzare il mercato del lavoro. Secondo Eurostat circa cinque milioni di stranieri lavorano nel Regno Unito, di cui solo 15mila sarebbero bulgari. Diversi esperti ritengono però che in realtà siano molto più numerosi, ma è poco probabile che un paese di 63 milioni di abitanti senta la loro presenza come un peso. Questi lavoratori sono obbligati a essere i datori di lavoro di se stessi, il che vuol dire accettare stipendi inferiori al minimo sindacale, non avere i contributi pagati e fare la concorrenza ad altri immigrati nelle loro stesse condizioni.

Una recente inchiesta della Bbc ha mostrato gli aspetti nascosti di questo sistema, filmando con una telecamera nascosta i problemi di una donna delle pulizie originaria della Romania. Nel momento in cui questa donna chiede perché è pagata un terzo della tariffa oraria minima, l'impiegata dell'agenzia di lavoro strappa il suo contratto e la caccia.

Chiusi dentro

Per i bulgari onesti questa discriminazione è duplice, perché l'Europa li punisce per le loro sofferenze all'interno della stessa Bulgaria chiudendo loro l'unica via di uscita alla crisi degli ultimi venti anni, cioè il terminal delle partenze dell'aeroporto di Sofia - simbolo della speranza che la vita possa ricominciare altrove sotto migliori auspici. Quasi un milione di giovani ha già lasciato il paese e altri sognano di farlo. La chiusura delle frontiere non mancherà di far nascere sentimenti antieuropei nel paese e aumentare i problemi interni. I nuovi emigranti si indirizzeranno ovviamente verso i paesi del nuovo mondo, ma questo in che modo potrà consolidare l'identità e la forza della nuova Europa?

I bulgari devono prima di tutto arrabbiarsi con i loro politici, che non sono responsabili dei problemi nel paese ma anche della cattiva immagine che la Bulgaria dà nel resto del mondo. Il nostro primo ministro Boiko Borissov, che all'estero ha perso la sua aura di uomo della provvidenza, potrebbe chiedere al suo collega David Cameron in che termini vede la loro relazione amichevole, tanto pubblicizzata il 7 agosto scorso a Londra. "Ci siamo messi d'accordo con David; ho parlato con David" proclamava Borissov dopo la sua visita a Downing Street. Forse adesso sarebbe bene prendere il telefono e dirgli: "David, adesso basta!"

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