Pace fatta con i mercati?

La pubblicazione degli stress test delle banche europee farà chiarezza sulla capacità dei principali istituti di affrontare una nuova crisi. Ma i mercati finanziari, soddisfatti dai piani di rigore adottati nella maggior parte dei paesi, hanno già ricominciato a investire in Europa.

Pubblicato il 23 Luglio 2010 alle 14:21

E se si cominciasse a intravedere la fine del tunnel? I mercati attendono con ansia la pubblicazione degli stress test che permetteranno di valutare lo stato di salute delle banche dell'Unione europea. Se i test saranno giudicati convincenti e i risultati saranno positivi, questo dovrebbe permettere di rassicurare definitivamente gli investitori.

In effetti già da qualche giorno i mercati sembrano aver superato il panico che li aveva colpiti in questi ultimi sei mesi e che li ha portati ad attaccare il debito sovrano degli stati meridionali della zona euro. La rapida risalita dell'euro, che ha cancellato in due mesi la svalutazione subita nei confronti del dollaro, tornando per un breve periodo venerdì scorso sopra l'1,30 per un dollaro (adesso oscilla fra 1,28 e 1,29, ben lontano da quell'1,19 che aveva raggiunto in giugno) ne è la prova più convincente. Neanche l'abbassamento del rating del debito sovrano dell'Irlanda e del Portogallo da parte di Moody's è riuscito a riaccendere la fiamma della speculazione.

Lunedì scorso il New York Times si è stupito di questo "rapido cambiamento della psicologia degli investitori". Questi ultimi non fuggono più dalla zona euro. Così la Grecia è riuscita a tornare sui mercati ottenendo in prestito 1,65 miliardi di euro a un tasso elevato (4,65 per cento) ma inferiore a quello che avrebbe potuto ottenere due mesi fa, quando non aveva ancora annunciato il suo piano di rigore.

Anche la Spagna, in passato minacciata dal contagio, a luglio è riuscita a emettere senza difficoltà obbligazioni di stato. Stesso successo per il Portogallo e l'Italia. Dopo aver comprato più di 60 miliardi di obbligazioni di stato, la Banca centrale europea (Bce) ha considerevolmente rallentato l'acquisto di debito sovrano, segno che la situazione va normalizzandosi.

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L'organizzazione definitiva del Fondo di stabilizzazione finanziaria (Fsf), dopo l'ultimo via libera nazionale della Slovacchia che si è fatto attendere fino al 15 luglio, ha largamente contribuito a tranquillizzare i mercati. Come ha detto a Libération il primo ministro lussemburghese e responsabile dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, "ora abbiamo gli strumenti di tortura necessari per intervenire se i mercati attaccano un paese della zona euro". Questo fondo dispone di una capacità di prestito di 440 miliardi di euro, ai quali bisogna aggiungere i 60 miliardi che la Commissione può ottenere sui mercati. Una cifra che ha senza dubbio un forte potere dissuasivo.

I problemi degli altri

Gli investitori sono stati rassicurati anche dai piani di austerità adottati dagli stati per risanare i loro conti pubblici in difficoltà. Quello della Grecia, il più duro, comincia a far sentire i suoi effetti: l'Fmi e la Commissione hanno sottolineato di recente i "progressi considerevoli" compiuti da Atene, che è riuscita a ridurre di quasi il 50 per cento il suo deficit del primo semestre 2010 rispetto allo stesso periodo del 2009. L'allineamento della Francia sulle richieste tedesche di un drastico consolidamento del Patto di stabilità di bilancio, ufficializzato mercoledì, contribuirà di certo a confermare la sensazione che è tornata una "cultura della stabilità" alla tedesca.

Un ultimo elemento ha permesso il ritorno della fiducia sull'euro: gli investitori sono ormai molto preoccupati del rallentamento della crescita americana, che fa temere un ritorno della recessione. Senza contare che diversi stati americani sono sull'orlo del fallimento, come l'Illinois, la California, l'Ohio, il Michigan, la Florida o il New Jersey. I mercati si stanno rendendo conto che la situazione di bilancio degli Stati Uniti (ma anche quella della Gran Bretagna) è molto più grave di quella della Grecia o della Spagna, poiché il loro debito pubblico rischia di raggiungere livelli insostenibili entro i prossimi trenta anni anche se adotteranno politiche di rigore (fra il 300 e il 500 per cento del Pil, secondo alcuni studi per la Gran Bretagna, e fra il 200 e il 430 per cento per gli Stati Uniti).

Tuttavia i mercati rimangono sul piede di guerra, come mostra il livello dei tassi di interesse dei credit default swap di diversi paesi della zona euro, le assicurazioni stipulate dai finanziatori per garantirsi contro un eventuale fallimento dello stato. Questo significa che i mercati continuano a pensare a un fallimento della Grecia, dell'Irlanda, della Spagna o del Portogallo. "La crisi del debito sovrano sarà completamente terminata solo fra tre anni", la durata prevista per il Fsf, osserva Laurence Boone. Nel frattempo i mercati controlleranno con attenzione i progetti di bilancio 2011 degli stati membri pubblicati in autunno: "Ci vorrà del rigore, ma bisognerà anche evitare la recessione", avverte Boone. (traduzione di Andrea De Ritis)

Spagna-Portogallo-Grecia

Le banche appese ai risultati

I risultati degli stress sono attesi con particolare trepidazione da due paesi: la Grecia, che cerca di scongiurare il rischio di fallimento, e la Spagna, il cui settore bancario sembra più esposto al rischio di entrare in crisi. Prima della pubblicazione dei risultati, El País anticipa il possibile fallimento del test da parte di molte banche spagnole e la necessità forte di una ricapitalizzazione, ma si dice allo stesso tempo convinto che "le istituzioni più eminenti [in modo particolare Banco di Santander e Bbva] otterranno un buon risultato".

Per rassicurare i mercati "il settore bancario spagnolo si è messo a disposizione" più di quello europeo nel suo insieme, nota Público. Il 95 per cento degli istituti spagnoli è stato sottoposto al test, contro una media del 50 per cento negli altri paesi. Público sostiene che il sistema bancario europeo è stato "flagellato" negli ultimi mesi dai mercati internazionali, e che il governo e la Banca di Spagna, "spinti dagli stessi istituti bancari", hanno voluto dimostrare che il settore "gode di buona salute".

In Grecia, Kathimerini anticipa che passeranno il test soltanto sei banche, ovvero l'85 per cento del sistema bancario, e di conseguenza sarà necessario "rivedere al ribasso le stime positive per l'economia del paese". Gli istituti greci sono più esposti dei loro omologhi europei, prosegue il quotidiano, perché possiedono una buona fetta dei titoli di uno stato che è ancora in crisi profonda. Si tratta di una situazione che favorirà la costituzione di grandi gruppi, con le banche più solide che finiranno per rilevare le più deboli.

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