Il funerale di Juraj Majchrák nel documentario "Il male del terzo potere"

Toghe sporche

A un anno dallo scandalo Gorilla, un documentario ha denunciato l’esistenza di una cupola di giudici corrotti che condiziona le sentenze e perseguita i suoi avversari. Ora la sua autrice rischia di finire in carcere.

Pubblicato il 19 Novembre 2012 alle 13:42
Il funerale di Juraj Majchrák nel documentario "Il male del terzo potere"

Una minuta signora bionda dalla voce infantile un po’ stridula è riuscita a irritare i vertici del ramo giudiziario slovacco. Il suo documentario sul sistema giudiziario slovacco malato, intitolato “Il male del terzo potere”, è diventato un simbolo di ribellione contro la casta dei giudici che sistematicamente si fa beffe del sistema giudiziario stesso.

Zuzana Piussi ha già sperimentato di persona quanto sia vero questo cliché: uno dei giudici che si vedono nel film le ha intentato una causa penale. Il giovane investigatore che l’ha interrogata alla centrale di polizia le ha detto con tono di scuse: “Sa, ci sono molte pressioni da queste parti”. Se sarà condannata, Zuzana Piussi potrebbe dover scontare due anni di reclusione.

Il sistema giudiziario slovacco è amministrato da un gruppo di giudici che considerano la giustizia una mucca da mungere ed emettono sentenze favorevoli nei confronti dei “gruppi mafiosi”. Il 70 per cento circa della popolazion non ha più fiducia in esso. Perfino l’attuale ministro della giustizia Tomáš Borec dice che la fiducia nel ramo giudiziario “non potrebbe essere più in basso di così”. Altrettanto schiacciante, da questo punto di vista, è la valutazione del World economic forum che ha collocato la Slovacchia al 140esimo posto nella graduatoria di 144 paesi per ciò che concerne l’applicazione delle leggi.

Come è potuta accadere una cosa del genere in un paese che per altri versi appartiene al novero di quelli che hanno vissuto con successo la transizione dal comunismo alla democrazia?

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L’uomo che ha lasciato il segno più profondo nella storia moderna del sistema giudiziario slovacco è Stefan Harabin, 55 anni. Ex giudice comunista e buon amico dell’ex premier Vladimir Meciar, è stato a capo della Corte suprema per anni e ministro della giustizia. L’impatto maggiore, tuttavia, Harabin l’ha lasciato guidando per anni l’apparato più potente del sistema giudiziario, il Consiglio giudiziario.

Da alcuni è visto come un uomo affascinante, da altri come uno spregevole tiranno assetato di potere, una persona vendicativa nei confronti di chi lo critica. Grazie ai giudici servili dai quali è circondato, Harabin ha fatto causa ai media slovacchi per ottenere risarcimenti nell’ordine di svariate decine di migliaia di euro per “aver intaccato la sua reputazione”.

Ma Harabin ha insegnato a quelli della sua cricca anche altri trucchetti. A ottobre ha vinto una causa intentata allo stato slovacco e il giudice gli ha accordato un risarcimento di 150mila euro che gli dovranno essere versati dall’ufficio del procuratore generale, ritenuto colpevole di aver danneggiato la sua reputazione quando ha confermato l’autenticità di una telefonata privata intercorsa tra Harabin e il signore della droga albanese Baki Sadiki, divulgata dai media. Sadiki è fuggito, ma in Slovacchia è stato condannato in contumacia a 22 anni di reclusione

Nel 2003 il Consiglio giudiziario è diventato un simbolo di indipendenza e l’organo di più alto livello nell’auto-regolamentazione del sistema giudiziario. Ma in seguito è caduto sotto il controllo di personaggi dalla pessima reputazione, e ha iniziato a mettere il bavaglio chi lo criticava.

La prima vittima di questa repressione è stato Juraj Majchrák, l’illustre vicepresidente della Corte suprema che per primo aveva espresso le proprie critiche apertamente. Nel 2009, quando era a capo della Corte, Harabin aveva istituito una serie di normative disciplinari contro di lui, accusandolo di dilazione, e aveva richiesto che il giudice fosse destituito dalla sua carica. Majchrák è caduto in depressione e nell’aprile del 2011 si è suicidato impiccandosi nel garage di casa.

Al suo funerale, che malgrado la solennità dell’evento si è trasformato in una specie di dimostrazione contro Harabin, uno dei giudici ha affermato a chiare lettere che nella morte di Majchrák la sopraffazione aveva rivestito un ruolo di primo piano.

Ma anche la storia del giudice Marta Lauková è molto triste. Nella primavera del 2009 aveva ricevuto pressioni dal suo superiore affinché facesse uscire dal carcere un uomo sospettato di far parte di una banda internazionale di trafficanti di uomini. La giudice disse che si trattava di una “richiesta diretta del ministero” (all’epoca controllato da Harabin). Quando si rifiutò di obbedire e presentò alle forze dell’ordine un esposto nel quale denunciava le pressioni per influenzare la sentenza, iniziò a essere oggetto di un vero e proprio mobbing dall’alto: prima fu trasferita alla sezione civile, poi fu controllata in ogni suo movimento e umiliata. Alla fine crollò e si ammalò. Il Consiglio giudiziario le negò i sussidi di malattia, sostenendo che stesse fingendo di essere malata. Dopo poco la giudice entrò in coma e morì di insufficienza cardiaca.

La collega che voleva vendicarsi di lei interrompendo il versamento dei sussidi che le sarebbero spettati per malattia era Helena Kožíková, la stessa giudice che ora ha intentato una causa penale contro la regista Zuzana Piussi per aver inserito nel suo film la scena in cui la figlia della giudice morta accusa direttamente Kožíková di aver provocato la morte della madre. Oltre alla carcerazione, Kožíková ha intenzione di intentare contro Piussi anche una causa civile per danni (40mila euro).

Arrestateci tutti

Le morti dei due giudici forse sono state le proverbiali ultime gocce che hanno fatto traboccare il vaso e spinto la maggioranza silenziosa a scuotersi dal torpore. “Non devono essere morti invano”, è lo slogan che si è sentito scandire a un incontro pubblico per iniziativa dei nuovi giudici intitolato “Per un apparato giudiziario aperto”. Il presidente dell’associazione, giudice Javorčíková, dice: “Siamo cinquanta adesso, e grazie ai media ci possono ascoltare fasce sempre più ampie dell’opinione pubblica. Oggi non oseranno fare i prepotenti con noi come accadeva fino a pochi anni fa. L’opinione pubblica sta diventando più attenta”. La repubblica slovacca conta 1400 giudici, una parte minima dei quali ha dato vita a quella cricca che controlla i vertici dell’intera gerarchia dell’apparato giudiziario.

Qualcosa si sta già muovendo. Harabin ha tuttora il controllo del Consiglio giudiziario, ma non può più contare sulla maggioranza. I procedimenti disciplinari contro i giudici recalcitranti, che ricordano i tribunali del regime comunista (gli accusati “arrecano danno alla reputazione del sistema giudiziario”), sono monitorati dai colleghi solidali, ma anche dai media e dagli ambasciatori europei.

Anche il caso Piussi è seguito con grande attenzione, e sta iniziando a circolare una raccolta di firme nello stile delle petizioni che si firmavano durante il regime comunista. I firmatari approvano il presunto reato di Piussi – aver incluso nel film un’inquadratura della giudice Kožíková senza il consenso di quest’ultima – e chiedono di essere puniti nello stesso modo anche loro. Finora centinaia di personaggi illustri hanno firmato la petizione.

Il film “Il male del terzo potere” è disponibile gratuitamente in rete ed è già stato visto da decine di migliaia di persone. “Come è venuto in mente a quella gente di firmare una petizione per difendere qualcuno come si usava ai tempi del comunismo?”, si chiede Piussi. “In ogni caso, senza il loro aiuto probabilmente sarei in prigione”.

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