Dopo il risveglio

La crisi dell'eurozona sembra aver cancellato i sogni e i valori che avevano ispirato l'integrazione europea. Recuperarli è ancora possibile se riusciremo a mantenere i legami culturali che uniscono il continente.

Pubblicato il 18 Dicembre 2012 alle 17:02

L’Unione europea pare uno strano sogno. Doveva essere un modo per dare forma a un insieme di valori politici in un sistema complesso, che avrebbe collocato l’umanesimo, una ricca cultura e le idee di eguaglianza al centro stesso delle nostre preoccupazioni. Scopriamo ora che come sistema l’Unione europea potrebbe resistere a tutto fuorché a una crisi.

Adesso, a causa dello stress della crisi finanziaria, ogni paese è sicuro soltanto di una cosa: che i propri confini e i propri interessi contano molto più del bene comune. E se le vecchie valute – o buona parte di esse – sono scomparse, le vecchie mentalità resistono. Viviamo in stati nazione anche se le nostre banche funzionano sotto una nuova amministrazione globale. Ormai i soldi si spostano come l’aria, in piena libertà, sospinti avanti e indietro dal vento, senza regolamenti, instabili, incerti. Le idee sono rimaste sotto chiave, e con esse le identità. Adesso siamo sicuri di chi è tedesco e chi greco. Siamo sicuri che noi siamo irlandesi e voi svedesi.

È importante ricordare quel che il sogno significava. Adesso alla periferia d’Europa è importante ricominciare a utilizzare il linguaggio dell’idealismo politico e culturale che è stato svilito dai nostri padroni politici e controllare se certe parole possano significare qualcosa, anche soltanto per il gusto della poesia, la lingua utilizzata in modo responsabile in un’epoca di serie difficoltà personali.

Un aspetto della nostra eredità europea è il modo di ridere. Nelle nostre vite di tutti i giorni, nel nostro modo di raccontarci le cose, nella nostra letteratura, l’ironia è al cuore stesso della sensibilità europea. Abbiamo diritto di ridere dell’imperatore quando passa in pompa magna, perché è nudo. Ridiamo dei nostri leader da sempre. Il generale sa che il caporale, una volta tornato a casa o dopo aver bevuto, perde ogni rispetto per le medaglie e l’uniforme del generale. In Shakespeare lo stupido e il becchino parlano più assennatamente del re o del principe. In Cervantes Don Chisciotte è un eroe perché è palesemente uno sciocco. In Europa ridiamo di Dio e pensiamo a quanto dev’essere sciocco. Questo ci rende diversi dagli Stati Uniti, dalla Cina o dal Medio Oriente.

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In Europa c’è l’idea di una cultura umanistica comune a tutti, qualcosa che nasce dalla libertà di scrivere e leggere qualsiasi cosa ci piaccia, ponderare pensieri nuovi e creare nuove immagini. Ci sono state epoche in cui l’Unione europea pareva incarnare tutto questo e avere un’influenza laicizzante sull’Europa, collocando al centro idee umanistiche, tolleranza, pari opportunità.

L’Europa è arrivata a significare progresso, specialmente in paesi come Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda, che avevano pessime strade e politiche retrograde. È arrivata a significare pace in paesi che avevano conosciuto la guerra. Abbiamo migliorato le nostre infrastrutture per volere dell’Europa, e lentamente anche la nostra cultura politica è cambiata di conseguenza. Ma ci sono state anche epoche in cui l’Europa ha significato denaro e potere. Abbiamo notato, per esempio, che quando i politici, i funzionari civili o i giudici irlandesi andavano a lavorare in Europa, i loro stipendi parevano molto alti.

Si è scoperta anche la segretezza di cui godono coloro che hanno potere. L’Unione europea si basava su un sistema diplomatico più che su un sistema parlamentare. Così ciò che è accaduto a porte chiuse ha influenzato le nostre vite più di quello che è accaduto nei nostri stessi parlamenti. Quando i membri del consiglio europeo si incontravano rilasciavano blande dichiarazioni e si mettevano in posa per una fotografia. Nessuno sapeva che cosa avessero deciso in concreto, né come. Il Parlamento europeo resta un alibi costoso per la trasparenza.

L’Unione europea pareva pronta ad arrogarsi sempre più poteri. Sembrava anche non nutrire interesse nel riformare sé stessa o nel rivedere le proprie procedure. Utilizzando gli strumenti dei diplomatici ha creato uno strano nemico, denominato popolo. Così si sono formati due blocchi: i cittadini d’Europa che avevano sempre meno potere e i governanti d’Europa che ne hanno sempre di più. I governanti spesso ingannano il popolo. I governanti sembrano sapere cosa è meglio per esso.

Cosa ci resta

Alcuni dei cambiamenti introdotti sono stati meravigliosi, in ogni caso. Abbiamo potuto attraversare le frontiere d’Europa senza fare timbrare i nostri passaporti o affrontare alcun tipo di controllo. Abbiamo potuto spedire merci senza dover pagare tasse doganali. Abbiamo potuto vivere e lavorare ovunque ci piacesse in Europa.

Io ho adorato il modo col quale l’Europa occidentale ha abbracciato i paesi dell’est dopo il 1989. Ho adorato l’idea che l’Europa potesse diventare sede di città invece che di stati, perché le nostre città – e le idee e le immagini che si diffondono in esse – sono la grande creazione europea. Ho adorato l’idea che il concetto di nazionalità e nazionalismo appartenesse al sogno del XIX secolo e all’incubo del XX, ormai finito.

Ho adorato perfino l’euro, quando è arrivato, ed ero fiero che l’Irlanda ne fosse parte fin dall’inizio. Ho adorato le nuove norme sull’ambiente. Ho adorato la liberalizzazione del trasporto aereo. Ho perfino creduto che sarebbe arrivata un’epoca in cui l’Europa avrebbe significato qualcosa nel mondo, nella quale il nostro concetto di diritti umani sarebbe risultato autorevole quanto l’euro e avrebbe cambiato le cose in Cina o in Medio Oriente.

Durante gli anni del boom in Irlanda abbiamo avuto la piena occupazione. Non dovevamo più emigrare come sempre. Lavoravamo molto. Ma in una recessione di norma avremmo potuto svalutare la nostra moneta o consentire un po’ di inflazione. Adesso non ci è più possibile. L’euro conviene alla Germania e agli altri paesi ricchi e rende le loro esportazioni competitive. Non è adatto per noi. Ma ormai vi siamo legati.

Nel frattempo, la Germania e altri paesi ricchi europei parlano come fossero la fonte di ogni saggezza e – cosa ancora più importante – di ogni autorità. Sotto pressione, l’idea di un’Unione europea è fallita. Ci sono soltanto stati-nazione, ormai, che cercano di badare ai propri interessi. Ci siamo risvegliati dal grande sogno.

Tutto ciò che abbiamo a disposizione per rincuorarci è la nostra capacità di ridere della nostra e della loro sciocchezza. Tutto quel che abbiamo è il ricordo di ciò che un tempo è stato possibile. E poi i quadri, i libri, le canzoni e le sinfonie, le meravigliose gallerie d’arte e i musei e le biblioteche e gli edifici pubblici che costituiscono la nostra cultura. Possiamo girovagare da soli nelle strade di Lisbona e Riga, Atene e Dublino, Costanza e Stoccolma, certi che l’impulso verso la solidarietà sociale e l’idealismo politico potrà ritornare, forse addirittura più intensamente ora che sappiamo quanto esso sia fragile. Ma non accadrà tanto presto.

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