Una campagna elettorale europea

Per le elezioni del Parlamento europeo nel 2014 servirebbe un dibattito pubblico partecipato come quello delle presidenziali americane. I partiti nazionali dovrebbero unire le forze e proporre un programma comune.

Pubblicato il 4 Gennaio 2013 alle 16:28

L’Unione europea ha dimostrato negli anni di essere per il mondo un faro di pace, benessere e successo in campi disparati, che vanno dalla cultura alla scienza allo sport. Ciò nonostante l’Europa negli ultimi due anni ha attirato su di sé più attenzione che nei sessant’anni precedenti, perché la sua crisi del debito – esacerbata da un’economia zoppicante e da dissidi interni – compare nei titoli in prima pagina di tutto il mondo. Dopo tutto, i dissidi fanno notizia. Ma il dibattito pubblico innescato da tali dissidi non è stato del tutto costruttivo.

A quasi sessant’anni da quando il trattato di Roma diede ufficialmente vita alla Comunità economica europea, i dibattiti che si svolgono in tutta l’Ue continuano a essere in buona parte condotti da attori nazionali in forum nazionali e con lo sguardo rivolto ai soli interessi nazionali. Per compiere un autentico passo avanti e decidere lo sviluppo dell’Ue, gli interessi nazionali devono essere rimpiazzati da interessi europei chiaramente definiti.

Per definire questi interessi si renderà necessario un dibattito paneuropeo serio e schietto, superiore alla somma dei singoli dibattiti nazionali. La discussione dovrà essere pubblica, coinvolgere l’intera cittadinanza europea, e non soltanto la ristretta cerchia di policymaker che costituisce il Consiglio europeo.

Uno degli ostacoli che impediscono tale dibattito è l’assenza di una sfera pubblica europea. Lo spazio comune europeo esistente – costituito da giornali come il Financial Times e l’Economist, da conferenze paneuropee, da network di ong e programmi di scambio come l’Erasmus – coinvolge soltanto le élite europee cosmopolite e benestanti. Anche se i social media possono offrire un’apertura verso una sfera pubblica europea maggiormente inclusiva, quanto meno per i cittadini che parlano inglese, prima che ciò accada occorrerà un altro po’.

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Nel frattempo gli europei dovrebbero considerare il periodo che ci separa dalle elezioni del Parlamento europeo come un’occasione per dare vita a un autentico dibattito pubblico sul loro stesso futuro, e dovrebbero iniziare imitando quel dibattito di grande successo altrove, per esempio negli Stati Uniti.

Certo, la recente campagna negli Stati Uniti è stata caotica, populista e dominata dagli interessi delle corporation, ma ha anche illustrato degnamente un dibattito dinamico tra opposte visioni sul futuro dell’America: un paese più egualitario, che assuma un ruolo globale costruttivo, oppure un’America più aggressiva verso l’estero, di proprietà dei suoi cittadini più benestanti. Miliardi di persone in tutto il mondo hanno seguito i coinvolgenti e spesso teatrali dibattiti tra i candidati: non avevano bisogno di essere elettori per sentirsi coinvolti nella discussione.

Nel corso dei prossimi venti mesi gli elementi migliori della campagna elettorale statunitense dovrebbero confluire nella tradizione elettorale europea. Il primo passo in direzione di un dibattito globale e convincente sul futuro dell’Europa consiste nel garantire che le elezioni del 2014 determinino realmente quale partito o coalizione politica occuperà le posizioni del governo, compreso l’esecutivo – come dovrebbe accadere in una democrazia parlamentare.

Attualmente solo il Parlamento europeo è eletto direttamente. Ma è il Consiglio europeo, che comprende i politici delle varie nazioni, a proporre l’esecutivo dell’Ue – il presidente della Commissione europea e i commissari – in seguito sottoposto al voto parlamentare. Poiché tali posizioni sono assegnate senza tenere conto del risultato elettorale, i cittadini non danno importanza alle elezioni del Parlamento europeo, e considerano l’istituzione nel suo insieme poco più di un programma di lavoro per i politici e le loro cerchie di intimi.

Eleggere la Commissione

Per migliorare questa struttura senza apportare modifiche ai trattati, le famiglie partitiche politiche europee, a iniziare dalle più grandi e più influenti, dovrebbero onorare la loro promessa di nominare i rispettivi candidati alla posizione di presidente della Commissione europea. A quel punto i favoriti dovrebbero impegnarsi in una vera e propria campagna elettorale, studiata, organizzata e finanziata dai rispettivi partiti mettendo insieme le risorse esistenti a livello europeo e nazionale.

Simili campagne elettorali paneuropee costringerebbero i partiti politici apparentati a mettere a punto una piattaforma comune. Per esempio, i socialdemocratici potrebbero promuovere un salario minimo europeo, i verdi potrebbero proporre una politica energetica in tutta Europa che non faccia affidamento sul nucleare e i conservatori potrebbero patrocinare regimi fiscali meno elevati in tutta Europa.

Oltre a ciò, si dovrebbe creare un forum per un dibattito propriamente paneuropeo: questo dovrebbe comportare, in primo luogo, la trasmissione televisiva di dibattiti ufficiali tra i candidati leader in Europa, alla stregua di quanto avviene con Eurovision e le partite di Champions League.

In sintesi, se la Ue si presenterà come un sistema politico efficiente di diritto, con solide strutture e processi democratici, conquisterà l’attenzione e la stima dei suoi cittadini e del resto del mondo, inducendo una maggiore partecipazione popolare al suo interno e un maggiore soft power all’estero. Indirizzare le controversie in discussioni proficue, invece che sfruttarle soltanto per i titoli in prima pagina, è di importanza fondamentale per incrementare i processi democratici e affrontare e risolvere i problemi più impellenti.

La crisi dell’euro mette a repentaglio l’esistenza stessa dell’Ue, ma costituisce altresì un’occasione per allargare l’importante dibattito sul futuro dell’Europa, un dibattito che funzionerà soltanto nell’ambito di una democrazia parlamentare genuinamente europea.

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