In teoria, uno dei compiti dei politici è condurre, spiegare e guidare un dibattito nazionale sulle questioni di attualità. Una di queste, nel caso del Regno Unito, è indubbiamente il futuro dell’Unione europea e la collocazione del paese all’interno di essa. Malgrado ciò i nostri politici – e forse anche i nostri media – stanno mancando di assolvere a tale loro compito.
Per molte ragioni - tra le quali storia, geografia, cultura e lingua sono strettamente interconnesse, insime a una forte illusione postcoloniale sulla superiorità britannica e l’inferiorità del Continente – molti britannici sono restii a impegnarsi con l’Europa. Troppi esponenti di tutti i partiti ritengono più facile ripetere a pappagallo o accettare supinamente le opinioni di pochi quotidiani di destra, i cui proprietari in buona misura non pagano il fisco in questo paese e considerano l’Europa sinonimo di regolamentazioni che costituirebbero un pericolo per i loro interessi di proprietari e persone abbienti. Parte dell’opinione pubblica è istintivamente più cauta e pragmatica, non ultimo perché non si fida della stampa. Ma dai politici non sta ricevendo una linea guida.
Ne consegue che nella destra e in alcuni settori della sinistra da molti anni è in crescita un populismo antieuropeo spesso banale, che ha sancito l’egemonia dell’euroscetticismo nel dibattito pubblico britannico. Nel partito conservatore lo scetticismo nei confronti dell’Europa si va trasformando in esplicito, manifesto, sprezzante biasimo, che alimenta gli inviti a uscire dall’Ue e facilita l’ascesa dell’Ukip. Il risultato, aggravato dai problemi che affliggono l’eurozona, è la plateale incapacità della società civile, soprattutto in Inghilterra (non altrettanto in Scozia), di riflettere sui rapporti con l’Europa con realismo e oggettività.
Il discorso di David Cameron sul Regno Unito e l’Ue avrebbe dovuto essere una sorta di sveglia per i politici più riflessivi e più filoeuropei. Forse, col tempo, lo diventerà. Ma non c’è ancora segno che ciò possa accadere. È vero, Ed Miliband alla fine dello scorso anno ha fatto un discorso molto apprezzabile alla Confindustria britannica Cbi. Ed è altrettanto vero che Nick Clegg e quasi tutti i liberaldemocratici continuano a presentare argomentazioni a favore dell’Ue. Ma i laburisti sono stanchi di parlare della questione europea, e i lib-dem fanno fatica, per altre ragioni, a riscuotere simpatie su qualsiasi loro posizione. Tutto ciò lascia campo libero ai conservatori euroscettici sempre più intrepidi. Le cose, però, devono cambiare, e subito. Il disinteresse dei filoeuropei non deve far sì che Cameron parli incontrastato a nome del Regno Unito.
Il mondo è preoccupato
In mancanza di un dibattito politico più equilibrato sui costi e sui benefici di un impegno del Regno Unito in Europa si sono fatti sentire altri interessi. Ci sono stati interventi importanti, sia in patria sia all’estero. Il primo ministro irlandese ha detto che sarebbe disastroso per il Regno Unito uscire dall’Ue. Il ministro degli esteri finlandese, come i suoi colleghi in Polonia e Paesi Bassi prima di lui, ha denunciato la direzione imboccata dall’“incivile” dibattito britannico sull’Ue. L’amministrazione Obama ha avvertito il Regno Unito di non rinchiudersi in sé stesso e ha sottolineato che Washington vuole che Londra resti parte dell’Ue. Un membro di spicco della Cdu di Angela Merkel ha dichiarato che il Regno Unito non dovrebbe ricattare il resto d’Europa minacciando di bloccare le modifiche ai trattati dovute alla crisi della zona euro. E un gruppo di leader del mondo imprenditoriale britannico, forse più influente di tutti, ha detto a Cameron di non mettere a rischio l’adesione del Regno Unito all’Ue.
Tutto questo è sicuramente gradito e utile. Ma gli osservatori esteri e i leader imprenditoriali adducono motivazioni che dovrebbero essere condivise dai politici e dai commentatori britannici, compresi i Tory. Il paese rischia di farsi trascinare dal partito conservatore e dalla stampa eurofoba e di essere costretto ad abbandonare il suo posto in Europa. I filoeuropei dovrebbero smettere di tacere: è giunto il momento di far sentire la loro voce.