"Pericolo, non nutrire gli euroscettici". Angela Merkel, Barack Obama e David Cameron

Basta bugie sull’Europa

Nel suo atteso discorso sull'Unione europea, anticipato al 18 gennaio, il premier britannico David Cameron dovrà parlare in nome degli interessi del paese, non di quelli dei conservatori euroscettici.

Pubblicato il 14 Gennaio 2013 alle 17:46
"Pericolo, non nutrire gli euroscettici". Angela Merkel, Barack Obama e David Cameron

Il Regno Unito è da tempo un europeo riluttante. Dal momento in cui, quarant’anni fa, è entrato a far parte della Comunità economica europea, la sua adesione è stata contrassegnata da presupposti distorti e occasioni mancate.

Il travagliato rapporto del Regno Unito con l’Europa dipende da fattori culturali, geografici e storici. Il Regno Unito è una potenza post-imperiale con un’affinità precisa con gli altri paesi anglofoni, soprattutto gli Stati Uniti. Le reciproche incomprensioni tra Londra e l’Europa si riducono in sostanza a una differenza di visione molto semplice: mentre il Regno Unito considera l’appartenenza al club europeo in termini economici, Francia e Germania – i cofondatori – considerano l’Unione europea un progetto politico nato sulle macerie della Seconda guerra mondiale.

Queste divergenze si sono acuite in seguito alla crisi della zona euro. La reazione dell’Europa, benché inizialmente ondeggiante, da allora ha spazzato via l’illusione che il concetto di “un’unione sempre maggiore” sia il semplice frutto dell’immaginazione di Bruxelles. Ormai, in tutte le capitali europee, Londra inclusa, a fronte del crollo dell’euro si accolgono favorevolmente le tesi a favore di un governo economico più integrato.

Il secondo sviluppo riconducibile alla crisi, voluto o non voluto che sia, è la rinascita della Germania come potenza leader in Europa. L’ascesa tedesca è arrivata al punto che gli altri membri non osano neppure contraddirne le prescrizioni di politica economica e fiscale, nel timore che Berlino non venga in aiuto alla zona euro.

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Per il futuro più immediato, pertanto, l’Ue sarà divisa non soltanto tra coloro che si trovano dentro e fuori il “nocciolo duro” dell’eurozona, ma anche tra un’area di forti creditori del nord Europa guidati dalla Germania e un’area di deboli debitori del sud Europa che comprende Cipro, Grecia, Italia, Portogallo e Spagna. In questo contesto si inserisce il tanto atteso discorso sull’Europa di David Cameron, e il fatto che sia stato rinviato testimonia le complesse questioni in gioco.

Questo giornale si è sempre dichiarato favorevole all’adesione del Regno Unito all’Ue e continuerà a ritenerla fondamentale per l’interesse nazionale. Le nostre motivazioni vanno ben al di là di un calcolo meramente economico dei costi e dei benefici: si deve infatti tener conto dello status del paese nel mondo. Aderire all’Ue conferisce al Regno Unito autorevolezza nei mercati globali più importanti. Contribuisce a mantenere speciale il rapporto con gli Usa. Accresce l’influenza del Regno Unito in un mondo nel quale il potere economico si va spostando sempre più a oriente.

I vantaggi oltrepassano le frontiere nazionali: grazie al mercato unico, ogni britannico può vivere, lavorare, viaggiare e studiare liberalmente in tutta Europa. L’allargamento a sud e a est dell’Ue ha consolidato la democrazia in Spagna, Portogallo e Grecia e ha creato una zona di prosperità e pace in quell’Europa centrale e orientale che in passato era comunista. Nondimeno, oggi l’Ue è assai diversa da quella alla quale aderì il Regno Unito nel 1973, o anche da quella nella quale i britannici scelsero di restare l’ultima volta che furono consultati, al referendum del 1975.

Le riforme che l’Ue sta prendendo in considerazione per puntellare il progetto della valuta unica – per esempio l’unione bancaria e un budget separato per la zona euro – la cambieranno ancor più, radicalmente e irrevocabilmente. Esse porterebbero alla creazione di un nuovo centro nevralgico europeo più strettamente integrato, al quale il Regno Unito potrebbe non voler mai unirsi, ma che potrebbe in definitiva esercitare un’influenza predominante su alcune parti dell’Ue che i britannici apprezzano enormemente, come il mercato unico.

Che cosa dovrebbe fare dunque David Cameron? E, altrettanto importante, cosa non dovrebbe fare? Prima di tutto il primo ministro dovrebbe adottare un approccio molto determinato che si basi sull’interesse nazionale. Evidentemente dovrà tener conto dell’umore euroscettico dei Tory senza esserne travolto. Dovrebbe evitare di confondere la difesa dei diritti esistenti con il futuro rimpatrio dei poteri. Dopotutto, dovrebbe parlare per il paese, non per il partito.

Allo stesso tempo dovrebbe assumere la guida nell’Ue, come Margaret Thatcher fece con il mercato unico e l’allargamento. Il Regno Unito è un tipo difficile, ma è pur sempre un membro apprezzato del club europeo. Può – e deve – cercarsi alleati. I britannici possono esercitare pressioni a favore di riforme dinamiche per le imprese, come hanno fatto dalla nascita del mercato unico. La crisi finanziaria ha indebolito il settore che opera per le imprese, ma esso si riaffermerà, specialmente se l’Ue fa sul serio quando dice di voler risolvere una volta per tutte la sua lenta crescita.

I britannici dovrebbero anche difendere la Commissione europea, l’arbitro indispensabile che deve far applicare le leggi del mercato unico e guidarne la politica commerciale. A questo proposito c’è un’alleanza naturale con la Germania, che rimane tenacemente contraria a qualsiasi iniziativa che, a nome del rafforzamento della zona euro, potrebbe mettere in pericolo il mercato unico.

Niente ricatti

Ma ci cono anche alcune cose che Cameron non dovrebbe assolutamente fare. Egli ha insistito che il prezzo di una maggiore integrazione deve essere un allentamento dei legami tra la Regno Unito e i suoi partner dell’Unione. Il suo discorso potrebbe cercare di spiegare nei dettagli i nuovi termini di questo impegno, ma al contempo non dovrebbe destare la falsa speranza che gli altri membri siano disposti a concedere al Regno Unito la possibilità di partecipare al mercato unico senza accettarne le regole e i principi fondamentali. Nello stesso modo, la minaccia di opporsi a modifiche dei trattati basilari per salvaguardare l’euro potrebbe essere considerato alla stregua di un ricatto. Da tutto ciò verosimilmente potrebbe scaturire una catastrofica rottura delle relazioni.

Infine, Cameron non dovrebbe consentire ai suoi compatrioti di crogiolarsi nella fantasia: non ha senso per il Regno Unito cercare di ottenere uno status paragonabile a quello della Norvegia o della Svizzera. Entrambi quei paesi devono accettare le regole del club pur non avendo voce in capitolo al suo interno. Per il Regno Unito una posizione del genere sarebbe insostenibile, e porterebbe sicuramente a un allontanamento.

L’interesse nazionale può benissimo imporre che Cameron – o un governo futuro – codifichi le relazioni tra il Regno Unito e un nuovo blocco guidato dalla Germania e dalla Francia. Ciò sarà oggetto di un referendum secco, “in or out”. Ma fino a quando Cameron non conoscerà i termini del nuovo accordo della zona euro, dovrebbe chiarire quali principi di base sono in gioco. E tenere i nervi saldi.

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