Il luogo dove Plamen Goranov si è dato fuoco

La rivolta ha trovato il suo simbolo

Plamen Goranov è morto dopo essersi immolato chiedendo le dimissioni del sindaco di Varna. In piena crisi politica nazionale, il suo sacrificio potrebbe essere la scintilla capace di innescare il rinnovamento.

Pubblicato il 6 Marzo 2013 alle 16:50
Il luogo dove Plamen Goranov si è dato fuoco

Plamen Goranov è morto il 3 marzo, dieci giorni dopo essersi dato fuoco davanti al municipio di Varna [nell'est del paese]. Voleva "le dimissioni di Kiro [Kiril Yordanov, il sindaco della città] e di tutti i consiglieri comunali entro le 17 del 20 febbraio 2012". Secondo la procura, questo era il messaggio scritto sul cartello che aveva portato quella mattina. Un cartello che ha conosciuto un curioso destino: dopo essere misteriosamente scomparso dal luogo della tragedia, è riapparso in casa di uno dei dipendenti del comune.
Nessuno ha ancora visto le registrazioni delle telecamere di sorveglianza che avranno certamente filmato la scena. Tutto quello che sappiamo è che Plamen, 36 anni, non c'è più. Non ha molto senso discutere se può essere paragonato a quello di Jan Palach, che si immolò il 16 gennaio 1969 a Praga diventando il simbolo della protesta contro l'occupazione sovietica in Cecoslovacchia. La verità è molto semplice: per molti Plamen è già il Palach bulgaro.
Lo studente ceco aveva lasciato una lettera che spiegava il suo gesto. E non era solo, faceva parte di un gruppo. Un mese dopo un altro ragazzo avrebbe compiuto lo stesso gesto in piazza Venceslao. Goranov invece non ha lasciato lettere, o quanto meno fino a oggi ne ignoriamo l'esistenza. A Varna nessuno sa esattamente che cosa sia successo. Per ora non sappiamo neppure se ci sono dei testimoni. Tutto quello che si sa è che sono state scoperte due taniche di liquido infiammabile accanto al suo corpo, di cui una mezza vuota.
L'impossibilità di sapere di più illustra già il livello di marciume in cui si trova - grazie anche al nostro contributo - la Bulgaria. Perché non sappiamo se si è immolato deliberatamente, se qualcuno lo ha "aiutato", se voleva veramente immolarsi o fare altra cosa. La svolta chiesta dalle migliaia di manifestanti può cominciare con questa rivendicazione: che sia fatta tutta la verità sulla morte di Plamen.

Stato di diritto

C'era un uomo con delle opinioni, che partecipava regolarmente alle manifestazioni e che criticava apertamente la gestione della città da parte di Kiril Yordanov. Sulla rete è stato ritrovato un video che lo mostra mentre prende il microfono in occasione di un comizio per chiedere alla folla di scandire "Abbasso Tim!" [una potente holding dalla dubbia reputazione]. E anche se non si sa quello che è successo esattamente a Plamen, sappiamo con esattezza contro cosa si batteva: la gestione arrogante e opaca della città, il saccheggio delle risorse pubbliche, la liquidazione dei dissidenti, la dittatura di un piccolo gruppo di deputati assetati di potere.
Questo riguardava Varna ma anche molte altre grandi città e l'intera Bulgaria. Varna è solo il simbolo di questa realtà, e non da ieri. Le dimissioni del sindaco [annunciate il 6 marzo] non hanno più importanza. Quello che conta è che la gente continui a chiedere maggiore trasparenza e il rispetto della legge. Gli abitanti di Varna lo hanno capito. Ed quello che rende la loro rivolta molto diversa da quella di Sofia, dove i manifestanti fanno strane rivendicazioni, talvolta contraddittorie.
Lo stato di diritto per il quale si battono gli abitanti della città prevede anche un'inchiesta indipendente e approfondita sulla morte di Plamen Goranov. Gli dobbiamo almeno questo.

Commento

Il lutto di chi?

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"Oggi [6 marzo] è una giornata di lutto nazionale in memoria di Plamen Goranov", scrive la giornalista Ana Zarkova sul quotidiano Trud. "Ma chi porta questa lutto?", si chiede la giornalista: 

È probabile che piangano tutti per cose diverse. I ministri per i loro posti; i disoccupati per il loro lavoro; i poveri perché non hanno il denaro per pagare la bolletta del riscaldamento e dell'elettricità; i ricchi per la paura di essere uccisi o rapiti; i manifestanti perché hanno perso la loro unità. Siamo divisi anche nel lutto, e oggi faccio fatica a compatire gli uomini politici che cercano di avvicinarsi al popolo e al suo dolore. E se invece facessero mea culpa?

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